Intervento del Presidente del Centro Studio, Fabio Petracci in occasione del seminario “Salario minimo garantito” tenutosi a Milano il 14 luglio scorso.
Le esigenze dei quadri e delle specifiche rappresentanze professionali.
L’introduzione di un salario minimo può comportare significative conseguenze sia sul piano della contrattazione collettiva, sia su quello della rappresentatività delle organizzazioni sindacali.
Rileviamo però che non si tratta di un’interdipendenza assoluta ed inevitabile in tutte le sue conseguenze.
Verificheremo la possibilità di introdurre un salario minimo senza influire in maniera significativa sullo stato attuale della contrattazione collettiva e della rappresentatività.
Verificheremo inoltre le inevitabili ricadute dell’introduzione del salario minimo sulle dinamiche contrattuali delle categorie che direttamente non paiono interessate al salario minimo, come la categoria dei quadri.
Effettueremo le nostre riflessioni sulla base delle normative vigenti che possono accompagnare l’introduzione di un salario minimo.
La direttiva comunitaria limiti ed effetti.
La direttiva non contiene e peraltro non potrebbe contenere misure atte ad incidere direttamente sul livello delle retribuzioni nei singoli paesi della Comunità. Il trattato di funzionamento dell’Unione Europea all’articolo 135 vieta alla Comunità di intervenire sulle retribuzioni imponendo “vincoli amministrativi, finanziari e giuridici.
Essa invece, si limita, una volta intrapresa dal singolo governo la scelta di fissare un minimo salariale o tramite norma di legge o tramite contrattazione collettiva, ad integrare e completare le necessarie azioni degli stati membri, limitandosi a dei principi generali.
La direttiva fornisce in pratica una guida ed una cornice di attuazione.
Essa assume una rilevanza comunitaria più che nazionale, ponendosi non come limite, ma quale correttivo alla competitività esterna dei membri della Comunità Europea.
La direttiva punta ad istituire un quadro per fissare salari minimi ed equi.
Essa si limita a stabilire delle procedure per assicurare l’adeguatezza dei salari minimi e promuovere la contrattazione collettiva laddove essi esistono.
In pratica, una volta che uno stato membro si doti di un salario minimo dovrà stabilire un quadro procedurale per fissare ed aggiornare i salari minimi.
La normativa comunitaria, infatti, prevede che laddove via sia il salario minimo legale, questo debba essere pari almeno al 60% del salario mediano lordo nazionale e al 50% del salario medio lordo nazionale (parametri Ocse riconosciuti a livello internazionale). Inoltre, il salario minimo deve essere al di sopra della soglia di dignità, valutata non sull’individuo ma sul nucleo familiare, in funzione del potere d’acquisto calcolato sull’accesso a un paniere di beni e servizi essenziali a prezzi reali, comprensivi di Iva, contributi di sicurezza sociale e servizi pubblici. In sostanza, si lega la fissazione del minimo da un lato alla media delle retribuzioni generali del Paese, e dall’altro al potere d’acquisto reale delle famiglie.
Sono infatti previsti degli aggiornamenti periodici.
Le ricadute sul nostro sistema retributivo.
Nel nostro paese le retribuzioni minime non arrivano al 60% del salario medio proposto dalla UE.
Ci si chiede se potrà scattare l’obbligo di adeguarsi.
E’ inoltre in corso una notevole inflazione destinata con l’incombente crisi economica a ridurre rapidamente il potere di acquisto dei salari.
Esistono numerose aree di lavori atipici dove sussistono problemi di adeguatezza della retribuzione.
L’articolo 36 della Costituzione.
Per converso, nell’ambito del nostro ordinamento è estremamente importante la funzione dell’articolo 36 della Costituzione che riferisce l’adeguatezza della retribuzione non solo ai bisogni esistenziali del lavoratore, ma anche alla quantità e qualità del lavoro.
Dunque anche la proporzionalità delle retribuzioni rispetto alla qualità delle mansioni svolte assurge a principio costituzionale.
Questa norma, fondamentale per il riferimento della Costituzione al lavoro, non comporta una riserva normativa o contrattuale in favore dei sindacati per il regolamento dei rapporti di lavoro. (Corte Costituzionale n.106/1962). In quell’occasione, la Corte Costituzionale era chiamata a pronunciarsi in merito ad alcuni articoli della cosiddetta “Legge Vigorelli”.
E’ dunque possibile un intervento legislativo sul salario minimo che non comporti automaticamente la revisione delle regole sulla rappresentatività.
E’ necessario poi adeguare le retribuzioni dei lavoratori ad alta professionalità ai minimi contrattuali introdotti.
