La tecnologia come primo “vaccino” per mediare al conflitto tra il diritto al lavoro, il diritto alla salute e il diritto alla riservatezza dei dati personali
L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo ci sta ancora arrecando dei danni ma è proprio dal male che bisogna trarne giovamento per migliorarsi ancora di più. Anche le attività produttive sono ad un bivio: trarne insegnamenti ed evolversi con lo scopo di agganciare la domanda di beni e di servizi oppure arrestare definitivamente le proprie attività lavorative.
Il famoso virus Covid-19 hanno fatto nascere uno sconto, di sicuro epocale, tra la voglia di riaprire i capannoni delle imprese italiane e gli uffici degli studi professionali e il pericolo di danneggiare la salute dei lavoratori dipendenti e dei collaboratori al netto della salvaguardia della privacy.
Questi tre diritti (diritto al lavoro, diritto alla salute e diritto alla riservatezza dei dati personali) sono entrati, come mai prima, in conflitto tra loro da quando è stato imposto – in via eccezionale – la misurazione della temperatura di ogni singolo lavoratore all’atto del suo ingresso nel posto di lavoro (si veda il Protocollo sanitario del 14 marzo 2020 siglato dal Governo Italiano e dalle Parti Sociali).
Stiamo assistendo ad un infinito dibattito che vede confrontarsi il mondo dell’impresa e quello del sindacato con le Istituzione politiche in cui finora non si è fatta una sintesi.
Per mediare a tutto questo vi è già un primo “vaccino” che si chiama tecnologia. Se soltanto pensiamo all’introduzione dei braccialetti elettronici per opera del colosso Amazon e all’adozione delle politiche sanitarie nello stabilimento dell’Ilva sappiamo perfettamente che – in questa emergenza sanitaria di tipo epocale – la tecnologia, a differenza dei due casi prima citati, può davvero rappresentare una svolta per la ripresa delle attività di imprese e di professionisti senza violare nessuno diritto costituzionalmente garantito ad ogni cittadino italiano (Articoli 1, 3, 4, 35 e 36 per il diritto al lavoro – Articolo 32 per il diritto alla salute oltre al Testo Unico per la sicurezza sul lavoro – Articoli 13, 14 e 15 della Costituzione, art. 5 della Legge n. 300/1970 e Regolamento U.E. n. 679/2016 per il diritto alla riservatezza dei dati personali).
E’ da considerare che la prima medicina, utile per la ripresa economica e per la tenuta sociale del nostro Paese, è rappresentata da un dispositivo tecnologico (il cosiddetto “wearable device”) che misura la temperatura, la pressione e il battito cardiaco da far indossare da ogni singolo lavoratore. Chiaramente è opportuno che all’ingresso del luogo di lavoro venga effettuata in primis la misurazione con il termo-scanner da parte del datore di lavoro che rimane sempre moralmente, penalmente e civilmente responsabile nei confronti del proprio personale dipendente. Un altro aspetto rilevante che emerge da questa situazione emergenziale è che tale dovere morale dovrà essere rispettato anche da ogni singolo lavoratore.
Ancora si potrebbe – come avanzato da tutti coloro che credono nella tecnologia – introdurre, a prescindere dagli eventi eccezionali, anche un’altra tecnologia e ossia la “blockchain” che per il tramite degli “smart contracts” potrà trattare i dati sanitari riservati dei lavoratori trasmessi dai “wearable device” in maniera anonima.
Chiaramente l’umanità attende il secondo ed ultimo vero “vaccino” che sia in grado di sconfiggere questo virus e pertanto sarà determinante il comportamento di ogni singolo lavoratore che, in quanto cittadino modello, ha il dovere di garantire l’incolumità di ogni singolo collega di lavoro.
Come detto al principio dell’articolo, dalle situazioni di malessere possiamo trarne insegnamento per l’avvenire e finora il popolo Italiano ha dato dimostrazione di possedere coscienza civica che si spera rimanga intatta nel tempo e che si avvicini all’educazione civica del Giappone.
di Antonino ALFANO