La partecipazione dei lavoratori all’impresa
L’art. 46 della Costituzione cita testualmente “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”.
Ogni forma di partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende si fonda sull’idea e sulla valorizzazione dell’interesse comune tra i lavoratori e l’imprenditore alla prosperità dell’impresa stessa.
Nel tempo tuttavia vi sono stati forti resistenze alla diffusione delle forme partecipative e pertanto l’art. 46 della Carta Costituzionale deve considerarsi come una norma rimasta sostanzialmente inapplicata.
Ciclicamente, soprattutto nei periodi di crisi economica, si è tornati spesso ad insistere sulla necessità di promuovere la partecipazione dei lavoratori, con la presentazione di diverse iniziative e la costituzione di appositi gruppi di lavoro, senza tuttavia ottenere risultati concreti.
In particolare, deve essere ricordato il tentativo operato dalla c.d. “Riforma Fornero”, legge n. 92/2012, la quale aveva delegato il governo ad adottare uno o più decreti finalizzati a favorire le forme di coinvolgimento dei lavoratori nell’impresa, attivate attraverso la stipulazione di un contratto collettivo aziendale, nel rispetto di principi e criteri direttivi previsti dalla legge (art. 4 c.62 legge n. 92/2012).
Tuttavia, anche tale intervento non ha trovato concreta e capillare attuazione.
Oggi, anche grazie alle nuove sfide della digitalizzazione ed i recenti sviluppi dell’economia, con un passaggio a quella che è stata definita l’era della “condivisione” (sharing economy), potrebbero essere state gettate le basi per la revisione del modello conflittuale su cui, storicamente, si sono rette le relazioni industriali e dunque vi sarebbero concrete possibilità di un recupero dello strumento della partecipazione dei lavoratori all’impresa.
In effetti, con l’avvento della c.d. quarta rivoluzione industriale, uno degli effetti più rilevanti è stato quello di considerare non più la prestazione lavorativa nella sua mera esecuzione materiale, quindi come mera collaborazione passiva, strettamente legata alle mansioni assegnate al lavoratore bensì la necessità di una vera e propria partecipazione attiva da parte dei lavoratori nella generazione dei valori aziendali.
In effetti, il modello storico delle relazioni industriali è principalmente basato sulla forte asimmetria tra potere direttivo e dovere di collaborazione, fondato sulla prerogativa dell’imprenditore di dirigere l’azienda in coerenza al principio di libertà di iniziativa economica privata, considerando i rischi assunti esclusivamente a carico dell’impresa stessa.
Oggi, la possibilità di partecipazione dei lavoratori alle vicende d’impresa potrebbe da un lato attenuare gli effetti del disequilibrio in termini di condizioni di lavoro e, dall’altro, essere ulteriore strumento di possibile modifica dell’esercizio del potere direttivo in una chiave maggiormente collaborativa, tenuto dovuto conto altresì dell’evoluzione ed attenuazione del concetto di subordinazione registratosi negli ultimi anni.
Per chiarezza, si possono individuare almeno quattro differenti tipologie di possibile partecipazione dei lavoratori all’azienda:
- quella di tipo “organizzativo/gestionale”, da intendersi come presenza di una rappresentanza dei lavoratori all’interno degli organi di controllo e decisionali dell’azienda (es. presenza di un rappresentante indicato o eletto dai lavoratori all’interno del Consiglio di Amministrazione);
- quella di tipo “informativo/consultivo”, che può essere considerata come il diritto dei lavoratori (o meglio, dei loro rappresentanti) alla conoscenza dei piani aziendali passati, presenti e futuri, anche come condizione vincolante rispetto alle decisioni da assumere, con altresì possibilità di elaborare suggerimenti e controproposte;
- quella di tipo “economico”, che mira a far partecipare i lavoratori meritevoli dei risultati e del benessere dell’azienda, promuovendo una parziale redistribuzione degli utili aziendali sulla base delle prestazioni effettivamente svolte dagli stessi lavoratori, rendendoli partecipi del successo dell’azienda;
- quella di tipo “finanziario”, con la possibilità di accedere ad un azionariato diretto dei dipendenti delle aziende per cui lavorano, in modo da indirizzarle anche verso un assetto proprietario più condiviso, con forte responsabilizzazione e creazione di spirito d’appartenenza in capo ai singoli lavoratori.
Rimane allora da registrare che altri paesi europei hanno già adottato modelli partecipativi dei lavoratori all’impresa: ad esempio Francia e Germania che, sin dagli inizi del secolo scorso, hanno realizzato forme di partecipazione economica fondate sui piani aziendali di risparmio e sull’azionariato dei dipendenti (anche attraverso il fenomeno del c.d. workers buy-out, vale a dire l’azione di salvataggio dell’azienda, o di una sua parte, realizzata dai dipendenti che subentrano nella proprietà).
In particolare, il modello tedesco, noto come Mitbestimmung, è una vera e propria parte caratterizzante del sistema di relazioni industriali del paese.
In effetti, il modello tedesco prevede che l’economia e le strutture produttive non costituiscano luogo di scontro di interessi configgenti tra capitale e lavoro ma anche una vera e propria “Gemeinschaft”, una “comunità” avente il fine comune di garantire benessere e prosperità per i suoi componenti.
La partecipazione dei lavoratori in Germania si compone di due livelli:
- la “betriebliche Mitbestimmung”, partecipazione a livello di unità produttiva, che in Italia si potrebbe tradurre o intendere come “partecipazione o cogestione aziendale”;
- la “unternehmerische Mitbestimmung”, partecipazione a livello di organi societari d’impresa, che indica la parte gestionale che è adibita all’impiego delle risorse prodotte dalla parte produttiva, traducibile come “partecipazione o cogestione societaria”.
A sottolineare il valore e l’importanza della partecipazione dei lavoratori, lo stesso art. 9 del GrundGesetz, la Carta costituzionale varata nel 1949, dispone l’ordinamento e la pacificazione del mondo del lavoro mettendo sullo stesso piano sia la contrapposizione degli interessi sia la volontà comune di collaborazione.
Avv. Alberto Tarlao