Rapporto tra reato di maltrattamenti e licenziamento

La Corte di Cassazione, Sezione Penale, con la sentenza n. 38306/2023 si è pronunciata sulla vicenda di una titolare di negozio, nel dettaglio una parrucchiera, imputata per il reato di maltrattamenti fisici e morali, aggravati dalla condizione di gravidanza della dipendente, commessi nel corso del rapporto di lavoro, conclusosi peraltro con un licenziamento per giusta causa.

In particolare, si dibatteva del delitto di maltrattamenti nella declinazione del cosiddetto mobbing verticale ovverosia le condotte vessatorie e prevaricatorie poste in essere dal datore di lavoro (o da soggetto gerarchicamente sovraordinato) nei confronti del dipendente-persona offesa.

Le condotte vessatorie si erano protratte negli anni ed erano consistite in umiliazioni ed insulti alla presenza di clienti del negozio e colleghe di lavoro della vittima, nell’obbligo di lavorare gratuitamente oltre l’orario previsto, nell’ostacolare in tutti i modi la dipendente a restare incinta e portare a termine la gravidanza minacciandola di licenziamento se questo fosse avvenuto.

A livello penale non rileva la valutazione di legittimità del licenziamento per giusta causa pronunciata dal Tribunale del lavoro, in quanto “la condotta vessatoria integrante mobbing non è esclusa dalla formale legittimità delle iniziative disciplinari assunte nei confronti dei dipendenti mobbizzati“.

Infatti, il licenziamento per giusta causa presuppone condotte gravemente inadempienti del lavoratore che ledono irrimediabilmente la fiducia del datore di lavoro e restano confinate nella relazione tra le parti private.

Al contrario, il delitto di maltrattamenti, nella sua accezione di mobbing verticale, è un illecito penale di mera condotta, perseguibile d’ufficio, che si consuma con l’abituale prevaricazione ed umiliazione commessa dal datore di lavoro nei confronti del dipendente, approfittando della condizione subordinata di questi e tale da rendere i comportamenti o le reazioni della vittima irrilevanti ai fini dell’accertamento della consumazione del delitto.

La figura e gli obblighi del preposto

Il sistema prevenzionistico nei luoghi di lavoro è tradizionalmente fondato su diverse figure di garanti che incarnano distinte funzioni e diversi livelli di responsabilità organizzativa e gestionale: si fa riferimento al datore di lavoro, al dirigente ed al preposto.

In realtà complesse può riscontrarsi la presenza di molteplici figure di garanti: tale complessità suggerisce che l’individuazione della responsabilità penale passa non di rado attraverso una accurata analisi delle diverse sfere di competenza funzionale.

L’art. 2 del D.Lgs. 81/08 definisce il preposto come “la persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa”.

Secondo la definizione normativa, per preposto deve intendersi il soggetto preposto alla attività lavorativa cui sovrintende e non genericamente preposto alla sicurezza sul luogo di lavoro.

Dunque il preposto controlla la corretta esecuzione del lavoro, ossia esercita la necessaria vigilanza sul corretto svolgimento del lavoro.

In effetti, la qualifica di preposto deve essere attribuita più che in base a formali qualificazioni giuridiche, con riferimento alle mansioni effettivamente svolte nell’impresa (Cass. 17202/2019) e comunque non necessita di essere dimostrata attraverso prove documentali attestanti la formale investitura ben potendo essere desunta da circostanze di fatto (Cass. 31863/2019).

Gli obblighi di vigilanza, di fornire indicazioni di sicurezza, di informare i lavoratori del pericolo, di segnalare ogni condizione di pericolo e ogni deficienza delle attrezzature di lavoro, di interrompere ogni attività in presenza di condizioni di pericolo rientrano tutti negli obblighi del preposto.

Non va nemmeno dimenticato che per organizzare e attuare la tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, la prevenzione funziona bene soltanto con la collaborazione di tutti gli attori, dal datore di lavoro al dirigente, al preposto e ai lavoratori, ciascuno nell’ambito delle proprie attribuzioni e competenze.

