Corte Costituzionale 8.11.2018 n.194. Articolo 3 comma 1 DLGS n.23/2015 – Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – predeterminazione del risarcimento in base all’anzianità di servizio – illegittimità costituzionale in assenza di altri criteri concorrenti – violazione articoli 3 e 4 della Costituzione.
La sentenza della Corte Costituzionale che interviene sul regime dei licenziamenti nel Jobs Act. Commento. La Corte Costituzionale restringendo i quesiti posti in una articolata ordinanza del Tribunale di Roma individua gli aspetti di incostituzionalità dell’articolo 3, comma 1 del DLGS n.23/2015 (Jobs Act in tema di licenziamenti).
La norma stabilisce che nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità».
L’intervento della Corte Costituzionale interviene dopo che il Decreto legge 87/2018 all’articolo 3 aveva portato rispettivamente da 4 a 6 e da 24 a 36 i limiti minimi e massimi per il risarcimento da licenziamento illegittimo.
Un tanto è spiegato nella decisione della Corte che ha ritenuto come il tema su cui valutare l’incostituzionalità non fosse quello dell’ammontare del risarcimento minimo o massimo, ma soltanto quello della sua automaticità in esclusivo rapporto all’anzianità di servizio. La Corte incidentalmente non ha ravvisato alcun elemento di incostituzionalità in merito al principio di eguaglianza di cui all’articolo 3 della Costituzione , in quanto il trattamento differente riservato in caso di licenziamento illegittimo, in caso di licenziamento, ai dipendenti assunti dopo il jobs act, possedeva una propria razionalità in ordine al diverso contesto temporale di adozione della legge.
Ricorda la Consulta che, a proposito della delimitazione della sfera di applicazione ratione temporis di normative che si succedono nel tempo, «non contrasta, di per sé, con il principio di eguaglianza, un trattamento differenziato applicato alle stesse fattispecie, ma in momenti diversi nel tempo, poiché il fluire del tempo può costituire un valido elemento di diversificazione delle situazioni giuridiche. La Corte in proposito ricorda le proprie ordinanze n. 25 del 2012, n. 224 del 2011,n. 61 del 2010, n. 170 del 2009, n. 212 e n. 77 del 2008).
Il Giudice remittente aveva inoltre sollevato un’ulteriore interessante questione, sostenendo come l’ammontare del risarcimento fissato dal Jobs Act all’articolo 3 comma 1 del DLGS 23/2015 violava il principio di eguaglianza in quanto erano meglio tutelati in caso di licenziamento con indennizzi ben più consistenti.
La Corte Costituzionale non aveva ravvisato in questa censura elemento alcuno di incostituzionalità, in quanto a suo dire, i dirigenti come specifica categoria di cui all’articolo 2095 del codice civile presentavano notevoli diversità rispetto alle altre categorie di lavoratori e quindi ben potevano essere destinatari di un diverso trattamento, senza violare alcun principio di eguaglianza e ragionevolezza.