CASSAZIONE: Illegittima la sanzione disciplinare per pesanti critiche sindacali di componente RSU

La Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 2520/2023 del 27.01.2023 ha ritenuto come di fronte ad un conflitto di natura sindacale, non sia consentito al datore di lavoro di intervenire con i poteri finalizzati alla tutela dell’azienda e del suo patrimonio e quindi con la sanzione disciplinare.

La Suprema Corte ha in sostanza ritenuto come di fronte al conflitto collettivo tra capitale e lavoro, ma anche nell’ambito di conflitti tra organizzazioni sindacali, il datore di lavoro sia tenuto a conservare un atteggiamento di neutralità.

La stessa Corte ha ritenuto come detta condotta debba andare oltre il semplice e basilare divieto di cui all’articolo 17 dello Statuto dei lavoratori che fa divieto ai datori di lavoro e alle associazioni di datori di lavoro di costituire o sostenere, con mezzi finanziari o altrimenti, associazioni sindacali di lavoratori, imponendo al datore di lavoro un obbligo di assoluta neutralità destinato ad arrestarsi laddove il conflitto minacci l’incolumità delle persone e l’integrità dell’azienda.

Ne consegue, secondo la Cassazione che, sebbene il datore di lavoro possa anche, in singole occasioni, schierarsi a favore di una organizzazione sindacale e contro un’altra, resta comunque precluso al datore di lavoro il ricorso ai poteri disciplinari e gerarchico-direttivi, che sono attribuiti ai soli fini del governo delle esigenze produttive dell’azienda.

In particolare, è stata ritenuta illegittima la sanzione disciplinare irrogata ad un lavoratore, membro di RSU, ritenuto responsabile di aver inviato ad alcuni colleghi e rappresentanti sindacali aziendali una e-mail ritenuta grave strumentalizzazione di un tragico evento al fine di contestare l’azienda ed i colleghi della predetta R.S.U. per essi avere raggiunto un accordo di chiusura della procedura di mobilità, che lo stesso invece aveva rifiutato di sottoscrivere.

Già in passato la Suprema Corte aveva ribadito come il datore di lavoro fosse tenuto a conservare un atteggiamento di neutralità nel conflitto tra organizzazioni sindacali, salvi solo gli eventuali interventi necessari per proteggere l’incolumità delle persone o l’integrità dell’azienda, sicché, sebbene possa anche, in singole occasioni, schierarsi a favore di una organizzazione sindacale e contro un’altra, resta precluso al datore di lavoro il ricorso ai poteri disciplinari e gerarchico-direttivi, che sono attribuiti ai soli fini del governo delle esigenze produttive dell’azienda.

La sentenza comporta l’occasione di riflettere anche sul diritto di critica da parte del lavoratore che rivesta anche funzioni di rappresentanza sindacale all’interno dell’azienda; nella figura del lavoratore sindacalista può sussistere infatti di un duplice rapporto nei confronti dell’azienda.

Il primo come lavoratore-dipendente in posizione di subordinazione rispetto al datore di lavoro e il secondo come lavoratore-sindacalista in una posizione uguale a quella della controparte datoriale.

Il criterio guida per l’esercizio legittimo del diritto di critica è individuato nel principio di continenza sostanziale, in base al quale i fatti esposti dal lavoratore – seppure in grado di nuocere alla reputazione ed all’immagine dell’azienda – debbono trovare riscontro nella realtà sulla base di criteri di veridicità ed obiettività almeno approssimativamente corrispondenti all’accaduto.

Un secondo limite è invece individuato in quella che è definita come continenza formale. Nel rispetto di tale limite, ogni espressione, anche polemica, deve comunque rispettare i parametri di correttezza e civiltà rinvenibili nelle norme del vivere civile. La manifestazione del pensiero va espressa dal lavoratore con moderazione, osservando forme linguistiche, scritte o verbali, corrette, che non diano luogo ad espressioni gratuitamente denigratorie o diffamatorie rispetto allo scopo perseguito.