L’obbligo di individuare i preposti, stabilito dall’art. 18 del d.lgs. n. 81/2008, ha come scopo il tentativo di rendere più efficace l’organizzazione del lavoro e il suo esercizio in sicurezza.

Da ultimo, non vi è dubbio che il preposto, così come datore di lavoro e dirigente, debba disporre di conoscenze e competenze diverse e ben più approfondite di quelle possedute dalle persone alla cui attività deve sovraintendere, da acquisire mediante formazione specifica.

Il termine di prescrizione del diritto del lavoratore all’indennità sostitutiva di ferie non godute

Recentemente, l’ordinanza n. 21297/2023 della Suprema Corte di Cassazione ha ribadito che “Il termine di prescrizione del diritto del lavoratore all’indennità sostitutiva di ferie non godute decorre secondo le regole generali dal momento in cui il diritto medesimo può essere fatto valere, ossia dalla cessazione del rapporto di lavoro”.

Invero, il termine di prescrizione decennale si applica solo all’ordinaria azione risarcitoria che, nel corso del rapporto di lavoro, il dipendente può promuovere contro il proprio datore di lavoro per il fatto che non gli consenta di fruire delle (o di recuperare le) ferie, atteso il principio della loro non monetizzabilità nel corso del rapporto di lavoro (art. 10 d.lgs. n. 66/2003).

In tal caso effettivamente il termine decorre dal verificarsi del danno e, quindi, in costanza del rapporto di lavoro.

Nel caso di specie l’oggetto della domanda risultava del tutto diverso: esso era rappresentato dall’indennità sostitutiva delle ferie non godute, che può essere richiesta dal lavoratore solo alla cessazione del rapporto di lavoro, proprio in omaggio al suindicato principio di non monetizzabilità delle ferie durante il rapporto di lavoro.

In relazione a tale diritto – di natura diversa dal danno risarcibile durante il rapporto di lavoro – il termine di prescrizione decorre secondo le regole generali dal momento in cui il diritto medesimo può essere fatto valere, ossia dalla cessazione del rapporto di lavoro.

OMS: inserito il burnout nell’International Classification of Diseases

Il termine inglese Burnout significa letteralmente “bruciato fuori” ed esprime con un’efficace metafora il “bruciarsi” del lavoratore ed il suo conseguente cedimento mentale e fisico, complici anche i progressi in ambito tecnologico che rendono i lavoratori reperibili in qualsiasi circostanza, impedendo loro di “staccare la spina” dal lavoro.

Questa condizione di stress lavoro correlato, definita “Burnout”, colpisce l’aspetto psicofisico del lavoratore rendendolo emotivamente instabile e, se non risolta, può favorire l’insorgenza di quadri depressivi e nevrotici.

A fronte di questa consapevolezza, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto ufficialmente il Burnout come sindrome occupazionale nella nuova Classificazione ICD, ovvero nella Classificazione Internazionale delle Malattie e dei problemi correlati.

L’OMS tiene a specificare che non è una condizione medica, sebbene possa essere curata, ma un fenomeno occupazionale e quindi strettamente legato alla condizione lavorativa, pertanto non dovrebbe essere applicato per descrivere esperienze negative in altri contesti.

Il burnout o “stress da lavoro” è la risposta ad uno stress emotivo cronico e persistente da riconoscere tempestivamente per essere curato.

Per diagnosticarlo, l’OMS ha fornito alcune direttive a cui medici e infermieri possono fare riferimento. Per quanto riguarda la sintomatologia, i lavoratori possono presentare:
• esaurimento psicofisico (spossatezza, debolezza energetica);
• isolamento dal lavoro, cinismo e sentimenti negativi (tendenza a considerare le persone come oggetti);
• ridotta efficacia professionale (perdita di significato del proprio operato e ridotta produttività).

Dopo aver valutato e riconosciuto i sintomi, l’OMS specifica che occorre escludere altri disturbi che possono presentare sintomi simili quali la depressione, il disturbo di ansia o di adattamento.