Eventuali altre ricadute.
Ciò non significa che l’introduzione per legge di un salario minimo non possa comportare conseguenze contrattuali e retributive al di fuori della stretta sfera di osservanza dello stesso.
Conseguentemente, le parti sociali sarebbero inevitabilmente condizionate dall’importo fissato come minimo legale anche per quanto riguarda la determinazione delle retribuzioni relative ai lavoratori inquadrati in qualifiche superiori rispetto a quelle interessate dal minimo legale. E così, anche per esse dovrebbero prevedere nei successivi rinnovi contrattuali incrementi proporzionali. Inoltre, sino a quando non vi sia un complessivo intervento di riadeguamento da parte dei rinnovi dei contratti collettivi, si potrebbe dubitare della rispondenza al criterio di proporzionalità dei minimi contrattuali relativi alle qualifiche superiori che, pur essendo rispettose del minimo legale, risultino uguali o solo lievemente superiori rispetto al minimo legale riconosciuto alle qualifiche inferiori.
In sostanza, l’aumento dei salari più bassi potrebbe incidere con un effetto a cascata anche su quelli più alti.
Esso potrebbe costituire inoltre uno stimolo per le organizzazioni sindacali ad ulteriori richieste retributive.
Potrebbe però anche verificarsi l’ipotesi che diversi livelli di inquadramento vengano sotto l’aspetto retributivo appiattiti.
Chi tutela la specificità delle categorie professionali, come quella dei quadri e di altre categorie particolarmente qualificate?
L’introduzione di una base di partenza retributiva appare idonea a rafforzare le dinamiche contrattuali e la tutela delle categorie destinate ad un ipotetico appiattimento delle loro posizioni.
Potrebbe infatti verificarsi un drenaggio di risorse contrattuali a danno delle categorie più alte o invece, come già accennato, un automatico livellamento retributivo.
Riteniamo quindi che nell’ambito della contrattazione e della rappresentatività dovrebbe essere riservato adeguato spazio alle istanze delle categorie maggiormente professionalizzate, come i quadri.
Trattasi non dimentichiamo di ambiti professionali destinati logicamente ad uno spazio di rappresentatività numerica limitato.
In tale ambito, l’associazione dei quadri non contesta la rappresentatività delle organizzazioni sindacali generaliste e non contesta neppure il ruolo della contrattazione collettiva nell’ambito della determinazione del salario minimo in concorrenza con la fonte legale.
Ciò che invece determina la nostra opposizione è il tentativo di imporre in forma surrettizia di una legge che attui l’articolo 39 della Costituzione una determinazione delle regole sulla rappresentatività da parte dei soggetti che ne dovrebbero divenire i destinatari.
Ci riferiamo in primo luogo all’accordo del 10 gennaio 2014 tra Confindustria, CGIL, CISL e UIL che redigevano un testo unico sulla rappresentanza ai fini della contrattazione nazionale di categoria e sulle rappresentanze in azienda.
Nella parte concernente la contrattazione collettiva l’ammissione alla contrattazione era riservata alle organizzazioni sindacali firmatarie dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e del successivo protocollo del 31 maggio 2013 che abbiano, nell’ambito di applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, una rappresentatività non inferiore al 5%, considerando a tale fine la media fra il dato associativo (percentuale delle iscrizioni certificate) e il dato elettorale (percentuale voti ottenuti su voti espressi).
Ne seguiva la convenzione del 19 settembre 2019 tra INPS, Ispettorato Nazionale, del Lavoro, Confindustria CGIL, CISL, UIL, per ammettere alla contrattazione collettiva le sole organizzazioni sindacali rientranti nei parametri di cui all’accordo del gennaio 2014.
A tali accordi faceva seguito la circolare 3/2018 ed ulteriori interventi dell’Ispettorato del Lavoro volti a riconoscere esclusivamente CGIL, CISL, UIL quali parti contrattuali.
Questi interventi erano determinati dalla necessità di contrastare il diffondersi dei cosiddetti contratti pirata.
Nel nome di questa emergenza, si è voluto intervenire non con la selezione dei contratti mediante criteri oggettivi, ma sulla base di criteri soggettivi di difficile attuazione, sulla selezione dei soggetti atti a stipulare i contratti, eludendo così il delicato tema della rappresentatività sindacale.
Il sindacato dei quadri anche in ragione delle esigenze sopra menzionate, auspica che il dumping sociale e l’introduzione di un minimo salariale vengano introdotti senza interventi che non siano di legge sullo stato attuale della rappresentatività e che tengano conto delle emergenti e specifiche esigenze delle specifiche categorie professionali.
Fabio Petracci.