In tal senso, si verifica una sorta di equilibrio tra il principio che tutela la libertà, ma anche l’attività sindacale ed i principi di cui all’articolo 2105 del codice civile che afferma l’obbligo di fedeltà del lavoratore nei confronti del datore di lavoro.

Fabio Petracci

CCNL Enti Locali: il nuovo inquadramento del personale

In data 4 agosto 2022 è stata sottoscritta la pre – intesa del nuovo contratto collettivo nazionale del Comparto Enti Locali.

Importanti sono le novità attinenti all’inquadramento che fanno seguito al decreto legge 9.6.2021 n.80 che introduce alcune importanti modifiche all’articolo 52 del DLGS 165/2001 che riguarda l’inquadramento del personale.

È quivi stabilito come i dipendenti pubblici, ad esclusione dei dirigenti e del personale della scuola, debba essere inquadrato in almeno 3 distinte aree funzionali con l’aggiunta, come vedremo, di una quarta area per le elevate professionalità.

È così abolito il tradizionale schema di inquadramento per categorie e, al posto delle precedenti categorie A, B, C, D, è stato introdotto un inquadramento per aree.

Il nuovo sistema di inquadramento parte dalla categoria degli operatori che svolgono attività di mero supporto sulla base di conoscenze generali.

Immediatamente sopra, troviamo l’area degli Operatori Esperti ex B con maggiori conoscenze professionali, ma operanti sempre in attività non discrezionali.

Nell’area Istruttori, troviamo gli appartenenti all’ex area C che svolgono quella che in precedenza era definita come attività di concetto e quindi dotati di competenze teoriche da applicarsi in attività di media complessità e discrezionalità.

All’apice dell’inquadramento, troviamo la quarta area dei Funzionari e delle Elevate professionalità. Trattasi di personale munito di laurea in grado di svolgere attività complesse per il raggiungimento di obiettivi.

Il passaggio verticale da un’area all’altra avviene per procedura valutativa.

Per i dipendenti della quarta area è prevista la possibilità di assegnazione di specifici incarichi a tempo determinato on corresponsione di una retribuzione di posizione e di risultato.

Come si potrà notare, nell’ambito di questo contratto non viene creata un’apposita quarta area delle Elevate Professionalità.

Nel caso del nuovo contratto collettivo degli enti locali, l’area funzionari comprende anche le elevate professionalità, in quanto questo contratto già prevedeva l’esistenza delle quattro aree così come previsto dal decreto legge 80/2021.

Fabio Petracci

Il provvedimento del Giudice del Lavoro sulla condotta antisindacale della Wartsila a Trieste

Pubblichiamo il provvedimento del Giudice del Lavoro di Trieste che sancisce l’antisindacalità della procedura di licenziamento collettivo adottata dall’Azienda.
L’antisindacalità trova la propria ragione d’essere nella mancata – carente informativa fornita dall’azienda.

Scarica il provvedimento

 

Comunicato di solidarietà di CIU UNIONQUADRI sulla situazione della Wartsila di Trieste

CIU UNIONQUADRI sindacato dei quadri del settore pubblico e privato esprime la propria preoccupazione per la decisione di Wartsila di abbandonare l’importante sito di Trieste – Bagnoli della Rosandra a suo tempo appartenente a Grandi Motori Trieste e poi a Fincantieri Divisione Grandi Motori. Nell’esprimere la propria solidarietà ai lavoratori tutti, UNIONQUADRI non può mancare di riferirsi alla categoria dei quadri dalla stessa rappresentata.

Quest’ultima categoria tanto ha contribuito a creare quella che oggi può considerarsi una realtà solida ed efficiente e particolarmente attiva nel campo del settore navale, della ricerca e dell’innovazione.

Grande preoccupazione è dovuta anche al fatto che la decisione adottata non risulta preceduta da alcun rilievo negativo da parte dell’azienda.

Ci attendiamo pertanto una soluzione meditata e razionale che tenga conto delle esigenze aziendali, ma anche delle legittime aspettative locali e dell’indotto, atta a preservare il patrimonio di professionalità ad oggi acquisito ed il ruolo dei quadri.

Solidarietà ai quadri ed ai dipendenti di WARTSILA.