Sentiero, Consapevolezza, Alleanza: dissertazioni filosofiche per un modello di leadership eccellente

La prima parola è sentiero, inteso come percorso quotidiano di sviluppo e conoscenza.

Il sentiero rappresenta la metafora di un processo produttivo all’interno di un’azienda.

Il percorso deve essere delineato in partenza, con un elenco dettagliato di tempi, risorse ed azioni da compiere per raggiungere la meta pianificata, con la consapevolezza che i sentieri, in natura, così come i processi produttivi in azienda, possono presentare dei limiti, ostacoli non previsti né pianificati che ci obbligano a fermarci e a riflettere sulle possibilità per andare oltre quel limite.

E’ il momento in cui dobbiamo comprendere che il “problema/limite” non può essere superato con le stesse chiavi che lo hanno generato.

George Simmel, filosofo austriaco di origini ebraiche affermava: “noi conosciamo il nostro limite solo quando giungiamo alla consapevolezza di esso, superandolo”.

I limiti diventano quindi superabili solo nel momento in cui ne prendiamo coscienza, nel “qui ed ora”; prima non è possibile.

Il limite, osservandolo da un posizione diversa da quella a cui ognuno di noi è abituato – qualcosa di insuperabile – può diventare l’opportunità per uscire da schemi precostituiti, dalle cornici di cui siamo parte, un invito a guardare oltre, verso un cambiamento generativo che ci aiuti a ri-disegnare e costruire nuovi sentieri/percorsi possibili nelle nostre Organizzazioni.

Affinché questo cambiamento si realizzi, abbiamo bisogno, in natura come in azienda, di Guide che abbiano una visione chiara del percorso che stiamo attraversando, e allo stesso tempo il coraggio di fare scelte audaci, laddove è necessario, sostenute da un profondo senso di responsabilità, quando il sentiero ci obbliga a fermarci e a decidere quale strada percorrere.

Abbiamo bisogno di Guide consapevoli, che posseggano una cultura di ampio respiro, che non è fatta solo di saperi nozionistici ed intellettuali, ma di un saper essere integrato, in cui la cognizione di qualcosa si fa profonda, intima, identitaria, perfettamente armonizzata col resto della Persona, in un unicum coerente.

È quel tipo di sapere che dà forma all’etica, alla condotta di vita, alla disciplina, rendendole autentiche.

Guide che sappiano influenzare se stesse ed il proprio contesto professionale a partire da una profonda consapevolezza di sé, dei propri punti di forza e delle proprie aree di miglioramento.

Guide che sappiano esprimere una sintesi eccellente fra ciò che è presente nella vita personale e la strategia con cui sono in grado di adattarsi e di adattare a sé, in modo efficace, il proprio ambiente, costruendo un mondo al quale le Persone desiderano appartenere.

 La seconda chiave è il qui ed ora, la consapevolezza, intesa come conoscenza delle proprie competenze.

In questa descrizione, la consapevolezza è parte fondamentale delle competenze esistenziali; competenze in grado di migliorare il contatto e l’armonia con se stessi e con gli altri, di sviluppare creatività ed intuizione, e che diventano i semi per favorire un cambiamento profondo dentro le Organizzazioni.

Abbiamo quindi bisogno di Guide consapevoli, inclusive e partecipative, che vedano il Sistema Azienda come una rete di interconnessioni umane, mutuando il principio di interdipendenza della filosofia buddista, in cui ogni fenomeno non solo è strettamente collegato all’altro, ma ne è dipendente.

E poiché il contesto esterno muta costantemente, ogni elemento che lo compone cambia di conseguenza: il cambiamento quindi è intrinseco ed inevitabile nelle Organizzazioni, non solo un accadimento esterno, occasionale o incidentale.

