>Chi tutela la specificità delle categorie professionali, come quadri, ricercatori, lavoratori parasubordinati?
- La Convenzione.
E’ stata stipulata tra soggetti di matrice e funzione molto diversa, da una parte Ispettorato del lavoro soggetti pubblici istituzionali e dall’altra parte Confindustria, Cgil Cisl e Uil, soggetti importanti, ma non unici, del mondo sindacale.
Nell’ambito della convenzione è ritenuta fondamentale l’importanza della rappresentatività sindacale e del monitoraggio della contrattazione collettiva.
Si lega pertanto l’attività di contrattazione di per sé libera ed autonoma anche in forza dei principi costituzionali espressi dall’articolo 39 della Costituzione ed in assenza di una sua attuazione, al monitoraggio di Confindustria e di due enti pubblici di cui l’Ispettorato del Lavoro delegato a compiti di controllo ed investigazione sui numerosi illeciti in materia di lavoro e che spesso lamenta carenze di organico. Dall’altra parte Confindustria che rappresenta solo parzialmente i datori di lavoro, basti pensare, alle miriadi di piccole e medie aziende del nostro territorio, e Cgil, Cisl, Uil organizzazioni sindacali generalisti e ricollegabili in qualche modo a correnti di pensiero politico sociale non integralmente rappresentate da queste ultime organizzazioni.
L’oggetto dell’attività concordata è dato dalla certificazione della rappresentatività delle organizzazioni sindacali ai fini della contrattazione.
Per definire il livello di rappresentatività si ricorre ad un duplice criterio costituito dal dato elettorale per le elezioni delle RSU, dove in molti casi possono operare in azienda le RSA in forza dell’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori, da una parte e dall’altra dal dato associativo ricavato dalle deleghe date dai singoli dipendenti al datore di lavoro dove in molti casi è ancora aperta la questione del diritto delle organizzazioni sindacali minori ad ottenere il pagamento mediante delega.
I dati confluiscono poi in una banca dati tenuta dall’Inps ed affidati ad un apposito comitato di gestione.
- Gli antecedenti.
Il riferimento va in primo luogo all’accordo interconfederale tra Confindustria, Cgil, Cisl, e Uil del 28 giugno 2011 che già prevedeva una simile procedura e simile contenuto, ma non vedeva tra i firmatari INPS ed Ispettorato del Lavoro, pur riferendosi ad accertamenti dell’Inps e prevedeva un ruolo per il Cnel come punto di raccolta e di esame dei dati.
L’accordo prevedeva inoltre tutta una serie di limitazioni tra cui la possibilità di sottoposizione a referendum per i contratti stipulati dalle sole RSA.
Di seguito, in data 10 gennaio 2014, Confindustria, Cgil, Cisl e Uil redigevano un testo unico sulla Rappresentanza ai fini della contrattazione nazionale di categoria e sulle rappresentanze in azienda, nonché sull’efficacia della contrattazione collettiva nazionale di categoria e sulle procedure di raffreddamento in caso di conflitti sindacali.
Anche il testo unico qui menzionato prevedeva il coinvolgimento del Cnel nella raccolta dei dati e l’accertamento della rappresentatività in forza della media ponderale tra i risultati delle elezioni RSU.
Nella seconda parte (Regolamentazione delle Rappresentanze in Azienda), sono elencate tutta una serie di clausole atte a favorire la costituzione di RSU in luogo delle RSA stabilendo come, alla scadenza delle RSA il 50% dei dipendenti, sia sufficiente per il passaggio al regime delle RSU, quindi si richiama l’intero accordo interconfederale del 1993 per la costituzione delle RSU.
Nella parte concernente la contrattazione collettiva l’ammissione alla contrattazione è riservata alle organizzazioni sindacali firmatarie dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e del successivo protocollo del 31 maggio 2013 che abbiano, nell’ambito di applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, una rappresentatività non inferiore al 5%, considerando a tale fine la media fra il dato associativo (percentuale delle iscrizioni certificate) e il dato elettorale (percentuale voti ottenuti su voti espressi).
