Lvoro precario

Collaborazioni etero organizzate dal committente

La norma

  1. A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali.10
  2. La disposizione di cui al comma 1 non trova applicazione con riferimento:
    a) alle collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore;
    b) alle collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali;
    c) alle attività prestate nell’esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni;
    d) alle collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I., come individuati e disciplinati dall’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289;7 8 12
    d-bis)  alle collaborazioni prestate nell’ambito della produzione e della realizzazione di spettacoli da parte delle fondazioni di cui al decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367; 5
    d-ter)  alle collaborazioni degli operatori che prestano le attività di cui alla legge 21 marzo 2001, n. 74 9.
  3. Le parti possono richiedere alle commissioni di cui all’articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, la certificazione dell’assenza dei requisiti di cui al comma 1. Il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro.
  4. La disposizione di cui al comma 1 non trova applicazione nei confronti delle pubbliche amministrazioni. 6

Commento

  1. Tertium genus?

La norma richiamata, così come risultante dalla modifica di cui al d.l. 101/2019, conduce immediatamente l’attenzione sulla riflessione relativa alla dicotomia tra autonomia e subordinazione nel diritto del lavoro italiano.

Già in passato, con l’introduzione delle collaborazioni continuate e continuative, e, in seguito, delle collaborazioni a progetto, la demarcazione tra le due fattispecie diventava più sfumata, e si introduceva il concetto di “area grigia” tra le due categorie; questo, comunque, non ha mai condotto all’avallo, né nella dottrina, né nella giurisprudenza, della costruzione teorica di un tertium genus tra autonomia e subordinazione.

In tale dibattito, la norma in esame costituisce un punto di snodo, in quanto prevede l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato alle collaborazioni personali e continuative in cui le modalità di esecuzione della prestazione sono organizzate dal committente (c.d. collaborazioni etero-organizzate).

Rispetto ad essa, la recente pronuncia 1663/2020 della Corte di Cassazione ha fornito indicazioni rilevanti per posizionare la fattispecie all’interno della dialettica tra subordinazione e autonomia e interpretarla correttamente. La sentenza ha ad oggetto la conferma dell’applicabilità dell’art. 2, c. 1, e dunque della disciplina del lavoro subordinato, ai rapporti di lavoro dei ciclofattorini di Foodora e contiene chiarimenti su una serie punti critici sollevati dalla norma.

L’argomentazione inizia con una sintesi dei principali approdi raggiunti nel tempo dalla dottrina riguardo l’interpretazione dell’articolo 2 comma 1, che si ritiene utile riportare:

a) una prima via, che segue inevitabilmente il metodo qualificatorio, preferibilmente nella sua versione tipologica, è quella di riconoscere alle prestazioni rese dai lavoratori delle piattaforme digitali i tratti della subordinazione, sia pure ammodernata ed evoluta;

b) una seconda immagina l’esistenza di una nuova figura intermedia tra subordinazione e autonomia, che sarebbe caratterizzata dall’eteroorganizzazione e che troverebbe nell’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2015 il paradigma legale (teoria del tertium genus o del lavoro etero-organizzato);

c) la terza possibilità è quella di entrare nel mondo del lavoro autonomo, dove tuttavia i modelli interpretativi si diversificano notevolmente essendo peraltro tutti riconducibili nell’ambito di una nozione ampia di parasubordinazione;

d) infine, vi è l’approccio “rimediale”, che rinviene in alcuni indicatori normativi la possibilità di applicare una tutela “rafforzata” nei confronti di alcune tipologie di lavoratori (quali quelli delle piattaforme digitali considerati “deboli”), cui estendere le tutele dei lavoratori subordinati.”