Pensare quindi all’Azienda come un insieme di parti separate ed indipendenti ci rende ciechi al cambiamento; ed in questo periodo storico è di importanza fondamentale averne consapevolezza per gestirla al meglio.
Ogni singola parte di un’azienda dipende strettamente dal funzionamento di tutte le altre, è composta da elementi che si supportano e si condizionano a vicenda, creando un’unica fitta rete di legami, in cui la collaborazione tra le Persone e la condivisione di obiettivi consente di abbracciare la complessità del Sistema e rendere quell’Organizzazione vincente, perché basata su un NOI e non su un IO.

Infine il cardine su cui poggia la nostra vita, anche professionale, l’alleanza.

Per riprendere quindi il termine “alleanza”, vi propongo l’immagine della rete di Indra , tratta dal sutra buddista: “Sutra del diamante che recide l’illusione”.

In questo sutra, l’universo è visto come una enorme rete che si estende all’infinito per includere ogni aspetto dell’esistenza. Ad ogni punto di intersezione c’è una gemma che riflette tutte le altre.
Per quanto siano infinite, nessuna gemma esiste senza le altre o può essere considerata indipendente.

Se appare una gemma, appaiono tutte, e se non ne appare una, non ne appare nessuna.

Se su una qualsiasi gemma comparisse un puntino nero, comparirebbe immediatamente su tutte le altre.

Questa immagine descrive pienamente la realtà di ogni Organizzazione, mettendo in luce il valore dell’interdipendenza che ci aiuta a capire davvero come lavoriamo e come possiamo raggiungere i nostri obiettivi: da soli si va veloci, insieme si va lontano.

Continuando a dissertare sul tema dell’alleanza, e prendendo in prestito le parole di un imprenditore illuminato, alla leadership dobbiamo affiancare l’employeeship.

L’employeeship è un vocabolo che deriva dall’inglese “employee” ed indica la Persona assunta in un’Organizzazione per esprimere al meglio le sue qualità, svolgendo il proprio lavoro.

E’ da questa alleanza che dobbiamo ripartire, perché solo coniugando questi due fattori possiamo attraversare con fiducia e motivazione quel sentiero, per raggiungere lo scopo che ci eravamo prefissati.

L’evoluzione che ha subito e che sta subendo la società lavorativa in questo momento storico della nostra vita necessita quindi di Guide che siano in grado di riconoscere il significato profondo del loro ruolo e l’impossibilità di prescindere dalla collaborazione di tutti coloro che operano all’interno dell’Organizzazione.

Ecco perché è fondamentale creare alleanze con i propri dipendenti, vederli attori e protagonisti di questo cambiamento epocale.

Essere delle Guide consapevoli, significa quindi riuscire a comprendere l’insieme dinamico delle competenze, dei valori e delle motivazioni che ogni singolo elemento del Sistema può apportare.

Non solo, è fondamentale dare spazio e voce alle diverse anime, alla loro esperienza, alla loro cultura, alle loro diversità, perché è con la diversità che possiamo creare insiemi più grandi e più forti nell’affrontare i cambiamenti, riducendo al minimo la resistenza.

Questo binomio tra Leadership & Employeeship consente all’Organizzazione nel suo insieme di essere sana e di vivere nel Ben-Essere psicofisico, rafforzando la motivazione ed il senso di appartenenza di ogni singolo al Sistema Azienda, perché se le Persone sono felici nel loro ambiente lavorativo, i bilanci saranno certamente in forma.

A cura di Gerarda Urciuoli
Formatrice – coach aziendale – counsellor professionista

Alte professionalità

Il Personale quadro e le acquisizioni aziendali

A livello di diritto del lavoro

Le operazioni di cessione, trasferimento, fusione, di aziende o ramo di azienda, per quanto riguarda la posizione dei dipendenti trova il principale punto di riferimento nell’articolo 2112 del codice civile, in base al quale il dipendente transita mantenendo i diritti e le posizioni maturate presso il precedente datore di lavoro.

Qualcuno potrebbe dire che nulla cambia, ma non è proprio così.

Se retribuzione, prestazione e protezione sociale trovano una buona protezione, non dobbiamo dimenticare anche altri contenuti oggetto del rapporto di lavoro.