Rappresentatività e Contratti Pirata.
Tra gli antefatti di questi interventi, troviamo la questione dei cosiddetti contratti pirata.
La questione è stata a lungo trattata anche a livello mediatico.
In data 17.7.2019, si teneva presso il Cnel un incontro di studio avente ad oggetto la dimensione e la qualità dei contratti collettivi. Vi partecipavano il presidente del Cnel professor Tiziano Treu, il sottosegretario al lavoro Luciano Cominardi, il presidente dell’Inps professor Pasquale Ytridico, il consigliere del Cnel dottor Claudio Lucifora ed il dirigente Inps Luciano Montaldi.
In quell’ambito era posta l’attenzione sul dumping sociale dato da contratti collettivi con minimi retributivi inferiori a quelli indicati dalla ordinaria contrattazione collettiva. Le soluzioni in quell’occasione erano individuate nell’introduzione del minimo contrattuale, nell’emanazione di una legge in merito alla rappresentatività sindacale, in una regolamentazione strettamente sindacale della rappresentatività ad evitare il fenomeno di questa tipologia di contratti.
Ne discendeva però aperta e favorita l’ipotesi di un deciso intervento legislativo in tema di salario minimo o di rappresentatività sindacale. Chi scrive sommessamente ritiene che un ferreo controllo delle clausole contrattuali essenziali ad introdurre minimi retributivi definiti pirata potrebbe evitare il fenomeno di questa contrattazione deteriore dal momento che presso il Cnel è stato creato un efficiente ed aggiornato archivio informatico dei contratti collettivi.
Effettivamente il livello particolarmente basso delle retribuzioni nel nostro paese costituisce un problema emergente e complesso di cui l’aspetto marcatamente evidente dei contratti pirata costituisce uno degli elementi.
Va notato che il nostro ordinamento già dispone di alcuni correttivi. Il primo è ravvisabile nella normativa previdenziale che stabilisce come i contributi debbano essere rapportati alla retribuzione prevista dalla legge o dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative avuto riguardo al settore merceologico di appartenenza del datore di lavoro (articolo 1, comma 1 DL 338 del 1989, articolo 2, comma 25, legge n.549 del 1995). Altro correttivo può essere individuato nella normativa degli appalti ove il committente può esigere l’applicazione di un contratto di settore che lo metta a riparo di eventuali richieste dell’Inps o di azioni dei singoli lavoratori. Molti contratti di settore stabiliscono poi l’obbligo per il committente di inserire nel contratto di appalto la clausola per l’applicazione di una determinata normativa contrattuale. In ogni caso, in sede legislativa è all’esame l’introduzione del cosiddetto salario minimo.
Inoltre il CNEL conserva una funzione nell’ambito del sistema di certificazione della rappresentatività sindacale.
Invece, alla presenza del Ministro Nunzia Catalfo Ministro del Lavoro proveniente proprio da quel movimento politico che aveva propugnato l’introduzione del salario minimo, era firmata la convenzione Ispettorato del Lavoro, Inps, Confindustria , Cgil, Cisl, Uil di cui si è parlato.
L’attivismo dell’Ispettorato del Lavoro.
Ancor prima, una simile soluzione era preconizzata dalla Circolare n.3/2018 dell’Ispettorato del Lavoro che prevedeva nell’identificare i contratti regolari e non aventi le caratteristiche dei contratti pirata, prevalentemente quelli stipulati dalle maggiori confederazioni del lavoro individuate in Cgil, Cisl, Uil, creando non pochi dissensi nell’ambito del composito mondo sindacale.