Tra questi orientamenti, la Corte accoglie apertamente l’ultimo, affermando che l’intento del legislatore, quasi in un’ottica di riequilibrio dopo la soppressione delle collaborazioni a progetto, sia stato quello di individuare indici fattuali (personalità, continuità, etero-organizzazione)  tipici di situazioni di debolezza economica e contrattuali tale da meritare l’applicazione della disciplina della subordinazione, in maniera quasi automatica, e cioè “esonerando da ogni ulteriore indagine il giudice che ravvisi la concorrenza di tali elementi nella fattispecie concreta e senza che questi possa trarre, nell’apprezzamento di essi, un diverso convincimento nel giudizio qualificatorio di sintesi».

Per l’individuazione di tali indici fattuali, la sentenza definisce il parametro della etero – organizzazione, in termini di «elemento di un rapporto di collaborazione funzionale con l’organizzazione del committente, così che le prestazioni del lavoratore possano, secondo la modulazione unilateralmente disposta dal primo, opportunamente inserirsi ed integrarsi con la sua organizzazione d’impresa». La nozione, quindi, differisce dal coordinamento espresso dall’ all’art. 409, n. 3, c.p.c in quanto quest’ultimo è stabilito di comune accordo dalle parti, mentre nel caso in esame «è imposto dall’esterno, appunto etero-organizzato».

Attenta dottrina[1] ha delineato la differenza concettuale che sussiste tra questa nozione e quella della etero direzione, tipica della subordinazione: mentre quest’ultima è intrinseca al contratto e allo scambio con il salario, la eteroorganizzazione della prestazione è un elemento esterno rispetto alla struttura del contratto, in cui il lavoratore è, sì, tenuto ad adeguare la propria attività alla organizzazione del committente, ma il committente non ha il potere di conformare la prestazione mediante le proprie direttive.

La distanza tra la fattispecie in esame e il lavoro subordinato pone un interrogativo su come la legge applichi la disciplina del lavoro subordinato ad un lavoratore assoggettato al potere organizzativo ma non a quello direttivo. L’operazione è stata spiegata dalla dottrina nei termini di un allentamento dei «vincoli tipologici che presiedono alla dinamica fattispecie-effetti»[2] o, più direttamente, di separazione della fattispecie dagli effetti, in forza di una esigenza rimediale, cioè quella che la Corte afferma espressamente di adottare.

Questo significa che, posto che all’origine di una collaborazione etero-organizzata è ipotizzabile la stipulazione di un contratto di lavoro non subordinato, l’art. 2 prende in considerazione non un contratto, ma un rapporto di lavoro nei suoi caratteri fattuali, che presentino le caratteristiche della etero-organizzazione unilateralmente imposta dal “committente”. Questo carattere del rapporto di lavoro, evidentemente, viene ritenuto tanto equivalente alla dipendenza del lavoratore subordinato, da legittimare l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato ad un rapporto non etero diretto.

Questa lettura risulta confermata da diversi passaggi della motivazione della sentenza, ad esempio quello in cui si afferma che “quando l’etero-organizzazione accompagnata dalla personalità e dalla continuità della prestazione rende il collaboratore comparabile ad un lavoro dipendente, si impone una protezione equivalente e quindi il rimedio dell’applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato”[3] e che non ha “decisivo senso interrogarsi sul se tali forme di collaborazione, […] siano collocabili nel campo della subordinazione ovvero dell’autonomia, perché ciò che conta è che per esse, in una terra di mezzo dai confini labili, l’ordinamento ha statuito espressamente l’applicazione delle norme sul lavoro subordinato, disegnando una norma di disciplina” e, dunque, non risulta necessario neanche inquadrare la fattispecie in un tertium genus.

