Un recente articolo dal titolo “Lies, Damned Lies, and Statistics: un’indagine per comprendere le reali dimensioni della diaspora dei giovani italiani[1]”, a cura della Fondazione Nord-Est e Talented Italians in UK dell’Eurostat, ha destato un certo clamore mediatico. Invero, analizzando i flussi migratori degli italiani nel decennio 2011/2021, gli autori hanno scoperto che 1.3 milioni di loro, in una fascia d’età compresa tra i 20 e 34 anni, sono andati a vivere all’estero. Lo studio ha altresì evidenziato due importanti aspetti della nuova migrazione:
A) a differenza dei numeri ufficiali Istat, secondo cui gli italiani andati all’estero, nel periodo analizzato, sarebbero 450 mila circa, la realtà dei fatti è ben più drammatica. Secondo gli autori questo dato dev’essere moltiplicato per 3, per dare un’immagine reale dello stato del fenomeno. Esiste, infatti, un divario notevole tra il numero dei giovani emigrati che si iscrivono all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE), e che poi risultano conteggiati nei dati Istat, e quelli risultanti, invece, dagli uffici statistici dei paesi stranieri di arrivo; e
B) la grande percentuale (30%) di persone laureate che abbandonano l’Italia. Il c.d. brain drain, fuga dei cervelli, genera, secondo una stima del centro studi di Confindustria, una perdita di un punto di Pil all’anno, pari a 14 miliardi di euro.
Le cause di questo fenomeno sono principalmente legate alla cultura economica e sociale italiana, che, inevitabilmente, si riflette nella mancanza di un’adeguata offerta di opportunità e anche di retribuzioni. Per di più gli autori ritengono che sia assai verosimile che le stesse cause che inducono i giovani italiani ad andar via, scoraggino i giovani di altri paesi a venire in Italia, nonostante la sua rinomata bellezza.
Per invertire questo fenomeno servono politiche credibili ed affidabili. Uno degli strumenti adottati per invertire la rotta è stato il decreto Crescita nel 2019, che prevedeva un’agevolazione per chi avesse fatto ritorno in Italia. Tuttavia, la manovra recentemente approvata dal Consiglio dei ministri, in esame in questo articolo, ha ridotto notevolmente gli incentivi e con essi anche l’attrattività del ritorno.
Premessa
Il 28 dicembre scorso è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il D. Lgs. 20/2023 di attuazione della riforma fiscale in materia di fiscalità internazionale. L’articolo 5, rubricato nuovo regime agevolativo a favore dei lavoratori impatriati, e seguenti modificano il precedente regime, art. 16, comma 3, del D.Lgs. 147/2015, e la successiva modifica introdotta con l’art. 5, commi 2 bis, ter, e quater del D.L. 34/2019.
Il recente Decreto si inserisce nella lunga scia di provvedimenti[2], emanati dal governo, per incentivare il rientro in Italia dei cosiddetti “cervelli in fuga”, ovvero figure professionali di alto livello, che abbiano acquisito una notevole esperienza professionale all’estero. A differenza dei provvedimenti precedenti, tuttavia, l’ultimo intervento del governo Meloni riduce in maniera significati i benefici fiscali nei confronti degli impatriati[3].
Condizioni Generali a favore dei lavoratori impatriati
Ai sensi dell’art. 7 della nuova disposizione, il regime si applica ai contribuenti che trasferiscono la residenza fiscale[4] nel territorio dello Stato a partire dal 1º gennaio 2024 e che percepiscono, ai sensi dell’art. 5, i seguenti redditi:
- redditi di lavoro dipendente,
- redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, e
- redditi di lavoro autonomo derivanti dall’esercizio di arti e professioni.
Per tali contribuenti è previsto un abbattimento dell’imponibile fiscale del 50% entro un limite massimo di €600.000 euro[5]. Si tratta di due novità rispetto al precedente dettato normativo che prevedeva un’agevolazione del 70%, che raggiungeva il 90% per i lavoratori che trasferivano la loro residenza al Centro-Sud e nessun un tetto massimo reddituale. La normativa richiede che per usufruire delle suddette agevolazioni debbano ricorrere le seguenti condizioni:
- i lavoratori si impegnano a risiedere fiscalmente in Italia per un periodo di tempo corrispondete a quello di cui al comma 3, ossia cinque anni;
- i lavoratori non devono essere stati fiscalmente residenti in Italia nei tre periodi d’imposta precedenti il loro trasferimento. Se il lavoratore presta la propria attività lavorativa, al suo rientro in Italia, alle dipendenze dello stesso datore di lavoro oppure in favore di un soggetto appartenente al medesimo gruppo, il requisito di permanenza all’estero è di:
- Sei anni, se il contribuente non ha lavorato in Italia a favore dello stesso datore di lavoro oppure di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo;
- Sette anni, se il contribuente, prima del suo trasferimento all’estero, ha lavorato alle dipendenze del medesimo datore di lavoro oppure di altro datore di lavoro appartenente allo stesso gruppo.
- l’attività lavorativa deve essere prestata per la maggior parte del periodo d’imposta nel territorio dello Stato;
- i lavoratori devono essere in possesso requisiti di elevata qualificazione o specializzazione come definiti dal D.Lgs 108/2012 e dal D.Lgs. 206/2007.
Per quanto riguarda la definizione di soggetti appartenenti al medesimo gruppo, essi si identificano in coloro che hanno un rapporto di controllo diretto o indiretto ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, del Codice civile oppure che sono sottoposti al comune controllo diretto o indiretto da parte di un altro soggetto. La norma precisa che, qualora la residenza fiscale non sia mantenuta per almeno 4 anni consecutivi al rientro in Italia, il lavoratore decade dai benefici e l’Agenzia delle Entrate provvede al recupero delle imposte nel frattempo risparmiate e dei relativi interessi.