Di seguito, sempre l’Ispettorato del Lavoro con la circolare n.9 del 10 settembre 2019 evidenziava che i soggetti privi del requisito della maggiore rappresentatività in termini comparativi , non avrebbero potuto sottoscrivere contratti collettivi idonei ed efficaci a rispettare le deleghe ricevute dalle seguenti disposizioni di legge:
− disciplinare aspetti legati alle tipologie contrattuali – art. 51 del D.Lgs. n. 81/2015;
− integrare o derogare alla disciplina del D.Lgs. n. 66/2003 in materia di tempi di lavoro;
− sottoscrivere i “contratti di prossimità” di cui all’art. 8 del D.L. n. 138/2011;
− costituire enti bilaterali – accezione nella quale rientrano anche le Casse edili – che possano svolgere le funzioni assegnate dall’art. 2, comma 1 lett. h), del D.Lgs. n. 276/2003 ( Roberto Camera , Stop ai CCNL Pirata Ipsoa 20.9.2019).
Elementi di criticità.
Nel nome di questa ritenuta emergenza, si è voluto intervenire non con la selezione dei contratti mediante criteri oggettivi, ma sulla base di criteri soggettivi di difficile attuazione sulla selezione dei soggetti che stipulano i contratti, toccando così il delicato tema della rappresentatività sindacale.
Il primo ostacolo che affronta chi si pone l’obiettivo di percorrere questa strada è dato dall’estrema complessità e variabilità che assume il concetto di rappresentatività. Essa assume forma complessa e mutevole e compendia criteri desunti dalle dinamiche sociali e dalla capacità del sindacato di esprimere o compendiare gli interessi del gruppo sociale assunto come proprio riferimento. Dunque, il primo ostacolo che deve affrontare che si pone l’obiettivo di fissare un concetto stabile di rappresentatività è quello di tener conto della variabilità e delle molteplici funzioni di questo concetto.
A tale scopo l’articolo 39 della Costituzione prefigura a parte l’obbligo di registrazione del sindacato e di assumere al proprio interno regole democratiche, un principio di totale libertà sindacale affidato alla reciproca volontà delle parti nei limiti stabiliti dalla legge.
La Corte Costituzionale nell’ambito dei numerosi interventi che si sono avvicendati nel tempo sul tema, ha adottato criteri di rappresentatività diversificati a seconda dei campi di intervento ove il sindacato era chiamato ad operare.
La costante evoluzione socio economica che accompagna la vita nazionale e l’attività del sindacato, rende quanto mai complesso il compito di elaborare uno stabile e generale concetto di rappresentatività.
I ripetuti interventi sul tema della rappresentatività del Giudice delle Leggi hanno messo in luce di volta in volta concetti e riferimenti differenziati ad evidenziare il concetto di rappresentatività.
Tramontato a seguito del referendum del 1995 il concetto di rappresentatività generale della confederazioni sindacali con l’abolizione del comma 1 dell’articolo 19 legge 300/70, il Giudice delle leggi si è attestato su di un concetto di rappresentatività testato nell’ambito del dialogo o dello scontro aziendale da ultimo con la sentenza n.231/2013.
Ne deriva ad avviso di chi scrive l’intangibilità del riconoscimento delle prerogative aziendali delle RSA anche di fronte all’accordo interconfederale che costituiva le RSU e ne disciplinava l’elezione, e la persistenza di un doppio binario di rappresentanza sindacale costituito da una parte dal dato elettorale e dall’altra dall’efficace dialogo o conflitto contrattuale. Un tanto ha confermato la Corte Costituzionale stante l’attuale disciplina legislativa.
La stessa Carta di Nizza all’articolo 28 ribadisce il diritto per i lavoratori ed i datori di lavoro a negoziare ed a concludere contratti collettivi.
Spetta al legislatore conclude infatti la Consulta, individuare i criteri di rappresentatività , magari valorizzando l’indice di rappresentatività costituito dal numero degli iscritti o introducendo un obbligo a trattare con le organizzazioni sindacali che superino una determinata soglia di sbarramento, oppure attribuendo al requisito previsto dall’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori del carattere di rinvio generale al sistema contrattuale e non al singolo contratto collettivo applicato nell’unità produttiva, o attraverso il riconoscimento del diritto di ciascun lavoratore ad eleggere rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro.