“Più semplicemente, al verificarsi delle caratteristiche delle collaborazioni individuate dall’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2015, la legge ricollega imperativamente l’applicazione della disciplina della subordinazione. Si tratta, come detto, di una norma di disciplina, che non crea una nuova fattispecie.”[4]

  1. Quale disciplina applicabile?

In ordine al distinto problema della disciplina concretamente applicabile alle collaborazioni etero organizzate, è – nuovamente – opportuno prendere le mosse da quanto affermato dalla Corte, che, al punto 40, non esclude la applicabilità in via generale della disciplina del lavoro subordinato, in quanto «la norma non contiene alcun criterio idoneo a selezionare la disciplina applicabile» e che «in passato, quando il legislatore ha voluto assimilare o equiparare situazioni diverse al lavoro subordinato, ha precisato quali parti della disciplina della subordinazione dovevano trovare applicazione». Tuttavia, al punto 41 precisa invece che «Non possono escludersi situazioni in cui l’applicazione integrale della disciplina della subordinazione sia ontologicamente incompatibile con le fattispecie da regolare, che per definizione non sono comprese n Corte di Cassazione nell’ambito dell’art. 2094 cod. civ., ma si tratta di questione non rilevante nel caso sottoposto all’esame di questa Corte.».

Da una analisi testuale della norma emerge che essa stessa, in realtà, circoscrive la portata dell’applicabilità della disciplina del lavoro subordinato alle collaborazioni etero organizzate, dal momento che, al comma 2, si legge che la disposizione di cui al comma 1«non trova applicazione con riferimento: a) alle collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore».

Da questo si evince chiaramente la natura derogabile della disciplina del lavoro subordinato applicabile alle collaborazioni, ben diversa da quella, imperativa, che caratterizza le norme dettate a protezione dei lavoratori subordinati. Tale derogabilità viene accordata «in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore», che non vengono ulteriormente circostanziate.

Posta questa differenza in termini di categorie generali, cercando di individuare quali siano i tratti della disciplina del lavoro subordinato incompatibili con il contratto di collaborazione etero-organizzata si può fare riferimento, in mancanza di indicazioni ulteriori,  alle norme relative all’esercizio di poteri datoriali che non siano quello organizzativo – l’unico al quale è sottoposto il collaboratore – come il potere direttivo e di conformazione di cui all’art. 2103 c.c., o il potere di controllo riconosciuto al datore di lavoro nei confronti del dipendente.

Proseguendo nell’analisi, il riferimento contenuto al comma 2 ai “trattamenti economici e normativi” non è sufficiente a ritenere estensibile ai collaboratori il trattamento contenuto nel contratto collettivo applicato dal datore di lavoro ai lavoratori dipendenti; in ogni caso, si ritiene applicabile l’art. 36 Cost. e, di conseguenza, il diritto alla retribuzione sufficiente mutuabile dal contratto collettivo nazionale di categoria.

Dott.ssa Laura Angeletti – Dottore di ricerca

 

[1] M.V. BALLESTRERO, La dicotomia autonomia/subordinazione. Uno sguardo in prospettiva, in LLI, I, Vol. 6, No. 2, 2020

[2] A. PERULLI, Il diritto del lavoro “oltre la subordinazione”: le collaborazioni etero-organizzate e le tutele minime per i riders autonomi, WP CSDLE, It. n. 410/2020.

[3] Cassazione, al par. 26 della sentenza Foodora

[4] Sul dibattito tra la configurazione come norma di fattispecie oppure di disciplina si vedano F. MARTELLONI, Le collaborazioni etero-organizzate al vaglio della Cassazione: un allargamento del raggio d’azione della tutela giuslavoristica, in LLI, 2020, 1, a p. 9; R. DEL PUNTA, Diritto del lavoro, Giuffrè, p. 371; A. PERULLI, Il lavoro autonomo, le collaborazioni coordinate e le prestazioni organizzate dal committente, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 272/2015; A. ZOPPOLI, La collaborazione eterorganizzata, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona” .IT – 296/2016, p. 6; A. OCCHINO, Autonomia e subordinazione nel d.lgs. n. 81/2015, in Var. Temi DL, 2016, 2, 203 ss., spec. P. 211 e 240; S. CIUCCIOVINO, Le «collaborazioni organizzate dal committente» nel confine tra autonomia e subordinazione, in RIDL., 2016, I, 3, p. 321; P. TOSI, in Le collaborazioni organizzate dal committente nel “decreto crisi”, http://csdle.lex.unict.it/.