Il caporalato: una piaga (ancora) attuale

  1. La titolarità del rapporto di lavoro e il divieto di mercificazione della forza lavoro

La gran parte delle norme in tema di lavoro sono norme di protezione o quantomeno di responsabilizzazione del datore di lavoro.

Per questi motivi, la legge ha voluto sempre individuare la figura del datore di lavoro ed evitare che altre figure interferissero o si sovrapponessero nel rapporto contrattuale tra lavoratore e datore di lavoro.

Contestualmente ed in questa funzione protettiva si volle mantenere il collocamento dei lavoratori rigorosamente in mano pubblica.

Si voleva così evitare lo sfruttamento della manodopera che all’epoca avveniva tramite i cosiddetti caporali che reclutavano il personale e ne provvedevano alla retribuzione detraendo il proprio compenso.

Nel 1960, era emanata la legge 1369 che vietava la cosiddetta interposizione di manodopera.

La legge proibiva in maniera netta ogni forma di appalto e subappalto dove i mezzi di produzione appartenessero sotto qualunque forma all’appaltante e dove comunque fosse appaltata a terzi esclusivamente la mera prestazione di lavoro (articolo 1 legge 1369/60).

La stessa legge poneva il divieto anche a carico degli enti pubblici.

Nel caso di violazione, era prevista la sanzione di natura civilistica costituita dalla costituzione di un rapporto di lavoro a termine con i lavoratori interposti, oltre ad una ammenda.

Normalmente vi si aggiungevano le sanzioni penali per la violazione delle norme sul collocamento.

La norma quindi, all’articolo 3, nel caso di appalti leciti, sanciva il diritto al pari trattamento retributivo per i dipendenti dall’appaltatore rispetto a quanto spettante a quelli dell’appaltante.

Il successivo articolo 4 stabiliva la responsabilità solidale di appaltante ed appaltatore per la corresponsione delle retribuzioni.

Il successivo articolo 5 stabiliva invece delle deroghe al pari trattamento economico per alcuni settori produttivi dove il ricorso all’appalto era se non necessario, almeno frequente.

Nel tempo, l’economia si evolve e con essa contestualmente i rapporti di lavoro.

Principalmente si frantumava la rigidità dell’organizzazione aziendale e quindi, anche per ragioni di affrontare la concorrenza, molte lavorazioni erano esternalizzate, senza tener conto anche del fatto che in molti paesi occidentali, le agenzie interinali potevano fornire la manodopera con adeguate garanzie. Inoltre l’Italia era inserita nella Comunità Europea e come tale doveva favorire la libera concorrenza sul mercato.

La Corte di Giustizia Europea con un importante sentenza del 1997 (Cfr. Corte di Giustizia, Sez. VI, sent. 11 dicembre 1997, causa C-55/96 (par. 21) condannava l’Italia per violazione della normativa europea in tema di concorrenza, in quanto, il nostro paese aveva vietato ai privati il collocamento e l’intermediazione nel lavoro, ponendo così i pubblici uffici di collocamento in una posizione dominante che violava la normativa europea sulla concorrenza, (articolo 102 TFUE).

In poche parole, un imprenditore comunitario non poteva venire in Italia ed esercitarvi il collocamento e l’intermediazione nei rapporti di lavoro.

Era quindi emanato il cosiddetto Pacchetto Treu (legge 24 giugno 1997, n. 196 recante “Norme in materia di promozione dell’occupazione”) e quindi la legge Biagi DLGS 276/2003 che innovarono la materia.

A questo punto, la somministrazione di personale diveniva legittima purché esercitata da agenzie autorizzate e lo stesso avveniva per la selezione ed il collocamento riservati pure a soggetti qualificati e muniti di adeguati requisiti.

Al di fuori di queste ipotesi, continua a sussistere l’illecito penale basato sulle ipotesi dell’interposizione irregolare e dell’interposizione fraudolenta.

L’articolo 18 del DLGS 81/2015 disciplina e punisce la somministrazione irregolare, e stabilisce come l’esercizio non autorizzato e come tale intendendosi la somministrazione di personale da chi non sia autorizzato a ciò dia luogo a diverse e graduate sanzioni penali.

Più grave appare la somministrazione di personale fraudolente ravvisata dall’articolo 38 bis DLGS 81/2015 laddove la somministrazione irregolare è posta in essere con lo specifico fine di eludere norme inderogabili di legge e di contratto collettivo. In tal caso scatta l’ammenda pari a 20 euro a giornata per ciascun lavoratore oltre alle sanzioni previste dall’articolo 18 DLGS 276/2003 per la somministrazione irregolare.

Questo il quadro a rilevanza civile e penale stabilito dal diritto del lavoro.