Nel frattempo ed in assenza di ulteriore regolamentazione legale la maggiore rappresentatività è data da diversi e non sempre concorrenti dati e criteri come la partecipazione al CNEL , la effettiva partecipazione alla formazione dei contratti, la composizione delle controversie di lavoro, la considerazione dell’esistenza sul campo di diverse categorie merceologiche e di tutte le categorie di lavoratori indicati all’articolo 2095 del codice civile.
Va anche precisato che ad oggi non sussiste alcun obbligo per le aziende di trasmettere i dati sull’adesione ai singoli sindacati, restando comunque fuori da ogni accordo le aziende più piccole che non sono iscritte ad alcuna organizzazione sindacale datoriale.
Un ulteriore elemento di novità, ma anche di criticità è dato dall’inserimento nell’accordo sindacale di alcuni attori istituzionali di natura pubblica, non tanto il CNEL organo collegiale deputato a rappresentare le istanze socio economico cui del resto è affidata esclusivamente la tenuta della banca dati contrattuale, quanto piuttosto dell’INPS e dell’Ispettorato del Lavoro.
Si dubita che queste due ultime amministrazioni possano dar luogo ad una selezione delle organizzazioni rappresentative in assenza di una norma di legge che le deleghi a ciò e stante la scelta in senso ampio politica di un accordo sindacale che involge soltanto determinati soggetti e le loro connotazioni di politica sindacale e sociale. L’attività dedotto appare non rientrare nei compiti principali di queste amministrazioni che spesso tra l’altro lamentano carenza di mezzi e di personale ed una certa assenza nei controlli sul lavoro. Il coinvolgimento dell’INPS appare in netto contrasto con i fini istituzionali dell’ente espressamente indicati agli articoli 3 e 4 della legge istitutiva n.1827/1935.
Anche il principio costituzionale di imparzialità della Pubblica Amministrazione di cui all’articolo 97 della Costituzione ne appare messo in dubbio.
La discriminazioni di particolari categorie di lavoratori.
Va pure tenuto presente come un accordo per la rappresentatività che si basi solo su dati numerici, appare penalizzante in maniera quasi discriminatoria per quelle categorie di lavoratori che indicate specificamente all’articolo 2095 del codice civile, come i quadri, sono portatrici di istanze non sempre collimanti con quelle di operai ed impiegati.
Quindi anche a voler accettare la rappresentatività in base agli accordi che privilegiano il dato numerico, si dovrebbero comunque individuare delle specifiche misurazioni di rappresentatività in funzione della naturale limitatezza numerica di tali ambiti professionali.
In proposito giova tener presente come la legge 30.12.1986 (norme sul Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) all’articolo 2 (composizione del Consiglio nazionale dell’Economia e del Lavoro) nell’individuare i rappresentanti delle categorie produttive stabilisce apposita rappresentanza dei quadri.
Va ricordato inoltre l’articolo 9 del DLGS 22.6.2012 n.113 che traduce la direttiva europea sui Comitati Aziendali Europei, laddove prevede al comma 2 punto b) in merito alla composizione del Cae come nel determinare il numero dei membri si debba rispettare una distribuzione dei seggi, che consenta di tener conto, per quanto possibile, della necessità di una rappresentanza equilibrata dei lavoratori in base alle attività, alle categorie di lavoratori e al sesso, e la durata del mandato.
Ancor più preciso il successivo comma 6 laddove prevede che I componenti del Cae o i titolari della procedura di informazione e consultazione sono designati per un terzo dalle organizzazioni sindacali di cui all’articolo 5, comma 1, e per due terzi dalle rappresentanze sindacali unitarie dell’impresa ovvero del gruppo di imprese nell’ambito delle medesime rappresentanze
Eguale attenzione meriterebbero poi i lavoratori para subordinati ed in particolare le collaborazioni coordinate dal committente che l’articolo 2 del Dlgs 81/2015 assimila per numerosi aspetti al contratto di lavoro subordinato.
Fabio Petracci.