Il dipendente vi lascia, quali cautele adottare?

Il dipendente vi lascia, quali cautele adottare? 

  1. Obbligo di fedeltà e patto di non concorrenza nell’ambito del rapporto di lavoro.

Tra le diverse obbligazioni che connotano il rapporto di lavoro e meglio definiscono il concetto di subordinazione, vi è l’obbligo di fedeltà.

Stabilisce l’articolo 2105 del codice civile che il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio.

L’obbligo è un corollario che completa e meglio definisce la generalità degli obblighi che incombono sul lavoratore nell’ambito del rapporto di lavoro dipendente.

Stabilisce l’articolo 2094 del codice civile che è lavoratore subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore.

Il successivo articolo 2104 del codice civile stabilisce poi che il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale.

L’obbligo di fedeltà che include il dovere di non concorrenza e di riservatezza si inserisce in questo quadro giuridico.

Anche per questo motivo, tale obbligazione è immanente al rapporto in essere e quindi cessa con il venir meno del rapporto di lavoro per qualunque causa.

  1. E quando cessa il rapporto di lavoro?

La cessazione del rapporto comporta la naturale cessazione di questi obblighi.

Ciò però non significa che alcuni possano permanere in forma limitata ed altri sulla base della volontà delle parti.

In sostanza, il lavoratore anche se libero dal vincolo contrattuale, è tenuto ad astenersi da forme di concorrenza sleale o illecita, e, su base volontaria può aderire ad un patto di riservatezza o addirittura ad un patto di non concorrenza.

Esamineremo partitamente queste ipotesi, soffermandoci in particolare sul patto di non concorrenza.

  1. La concorrenza sleale o illecita.

Una volta cessato il rapporto di lavoro con i conseguenti obblighi, il lavoratore salvo patto contrario, potrà svolgere un’attività in concorrenza con il precedente datore di lavoro sia come imprenditore che come lavoratore dipendente.

I limiti che comunque gli si pongono sono quelli valevoli per qualunque altro soggetto.

Egli quindi non potrà mettere in atto condotte che possano integrare l’ipotesi della concorrenza sleale, individuati dall’articolo 2598 del codice civile e di seguito indicati:

a) uso di nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imitazione servile dei prodotti di un concorrente, o compimento con qualsiasi altro mezzo di atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente;

b) diffusione di notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito, o appropriazione di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente;

c) danneggiamento dell’azienda concorrente utilizzando qualsiasi mezzo atto a violare i presupposti della correttezza professionale.

  1. Il patto di riservatezza o di non divulgazione.

Con il patto di riservatezza o di non divulgazione (conosciuto anche come N.D.A. o “Non Disclosure Agreement”), il lavoratore si obbliga a non divulgare il contenuto di talune informazioni riservate apprese nell’ambito della vita lavorativa.

In caso di violazione, sorge per l’obbligato l’obbligo risarcitorio.

Il patto di riservatezza può essere stipulato anche con un lavoratore autonomo o fornitore e può avere una durata indeterminata. Anche in questo caso, la violazione del patto può comportare il risarcimento del danno o il pagamento di una penale stabilita al momento della stipula del patto.

  1. Il Patto di non concorrenza.

È disciplinato dall’articolo 2125 del codice civile e serve ad impedire al lavoratore condotte di per sé lecite, come ad esempio impiegarsi presso un’impresa concorrente, o svolgere lui stesso attività imprenditoriale in concorrenza, una volta venuto meno il rapporto di lavoro. Per questo motivo notevoli sono i limiti ad un tale patto che potrebbe impedire il diritto al lavoro ed alla retribuzione garantiti costituzionalmente.

In base all’articolo 2125 del codice civile, il patto di non concorrenza è legittimo se rispetta i seguenti requisiti:

  1. Stipulazione per iscritto;
  2. Indicazione di un oggetto specifico indicante l’attività svolta dal lavoratore;
  3. Indicazione di un ben definito raggio territoriale di azione;
  4. Un compenso adeguato rispetto alla retribuzione in essere.

In sostanza deve essere ben identificata e precisata l’attività che il dipendente una volta risolto il rapporto di lavoro, non potrà svolgere.

Con altrettanta precisione, va individuata e limitata in ambiti ragionevoli la zona dove il patto avrà vigore.

Inoltre, il patto dovrà prevedere compenso adeguato rispetto alla retribuzione in essere. Sul punto la giurisprudenza ritiene congruo un compenso minimo determinato nella misura 10% al 30% della retribuzione in essere.

Il patto di non concorrenza è inoltre soggetto a rigorosi limiti temporali:

  • Tre anni per i normali lavoratori.
  • Cinque anni per i dirigenti.
  • Due anni per gli agenti di commercio.

Naturalmente il patto dovrà essere stipulato per iscritto.

Fabio Petracci