Licenziamento privo di motivazione.

La Cassazione con la sentenza n.30668 del 25.11.2019 ritiene che il licenziamento con mancanza di motivazione vada equiparato al licenziamento affetto da vizio formale con conseguente diritto al conseguente ridotto risarcimento nel caso in cui comunque il licenziamento si appalesi legittimo.

La decisione, ad avviso di chi scrive equipara al licenziamento legittimo e valido, il recesso che per mancanza di motivazione impedisce un concreto esame difensivo di chi ha subito l’atto e quindi concede una sorta di “favor” alla parte recedente. Va notato come dopo la legge 92/2012 (legge Fornero) il comma 4 dell’articolo 18 stabilisce che nell’ipotesi in cui il licenziamento sia dichiarato inefficace per violazione del requisito di motivazione di cui all’articolo 2, comma 2, della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, della procedura di cui all’articolo 7 della presente legge, o della procedura di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, si applica il regime di cui al quinto comma, quindi il mero risarcimento) ma con attribuzione al lavoratore di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual caso applica, in luogo di quelle previste dal presente comma, le tutele di cui ai commi quarto, quinto o settimo.

In pratica, la disposizione di legge dissocia in maniera completa l’ipotesi della mancanza di motivazione da quella del licenziamento illegittimo per carenza di giusta causa o giustificato motivo, e sancisce che anche il licenziamento privo di motivazione può essere ritenuto assistito da giusta causa.

Non tiene conto la disposizione di legge citata come sia molto più facile per chi intima un licenziamento senza motivazione, sostenerne in giudizio la giusta causa. E’ così violato non solo il diritto di difesa del lavoratore, ma anche il diritto alla tutela del posto di lavoro, tutti diritti costituzionalmente fondati.

In tema di irregolarità della contestazione nel licenziamento disciplinare nello specifico di fronte alla tardività della contestazione e dunque in un ipotesi che coinvolgeva la forma del recesso ed il diritto alla difesa, la Cassazione a Sezioni Unite Sentenza 27.12.2017 n.3085 riteneva che Con legge 92/2012  (riforma Fornero), si assiste ad una modifica dell’art. 18, nel senso che accanto alla tutela reale, la quale rappresenta il massimo livello di protezione per sanzionare un illecito, viene prevista una tutela meramente indennitaria”. I regimi di cui si parla nel nuovo art. 18 sono i seguenti: a) quello della tutela reintegratoria piena (disciplinato dai primi tre commi dell’art. 18); b) quello della tutela reintegratoria attenuata (comma 4); c) quello della tutela indennitaria forte (comma 5), che varia tra le 12 e le 24 mensilità; d) quello della tutela indennitaria limitata (comma 6), che oscilla tra le 6 e le 12 mensilità applicabile nel caso di specie inquadrato come mera irregolarità formale del recesso.

Va inoltre attentamente considerato l’articolo 24 della Carta Sociale Europea che assicura ad ogni lavoratore l’effettività del diritto a non essere licenziato senza un valido motivo legato alla condotta ed alle attitudini personali o ad un valido motivo connesso al funzionamento dell’impresa. L’articolo 24 sancisce inoltre per chi è licenziato senza un valido motivo un congruo indennizzo o altra adeguata riparazione.

Di Seguito Cassazione n.30668 del 25.11.2019.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2435/2018 proposto da:

PRADA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VITTORIA COLONNA 39, presso lo studio dell’Avvocato MARCO PASSALACQUA, che la rappresenta e difende unitamente agli Avvocati ANNA GRAZIA SOMMARUGA, MARCELLO GIUSTINIANI, ARIANNA MARIA BEATRICE COLOMBO e GIAN LUCA PINTO in virtù di delega in atti.

– ricorrente principale – controricorrente in relazione al ricorso incidentale –

contro

T.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 109, presso lo studio dell’Avvocato GIUSEPPE FONTANA, che lo rappresenta e difende, unitamente e disgiuntamente, all’Avvocato FABIO RUSCONI giusta delega in atti.

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1090/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 07/11/2017 R.G.N. 411/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/09/2019 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi;

udito l’Avvocato ANNA GRAZIA SOMMARUGA.

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Arezzo, con la pronuncia n. 385 del 2012, ha respinto la domanda, proposta con il rito speciale di cui alla L. n. 92 del 2012, da T.G. nei confronti di Prada spa diretta ad ottenere, previo accertamento in via incidentale della natura subordinata del rapporto di lavoro in essere inter partes nel periodo compreso tra il 3.9.2007 ed il 3.2.2015 (che era stato formalizzato invece con successivi contratti di consulenza), che fosse dichiarata l’illegittimità del licenziamento che la società gli aveva di fatto intimato recedendo dall’ultimo di tali contratti di lavoro formalmente autonomo, con le conseguenze reintegratorie e risarcitorie L. n. 300 del 1970, ex art. 18, comma 4, ovvero, in subordine, risarcitorie previste dal comma 5 dello stesso articolo o, in via ulteriormente subordinata, solo quelle risarcitorie ai sensi dell’art. 18 citato, comma 6.