  1. Gli interventi nel campo penale

Viene quindi introdotto con il DL 13 agosto 2011 n.138 recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo meglio noto come Manovra – bis , la nuova fattispecie delittuosa di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, destinata a colpire con maggior rigore il fenomeno del cosiddetto caporalato.

Esisteva presso il parlamento il disegno di legge n.2584 che aveva ad oggetto alcune misure volte a reprimere l’intermediazione illecita di manodopera.

Leggendone la relazione notiamo come fondamentalmente esso sia volto ad agire nell’ambito dell’emergenza migrazione e criminalità organizzata e volto a reprimere non tanto storture di natura contrattuale, quanto piuttosto condotte criminose che sullo sfondo avevano lo sfruttamento del lavoro altrui.

Il progetto di legge era composto da sette articoli di cui la gran parte dedicati al tema delle condizioni dei migranti ed all’integrazione degli stessi.

Solo l’articolo 4 era dedicato alla somministrazione illecita di manodopera ed allo sfruttamento dei lavoratori.

Il legislatore italiano riconosceva l’esistenza di una lacuna nella repressione penale dei fenomeni di distorsione nel mercato del lavoro.

Era così introdotta la nuova fattispecie penale dell’articolo 603 bis del codice penale.

Si pensava così di creare una norma incriminatrice in grado di intercettare quelle condotte negative più gravi della semplice violazione del DLGS 276/2003 cui abbiamo fatto cenno e meno gravi rispetto alla fattispecie di cui all’articolo 600 c.p. (riduzione in schiavitù).

La legge entrava in vigore nell’agosto 2011 e trovava collocazione nel codice nell’ambito dei delitti contro la personalità individuale.

Si voleva così sottolineare un disvalore che eccede la semplice condizione di liceità nell’interposizione e nella somministrazione di manodopera (articolo 18 DLGS 276/2003). E che forse non tiene in adeguato conto l’esistenza della più grave fattispecie della somministrazione di personale fraudolenta ravvisata dall’articolo 38 bis DLGS 81/2015.

Il testo di questo primo intervento legislativo era quindi il seguente: «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque svolga un’attività organizzata di intermediazione, reclutando manodopera o organizzandone l’attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento, mediante violenza, minaccia, o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori, è punito con la reclusione da cinque a otto anni e con la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.

Ai fini del primo comma, costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti circostanze:

1) la sistematica retribuzione dei lavoratori in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;

2) la sistematica violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie;

3) la sussistenza di violazioni della normativa in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, tale da esporre il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza o l’incolumità personale;

4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, metodi di sorveglianza, o a situazioni alloggiative particolarmente degradanti.

Costituiscono aggravante specifica e comportano l’aumento della pena da un terzo alla metà:

1) il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre;

2) il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa;

3) l’aver commesso il fatto esponendo i lavoratori intermediati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro».

Nel vecchio testo risalente al 2011 affinché sussistesse il reato di cui all’articolo 603 c.p., doveva sussistere una forma di sfruttamento realizzata mediante violenza, minaccia o intimidazione.

In diverse occasioni anche di reale sfruttamento, il reato non venne riconosciuto nelle sedi giudiziarie proprio a causa di tali ridondanti requisiti.

  1. La riforma – il nuovo articolo 603 bis c.p.

Invece, con il nuovo articolo 603 bis comma 1 si prevede il solo sfruttamento senza violenza e minaccia con pena minore.

In ogni caso, le fattispecie di reato sono applicabili solo dove il fatto non costituisca altro più grave reato.

La fattispecie di reato inoltre va oltre alla figura dei caporali come coloro che reclutano il personale in condizioni di sfruttamento, ma estende la sanzione anche a chi “utilizza, assume, o impiega manodopera” sfruttata anche senza l’intermediazione del cosiddetto “caporale”.

Dunque, è prevista l’incriminazione anche per l’utilizzatore e risultano importanti gli indici di sfruttamento.

In continuità con la precedente fattispecie penale, sono previsti degli indici specifici che fanno presumere lo sfruttamento.

Tali indici debbono essere reiterati e quindi ripetuti nel tempo, senza che serva più il requisito della sistematicità nozione che comportava una certa difficoltà interpretativa.

Valgono come indici di sfruttamento da intendersi verificati in maniera reiterata: retribuzioni palesemente difformi dai contratti, violazione orario di lavoro e riposi, violazione di norme sulla sicurezza e sull’igiene, condizioni di lavoro e di alloggio degradanti.

Non si parla più di sfruttamento dello stato di necessità, ma esclusivamente di sfruttamento dello stato di bisogno.

Per entrambi i reati, non è più necessario che siano compiuti per il tramite di una struttura organizzativa.