Sulla base dei nuovi requisiti appare chiaro che vi siano numerose differenze rispetto alla precedente normativa. In particolare, è stato introdotto il requisito dell’elevata specializzazione e qualificazione che deve possedere il lavoratore richiedente, ai sensi del D.Lgs 108/2012 e dal D.Lgs. 206/2007.
Ne consegue che il nuovo regime viene riservato a coloro che risultino in possesso di:
- un titolo di istruzione superiore, rilasciato da autorità competenti nel Paese dove è stato conseguito, che attesti il completamento di un percorso di istruzione superiore di durata almeno triennale e della relativa qualifica professionale superiore, come rientrante nei livelli:
- 1 (legislatori, imprenditori e alta dirigenza);
- 2 (professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione) e
- 3 (professioni tecniche) della classificazione ISTAT delle professioni CP 2011, attestata dal paese di provenienza e riconosciuta in Italia[6];
- dei requisiti previsti dal D.LGS 206/2017 limitatamente all’esercizio delle professioni ivi regolamentate.
Risulta allungato sia il periodo di residenza all’estero (3 anni contro i precedenti 2) sia quello di permanenza in Italia al momento del rientro (5 anni contro i precedenti 2).
A differenza della precedente normativa, i nuovi incentivi fiscali non trovano più applicazione per i soggetti che rientrano in Italia per svolgere attività d’impresa, che prima, invece, erano soggetti ad un trattamento agevolato.
Rispetto alle versioni precedenti del testo, infine, la versione definitiva ora contempla la possibilità di svolgere attività lavorativa in Italia in continuità con quella svolta all’estero. Ciò riguarda tutti i lavoratori che rientrano con un trasferimento infragruppo in cui il nuovo datore di lavoro appartenga allo stesso gruppo multinazionale del datore di lavoro estero.
Lavoratori con Figli Minori
L’abbattimento dell’imponibile fiscale di cui al comma 1, dell’art. 5, raggiunge il 60% (invece del 50%) per il lavoratore impatriato che:
- si trasferisce in Italia con un figlio minore;
- diventi genitore ovvero adotti un minorenne durante il periodo di fruizione del regime. In tal caso il maggior beneficio fiscale inizia a decorrere dal periodo d’imposta in corso al momento della nascita o dell’adozione e per il tempo residuo di fruibilità dell’agevolazione.
In entrambe le ipotesi è richiesto come condicio sine qua non che il figlio minore o adottato sia residente nel territorio dello Stato insieme al lavoratore che si avvale del beneficio.
Iscrizione AIRE
Resta confermata, invece, la norma per cui il beneficio fiscale spetta:
- ai cittadini italiani iscritti all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE), e
- a quelli che non sono iscritti all’AIRE purché siano stati fiscalmente residenti in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi nel periodo di tre anni richiesto dal comma 1, lettera a).
Proroga Triennale
A differenza del precedente regime, il nuovo testo di legge adottato dal governo Meloni non prevede una proroga dei benefici fiscali per ulteriori 5 anni, in caso di acquisto di un immobile di tipo residenziale oppure in presenza di prole minorenne a carico al rientro in Italia.
Tuttavia, i lavoratori che trasferiranno la residenza anagrafica in Italia nell’anno 2024, potranno beneficiare di una proroga delle agevolazioni, per ulteriori 3 periodi di imposta, a condizione che essi diventino proprietari, entro il 31 dicembre 2023 e, in ogni caso nei 12 mesi precedenti al trasferimento, di un’unità immobiliare di tipo residenziale adibita ad abitazione principale in Italia.
Docenti e Ricercatori
Le nuove modifiche non riguardano gli incentivi fiscali per i “docenti e ricercatori” che rientrano a lavorare in Italia, per essi, infatti, continuano a rimanere valide le vecchie regole sia come misura percentuale delle agevolazioni, sia per quanto riguarda i requisiti. L’art. 44 del D.L. 78/2010, al quale si rimanda, statuisce un’esenzione del 90% del reddito derivante da lavoro autonomo o dipendente per i docenti e ricercatori a condizione che trasferiscano la propria residenza in Italia.
Di Francesco Rizzo Marullo
Avvocato cassazionista e consulente fiscale negli Stati Uniti abilitato presso l’agenzia delle Entrate American (IRS)
[1]Per maggiori informazioni si inviata alla consultazione del sito della Fondazione Nord Est: https://www.fnordest.it/web/fne/content.nsf/0/207F7347275379C9C1258A4E002C8CCC/$file/Paper%20FINALE%20-%20Ottobre%202023.pdf?openelement
[2] Il primo provvedimento risale al 2003, con il D.L. 269/2003.
[3] È bene ricordare che l’attuale testo è stato oggetto di numerose modifiche, dopo le polemiche scaturite da una circolazione “non autorizzata” della bozza del provvedimento a fine ottobre.
[4] Ai sensi dell’articolo 2 del TUIR.
[5] Purché nel rispetto dei limiti previsti dai regolamenti UE per gli aiuti de minimis, pari a 200mila euro nell’arco di tre anni.
[6] Si veda l’art.1, comma 1, lett.a del D.Lgs. 108/2012 dal titolo: Attuazione della Direttiva 2009/50/CE sulle condizioni d’ingresso e soggiorno di Paesi Terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati. Entrato in vigore l’8/08/2012 in G.U. n. 171 del 24/07/2012.