2. La Corte di appello di Firenze, con la sentenza n. 1090 del 2017, in riforma della pronuncia di prime cure e in parziale accoglimento del reclamo, ha dichiarato l’inefficacia del licenziamento impugnato L. n. 604 del 1966, ex art. 2; ha dichiarato, quindi, risolto il rapporto di lavoro intercorso tra le parti alla data del recesso e ha condannato la società a corrispondere a T.G. l’indennità risarcitoria di cui della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 6, quantificata in dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori.

3. A fondamento della decisione la Corte territoriale ha rilevato che: a) non era fondata l’eccezione di decadenza, sollevata L. n. 183 del 2010, ex art. 32, perchè il testo della disposizione era inequivoco nel sottoporre a decadenza esclusivamente l’azione del lavoratore diretta ad impugnare il licenziamento, comunque qualificato, dell’affermato datore di lavoro e il recesso del committente nei rapporti di collaborazione per cui, in ipotesi come quella di cui è processo riguardante una serie di contratti qualificati di consulenza, stipulati tra le parti senza soluzione di continuità (dal 3.9.2007 al 3.2.2015), l’unico termine che era onere osservare per il T. era quello decorrente dalla comunicazione del recesso della società; b) ricorrevano pacificamente, quanto alla prestazione del lavoratore, le condizioni del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69 bis, comma 2, di talchè non poteva presumersi la natura di prestazione coordinata e continuativa dell’attività lavorativa svolta dalla originario ricorrente per quanto titolare di partita IVA; c) in ogni caso, dalla istruttoria svolta, vi era prova in atti della natura effettivamente subordinata della prestazione lavorativa svolta dal T.; d) tale natura rendeva qualificabile come licenziamento il recesso intimato dalla formale committente il 3.2.2015 che si manifestava, però, illegittimo per mancanza di motivazione; e) doveva, invece, ritenersi provato il giustificato motivo oggettivo di recesso e che non vi era stata violazione dell’obbligo di repechage atteso che non esisteva, nell’organizzazione aziendale di Prada spa all’epoca del licenziamento e neanche introdotta successivamente, alcuna figura anche solo latamente comparabile con quella di T. che svolgeva mansioni altamente specialistiche ed adeguatamente remunerate; f) ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 6, l’indennità risarcitoria, a seguito della declaratoria di risoluzione del rapporto, andava quantificata in dodici mensilità.

4. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione Prada spa affidata a cinque motivi.

5. Ha resistito con controricorso T.G. sulla base di un motivo cui ha, a sua volta, resistito con controricorso la società.

6. Il PG, prima della fissazione della causa per la trattazione in pubblica udienza, ha concluso, con requisitoria scritta, per il rigetto sia del ricorso principale che di quello incidentale.

7. Le parti hanno presentato memorie.

Motivi della decisione

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo del ricorso principale la società denunzia la violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32 e artt. 2964 c.c. e segg., per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto che il T., ai sensi di quanto previsto dal citato art. 32, aveva l’unico onere, pacificamente adempiuto, di impugnare l’atto che lo aveva estromesso materialmente dal rapporto e non anche ciascuno dei contratti di lavoro autonomo che, nel corso degli anni, si erano susseguiti senza soluzione di continuità a regolare formalmente il rapporto stesso.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 6169 e 69 bis, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere erroneamente ritenuto la Corte territoriale che il T. aveva stipulato con Prada spa contratti di collaborazione continuativa e coordinata privi di progetto, in luogo di genuini contratti di consulenza a partiva IVA, applicando gli artt. 61 e 69 D.Lgs. n. citato, non dirimenti per il caso di specie, ed omettendo del tutto l’applicazione dell’unica norma rilevante costituita dall’art. 69 bis stesso decreto che individua, invece, una deroga alla disciplina scaturente dal combinato disposto del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 e 69.

4. Con il terzo motivo la società lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 e 69, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per non avere la Corte di appello ritenuto ravvisabili gli elementi che, a termine del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, integravano la nozione di “specifico progetto” nell’oggetto dei contratti di consulenza sottoscritti tra le parti.

5. Con il quarto motivo la società si duole della violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, art. 116 c.p.c., per avere erroneamente la Corte di appello ritenuto attendibile il teste P..

6. Con il quarto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere erroneamente la Corte di appello ravvisato la natura subordinata della prestazione svolta dal T..