CIU UNIONQUADRI

La Legge n.46/2022 e il riconoscimento delle Forza Armate a riunirsi in associazione e sindacati

Con la recente Legge n.46/2022, lo Stato italiano ha definitivamente sancito il diritto di riunirsi in associazioni professionali di carattere sindacale del personale delle forze armate e delle forze di polizia a ordinamento militare.

La menzionata legge è la naturale conseguenza dell’importante pronuncia delle Corte Costituzionale n.120 dell’11.04.2018 che ha statuito la parziale illegittimità costituzionale dell’art.1475, comma 2, del codice dell’ordinamento militare (D.lgs. n.66/2010).

La vicenda nasceva – in sede di giustizia amministrativa – dal contrasto tra la norma interna (appunto l’art.1475, comma 2, dell’ordinamento militare, secondo cui “i militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali”) e la norma di rango sovranazionale, da rinvenirsi in primis nell’art.11 (rubricato <libertà di riunione e di associazione>) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).

Pare necessario allora soffermarsi sulla ratio dell’impedimento imposto dalla norma nazionale ed oggetto del sindacato di costituzionalità della Corte.

Sostanzialmente, viene posto il problema della ratio individualistica del diritto all’associazionismo con il <sacro dovere> di difesa della Patria e delle Istituzioni, che involgerebbe complessivamente – senza ammettere eccezione alcuna – il corpo delle Forze Armate.

Ebbene, la Corte risolve l’indicato contrasto riconoscendo che la normativa europea non contempla limiti di categorie a cui essere applicata, ma al contempo – data la specificità della categoria interessata – debba essere disciplinata da una normativa ad hoc.

La Corte Costituzionale ha quindi dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.1475, comma 2, del D.lgs. n.66/2010, in quanto prevede che “I militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali” invece di prevedere che “I militari possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale alle condizioni e con i limiti fissati dalla legge; non possono aderire ad altre associazioni sindacali”.

Tale ultimo inciso ha la finalità di garantire l’unione della categoria, evitando il sorgere di contrapposizioni interne.

Ecco quindi spiegata la necessità di una disciplina legislativa specifica.

Sinteticamente, i tratti salienti della legge che ne è conseguita (la n.46/2022) possono così riassumersi.

I primi articoli (dall’art.1 all’art.4) delineano la natura, i principi costitutivi, nonché il dovuto iter di riconoscimento che dovrà essere attuato dal Ministero.

Norma che implicitamente comporta una sorta di sospensione della legittimità delle associazioni già presenti nel settore, che dovranno attendere l’eventuale riconoscimento ministeriale.

Nei successivi articoli (fino all’art.8 compreso) vengono indicati i principi e le disposizioni che devono regolare gli statuti, nonché gli aspetti finanziari e di bilancio.

Infine, cuore del provvedimento legislativo è dato dalla normativa concernente la rappresentatività e l’attribuzione dei poteri negoziali per esperire la contrattazione nazionale di comparto.

Al contempo, però, pur ribadendo che tale legge sana il contrasto e la parziale illegittimità rilevata dalla Corte Costituzionale, non ci si può esimere dal rilevarne alcune carenze, prima tra tutte il divieto di far parte dei sindacati per gli appartenenti delle Forze Armate in congedo.

avv. Alessandro Capuano

PARERE: Requisiti discriminatori per assunzione

Il tema riguarda un annuncio in cui veniva esplicitato che ai fini dell’assunzione fosse “preferibile” non essere iscritti ad alcun sindacato.

Nello specifico uno studio odontoiatrico richiedeva una figura “che non sia iscritta  a sindacati di categoria”.

Nell’ambito delle “convinzioni personali”, di cui all’art. 1, D.Lgs. n. 216 del 2003, rientra a pieno titolo anche il fattore di discriminazione sindacale.