È introdotta la confisca obbligatoria per i proventi da reato. È possibile l’arresto in flagranza.

Alle vittime del caporalato, sono estesi i benefici previsti per le vittime della tratta.

La nuova legge prevede inoltre anche delle circostanze attenuanti per coloro che collaborano con la giustizia.

Così impostata e migliorata la norma appare come un adattamento del diritto a nuove condizioni di sfruttamento.

Di seguito, il testo attuale dell’articolo 603 bis c.p., “Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, chiunque:

1) recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori;

2) utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.

Se i fatti sono commessi mediante violenza o minaccia, si applica la pena della reclusione da cinque a otto anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato 3.

Ai fini del presente articolo, costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti condizioni:

1) la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;

2) la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie;

3) la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro;

4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti.

Costituiscono aggravante specifica e comportano l’aumento della pena da un terzo alla metà:

1) il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre;

2) il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa;

3) l’aver commesso il fatto esponendo i lavoratori sfruttati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro.

In realtà, la norma non solo è maggiormente approfondita, ma si pone come un limite estremo alla libertà di impresa non tanto nell’interesse del lavoratore, quanto piuttosto nell’interesse generale dell’essere umano.

Pertanto, la fattispecie penale di cui all’articolo 603 bis CP è stata collocata nell’ambito dei reati contro la personalità individuale assieme ai reati di tratta di esseri umani, riduzione e mantenimento in schiavitù.

La materia del sinallagma contrattuale trova già nell’ambito del diritto del lavoro numerose limitazione e norme inderogabili del diritto civile ed amministrativo, atte a tutelare la parte economicamente più debole.

Nel caso di specie l’equilibrio contrattuale è addirittura idoneo a ledere diritti fondamentali dell’individuo in quanto tale in quanto, la libertà di iniziativa economica sconfina nel campo del crimine.

Notiamo un certo parallelismo con il reato d’usura dove il componimento bilaterale di interessi divergenti viene a sconfinare dinnanzi allo stato di bisogno altrui, nel crimine.

  1. Risposte a quesiti specifici

La pratica del caporalato è posta in essere solo da associazioni di stampo mafioso? Quali sono i vantaggi economici che un’impresa ricava dallo sfruttamento illecito di manodopera?

Si tratta di un reato che può essere compiuto da chiunque, tanto che il nuovo testo dell’articolo 603 bis non prevede più il requisito dell’associazione. I vantaggi economici possono essere molteplici come il bassissimo costo della manodopera, bassissimo assenteismo, scoperture contributive. Alla fine ci rimettono i concorrenti onesti oltre che i lavoratori.

In Friuli-Venezia Giulia si ha evidenza che siano radicate delle “agromafie” o associazioni di stampo mafioso che compiono sfruttamento illecito di manodopera?

Situazioni irregolari sono state segnalate nel Friuli nel campo della viticoltura.

Molto spesso il reclutamento dei lavoratori avviene ad opera di ditte che hanno un contratto di appalto con l’impresa datrice di lavoro, la quale solitamente si dichiara estranea ai fatti: come si può capire se l’impresa datrice di lavoro è a conoscenza oppure no dei fatti di reato?

La conoscenza ha scarsa importanza, chi appalta i lavori, anche in caso di appalto lecito è solidalmente responsabile della retribuzione e della sicurezza dei dipendenti dall’appaltatore.

Secondo lei, la scelta del legislatore di dedicare una specifica fattispecie del codice penale al caporalato è stata opportuna?

Direi di no, esistono specifiche norme anche di natura penalistica che nell’ambito della normativa del lavoro sanzionano gli appalti e le somministrazioni irregolari, sarebbe stato utile potenziare questa normativa, così si rischia la creazione di troppe fattispecie concorrenti.

Perché il legislatore ha deciso di modificare il testo dell’art. 603-bis c.p.? Quali erano i problemi di applicazione della fattispecie nella versione del 2011 (L. 148/2011)?

La versione del 2011 era quasi inapplicabile, si richiedeva il ricorrere di violenza e minaccia. Spesso questi elementi non sono necessari per chi versa in uno stato di gravissimo bisogno.

In secondo luogo, gli indici di sfruttamento richiedevano il ricorrere sistematico di questi ultimi, ora basta il ripetersi di essi.

La nuova normativa punisce ora anche l’utilizzatore e non si limite alla figura del caporale intermediario, ma di chiunque crei la situazione di sfruttamento.

In questo contesto che ruolo giocano i sindacati?

Dove opera il caporalato, il sindacato non ha alcuna veste o riconoscimento, può operare a livello di denunce, in diversi posti lo sta facendo.

Fabio Petracci