7. Con il primo motivo del ricorso incidentale il T. denunzia la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, commi 1, 2, 4, 6 e 7, in relazione al capo della sentenza che, dopo avere dichiarato il licenziamento intimatogli illegittimo in quanto totalmente carente di motivazione, ha concluso per l’applicazione della tutela di cui dell’art. 18 citato, comma 6, anzichè di quello di cui ai commi 2 o 4/7 della disposizione (art. 360 c.p.c., n. 3); si sostiene che in ipotesi di licenziamento inefficace per mancanza di motivazione L. n. 604 del 1966, ex art. 2, la tutela non avrebbe potuto essere solo quella risarcitoria pena la incostituzionalità della norma di cui alla L. n. 600 del 1970, art. 18, comma 6, per irragionevolezza della stessa.

8. Con il secondo motivo si eccepisce la nullità della sentenza (error in procedendo) per violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., in relazione al capo della decisone che, dopo avere ritenuto dimostrata la ragione organizzativa che la società aveva allegato a giustificazione del proprio recesso, ha escluso che il licenziamento oggetto di causa fosse illegittimo, oltre che per la totale carenza di motivazione, anche per violazione da parte della società stessa del cd. “obbligo di repechage” sul presupposto che non esistesse nella organizzazione aziendale di Prada spa all’epoca del recesso e che non era stata introdotta dopo, alcuna figura professionale comparabile non solo latamente con quella del T.. Si deduce, da un lato, che la circostanza della inesistenza della posizione professionale di cui sopra non solo non era affatto pacifica tra le parti, ma non era stata neppure allegata: ciò, pertanto, in violazione degli art. 112 e 115 c.p.c.; inoltre, si evidenzia, sempre in relazione all’art. 115 c.p.c., che la Corte aveva mancato di rilevare che fosse sempre pacifico tra le parti la circostanza di poter ricollocare utilmente il T. nell’organizzazione aziendale in svariate mansioni, specificamente allegate e non contestate.

9. Il primo motivo del ricorso principale non è fondato.

10. Il dato processuale da prendere in considerazione, per l’esame della censura, è rappresentato dal fatto che, nella fattispecie in esame, tra il T. e Prada spa erano intercorsi, senza soluzione di continuità, dal 3.9.2007 al 3.2.2015, quattro contratti di consulenza ritenuti illegittimi dai giudici di merito D.Lgs. n. 276 del 2003, ex art. 69, con il conseguente riconoscimento di un rapporto di lavoro di natura subordinata a tempo indeterminato.

11. La società sostiene, come sopra riportato, che il lavoratore era decaduto dal diritto di impugnare i primi tre contratti per il decorso dei termini di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32.

12. L’assunto non è meritevole di accoglimento.

13. In tema di contratto a progetto, è stato affermato che il regime sanzionatorio previsto dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1 (nel testo “ratione temporis” applicabile, anteriore alle modifiche apportate dalla L. n. 92 del 2012), in casi di assenza di specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, determina l’automatica conversione a tempo indeterminato, con applicazione delle garanzie del lavoro dipendente sin dalla data di costituzione dello stesso (cfr. Cass. 17.8.2016 n. 17127).

14. Ne consegue, pertanto, che essendo unico il rapporto di lavoro che si è venuto a creare tra le parti dal 3.9.2007 (primo contratto a progetto ritenuto illegittimo), la stipulazione dei successivi contratti non può incidere sulla già intervenuta trasformazione del rapporto, salva la prova di una novazione ovvero di una risoluzione tacita del rapporto (cfr. Cass. 9.3.2018 n. 5714 in tema di pluralità di contratti a termine il cui primo sia stato dichiarato nullo): ipotesi, queste, non ravvisabili ed anzi escluse sostanzialmente dalla Corte territoriale che ha rilevato l’effettività e la continuità del vincolo di subordinazione tra le parti nell’ambito di tutto il rapporto lavorativo.

15. Correttamente, pertanto, ai fini della eccezione di decadenza dell’azione giudiziaria L. n. 183 del 2010, ex art. 32, i giudici di seconde cure hanno ritenuto che l’unico termine di decadenza che il T. doveva impedire, come in realtà aveva fatto, era quello decorrente dal recesso della società dal rapporto in essere, in relazione all’ultimo contratto, qualificato come licenziamento.

16. Il secondo motivo del ricorso principale è parimenti infondato.

17. La norma del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69 bis, introdotta dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, non può spiegare alcun effetto in relazione al rapporto dedotto in giudizio attesa la statuita riqualificazione del rapporto, originariamente instaurato in seguito alla stipulazione di contratti a progetto, in uno di natura subordinata fin dal primo contratto del 3.9.2007, in relazione al quale la disposizione invocata è successiva.