Nonostante alcune nonostante alcune perplessità iniziali segnalate dalla dottrina (Trib. Roma 21 giugno 2012, in Mass. Giur. Lav., 2012, 8-9, pag. 622, con nota di A. Vallebona, Le discriminazioni per «convinzioni personali» comprendono anche quelle per affiliazione sindacale: un’altra inammissibile stortura a favore della Fiom-Cgil), il principio pare infatti oramai pacifico in giurisprudenza (Cass. 2 gennaio 2020, n. 1, in Riv. It. Dir. Lav., 2020, II, pag. 377, con nota di D. Tardivo, Estensione dell’agevolazione probatoria avverso la discriminazione al procedimento ex art. 28 St. Lav.: un chiasmo ragionevole?).

Nel caso di specie segnalato, peraltro, si tratterebbe di vera e propria discriminazione diretta, sussimibile nelle ipotesi di cui all’art. 15, L. n. 300/1970.

Il problema risiede tuttavia nelle azioni esperibili da parte delle sigle sindacali.

Le vie percorribili dai sindacati possono essere alternativamente le seguenti:

1) il sindacato potrebbe agire per tutelare un singolo lavoratore leso.

Potrebbe invero essere presentata una richiesta di assunzione da parte di un affiliato del sindacato ed ove non venisse assunto, la sigla sindacale avrebbe la possibilità di agire in giudizio per mezzo di un ricorso ex art. 28 L. n. 150/2011.

Nel caso di specie infatti, la parte lesa, titolare dell’interesse ad agire in giudizio, sarebbe un affiliato e non il sindacato stesso, ma quest’ultimo potrebbe agire in qualità di sostituto processuale, ex art. 5, D.Lgs. n. 216 del 2003.

2) il sindacato potrebbe agire per tutelare un interesse collettivo.

Potrebbe invero essere presentato un ricorso ex art. 28 L. n. 300/1970 per violazione (come detto) dell’art. 15, L. n. 300/1970 (di recente confermato da Cass. Sez. Un. sentenza n. 20819 del 21.07.2021). Ed la violazione di questa disposizione è punita, ai sensi dell’art. 38 L. n. 300/1970, “salvo che il fatto non costituisca più grave reato, con l’ammenda da lire 100.000 a lire un milione o con l’arresto da 15 giorni ad un anno. Nei casi più gravi le pene dell’arresto e dell’ammenda sono applicate congiuntamente”.

Tra le due vie prospettate quella che consiglia lo scrivente è la seconda. Non solo perché la seconda darebbe maggior valore al sindacato in qualità di sigla sindacale, ma anche perché la prima via potrebbe incontrare limiti sul piano probatorio, dovendosi dimostrare in giudizio che il concreto motivo per cui l’associato non è stato assunto è imputabile alla sua affiliazione sindacale.

Ove non si volesse esperire nessuna delle due azioni, potrebbe comunque essere fatto un esposto alla Procura della Repubblica per tutelare le conseguenze penali derivanti dalla discriminazione, senza dover necessariamente passare per le vie dell’art. 28 L. n. 300/1970.

Fabio Petracci

Paolo Iervolino

CENTRO STUDI CIU UNIONQUADRI

Lvoro precario

Salario minimo sì, ma a quale prezzo?

Quando si parla del c.d. salario minimo, non va di certo dimenticato che ogni lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

E se i prestatori di lavoro subordinato si distinguono in dirigenti, quadri, impiegati e operai, è necessario sottolineare che un intervento legislativo sul salario minimo dovrà necessariamente tenere conto di ogni tipo di lavoratore.

La CIU ha più volte espresso di essere favorevole rispetto ad un intervento legislativo sul tema, purché però si tenga debitamente conto di ogni categoria di prestatore di lavoro subordinato. L’introduzione di un minimo al di sotto del quale non poter scendere sarebbe infatti una conquista di civiltà, prim’ancora che giuridica, secondo la CIU.  Ma ciononostante non bisognerebbe poi dimenticare che la stessa Costituzione impone di dover trattare in modo differente i lavoratori a seconda della quantità e qualità del lavoro svolto.

Ecco dunque perché la CIU ritiene anche fondamentale dover confermare il ruolo del sindacato nella declinazione del salario minimo predeterminato dalla legge all’interno del contratto collettivo, perché è solamente in sede sindacale che può trovare ricomposizione il conflitto.