18. Il terzo, quarto e quinto motivo, da trattarsi congiuntamente per connessione, non sono meritevoli di accoglimento in quanto, al di là del formale richiamo, contenuto nella epigrafe dei motivi di impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla Corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti tra le parti ritenuti rilevanti.

19. Si tratta, quindi, di argomentazioni critiche dirette a censurare una tipica erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa e, pertanto, di tipiche censure dirette a denunciare un vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato: vizio comunque insussistente atteso che, nel caso in esame, devono ritenersi soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti (per tutte Cass. n. 8053/2014).

20. Infine, giova ribadire che la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio di attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad una esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. 4.7.2017 n. 16647).

21. Ciò premesso deve ritenersi, in punto di diritto, che gli accertamenti svolti dalla Corte di merito siano rispettosi dei criteri generali in tema di distinzione tra rapporto di natura autonoma e subordinata, muovendosi nell’ambito dei principi elaborati da questa Corte che assegnano alla soggezione del lavoratore al potere direttivo della parte datoriale un ruolo fondamentale ai fini del discrimen tra le due categorie di rapporti e, nella specie, ritenuta sussistente per l’inserimento stabile del T. nell’organizzazione, per la soggezione ad ordini e direttive di provenienza dei preposti della società, tali da terminare tempi, modi e priorità della prestazione lavorativa); il resto è accertamento di merito sottratto, come si è detto, al sindacato di legittimità.

22. Il primo motivo del ricorso incidentale è anche esso infondato.

23. E’ opportuno rilevare che i giudici di seconde cure, oltre ad avere sottolineato che il provvedimento espulsivo era illegittimo in quanto non conteneva alcuna motivazione, hanno poi precisato che la società aveva dato prova del giustificato motivo oggettivo di recesso (eliminazione dalla compagine aziendale degli ispettori etici in esito alla modifica delle condizioni contrattuali con i fornitori, dal 2015 tenuti a garantire alla committente il rispetto, da parte loro e dei propri sub-fornitori, delle norme di sicurezza) e che non vi era stata violazione dell’obbligo di repechage, per cui la tutela doveva essere quella risarcitoria di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 6.

24. La sentenza è conforme all’orientamento di legittimità, cui si intende dare seguito, secondo cui nel regime di tutela obbligatoria, in caso di licenziamento inefficace per violazione del requisito di motivazione della L. n. 604 del 1966, ex art. 2, comma 2, come modificato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 37, trova applicazione l’art. 8 della medesima legge in virtù di una interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata della novella del 2012 che ha modificato anche la L. n. 300 del 1970, art. 18, prevedendo, nella medesima ipotesi di omessa motivazione del licenziamento, una tutela esclusivamente risarcitoria (Cass. 5.9.2016 n. 17589).

25. Il secondo motivo del ricorso incidentale è, invece, inammissibile.

26. Invero, la doglianza è stata formulata come “error in procedendo”, in relazione agli artt. 112 e 115 c.p.c., ma, in realtà, è finalizzata a censurare la valutazione delle risultanze istruttorie da parte della Corte territoriale.

27. Il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera però interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte dei giudici di merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme procedurali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione e, dunque, nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (cfr. Cass. 12.10.2017 n. 23940; Cass. 30.11.2016 n. 24434).

28. Nè è ravvisabile, poi, la violazione dell’art. 112 c.p.c., sotto il profilo dell’omessa pronuncia, che riguarda l’omissione di qualsiasi decisione su un capo della domanda o su un’eccezione di parte o su un’istanza che richiede una statuizione di accoglimento o rigetto, tale da dare luogo all’inesistenza di una decisione sul punto per la mancanza di un provvedimento indispensabile alla soluzione del caso concreto (Cass. 23.2.1995 n. 2085), salva l’ipotesi in cui ricorrano gli estremi di una reiezione implicita della pretesa o della deduzione difensiva ovvero di un loro assorbimento in altre declaratorie (Cass. 25.2.2005 n. 4079; Cass. 29.7.2004 n. 14486).

29. Nel caso in esame, invece, sul punto dell’obbligo di repechage la Corte di merito si è espressa ritenendo, con un accertamento di merito adeguato e motivato e, pertanto, insindacabile in questa sede, che non vi era stata violazione del predetto obbligo.

30. L’impostazione della censura, si ribadisce quale error in procedendo e non come violazione di legge, non consente a questo Collegio di valutare ulteriori profili di illegittimità della condotta dell’odierna controricorrente.

31. Alla stregua di quanto esposto sia il ricorso principale che quello incidentale devono essere rigettati.

32. La soccombenza reciproca induce a compensare tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

33. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2019