Ci si riferisce in primo luogo alla professionalità, alle aspettative di carriera ed al benessere lavorativo inteso in senso materiale e psicologico. Difficilmente la norma di legge può tutelare a fondo questi beni e queste aspettative.

Tanto più allorquando il rapporto di lavoro involge aspetti molto sofisticati come accade soprattutto per quadri e dirigenti.

Trattasi di categorie molto sensibili ai cambiamenti organizzativi.

Soprattutto per quanto riguarda le mansioni strategiche e le più importanti spesso la completa applicazione della normativa concernente la tutela delle mansioni e della professionalità non è adempiuta correttamente.

Mutano le strategie aziendali e spesso anche l’organizzazione e non sempre i nuovi ruoli possono coincidere con il contenuto professionale e contrattuale delle precedenti mansioni.

Spesso le procedure traslative delle aziende o dei loro rami produttivi avvengono in coincidenza di crisi aziendali o di grandi ristrutturazione nel cui ambito non è più possibile riproporre vecchi organigrammi e schemi organizzativi.

Si assiste così spesso alla dequalificazione ed all’obsolescenza anche di rilevanti professionalità specie nell’ambito dei quadri.

Spesso però le difficoltà superano questi aspetti tecnico giuridici e si riferiscono alle sensazioni con le quali è accolto il cambiamento.

A livello di organizzazione aziendale

A livello di mera gestione del personale si determinano vere e proprie fratture nella cultura aziendale.

La convergenza di risorse da parte delle due organizzazioni coinvolte, può creare confusione, e disorientamento nei dipendenti. Viene spesso a mancare un riferimento stabile contestualmente alla cultura precedente che regolava la vita lavorativa giornaliera.

Questi problemi sono spesso resi più acuti dalla mancata comprensione da parte dei quadri dei cambiamenti progettati.

Spesso la fusione acquista un forte impatto di natura psicologica sul personale soprattutto della società acquistata ed in ambito aziendale è acquisita una sensazione pari a quella del vincitore e del vinto.

I rimedi

E’ necessaria quindi soprattutto nei confronti dei quadri una attenta gestione del fattore umano per evitare il ricorrente fenomeno dell’alienazione del personale coinvolto.

Il Management va quindi portato a conoscere ed a capire per tempo le nuove strategie per evitare l’impatto psicologico della fusione.

Problemi concreti e cruciali si verificano con l’imposizione di un nuovo sistema informativo, oppure con la redazione di un nuovo organigramma.

Anche l’abbandono di vecchi progetti o l’introduzione di nuovi può creare frustrazione ed alienazione nel personale che seguiva i primi.

Si tratta quindi di fronteggiare queste situazioni con un grande processo di informazione ed impostando i cambiamenti in maniera graduale, favorendo periodi coesistenza di strutture interinali.

La transizione poi dovrebbe essere affidata a manager estremamente equilibrati e responsabili.

Sarebbe altresì auspicabile una mobilità tra diverse aziende del settore dei quadri che trovano difficoltà nella ricollocazione come pure la sottoposizione a periodi di formazione aziendale ed extra aziendale.

Fabio Petracci

Lvoro precario

Novità quadri dal Friuli Venezia Giulia.

CIU UNIONQUADRI unitamente al Centro Studi Corrado Rossitto si sta occupando anche di alcune realtà aziendali dove operano numerosi quadri anche nel campo della ricerca e dove sono in atto situazioni di crisi che coinvolgono anche la categoria.

E’ la volta dello Stabilimento Wartsila di Trieste già Grandi Motori Trieste

Professionalità del sito produttivo di Trieste, contro la chiusura dello stabilimento Wartsila di Bagnoli della Rosandra già Grandi Motori Trieste.

Alcuni appunti del signor Giorgio Jercog già tecnico dipendente della Motoristica Navale Triestina in merito alla chiusura dello stabilimento Wartsila di Trieste già Grandi Motori Trieste.

Egli manifesta in primo luogo la propria contrarietà a quello che in gergo viene denominato come “spezzatino” consistente nella definitiva spartizione e conseguente sparizione dell’azienda.

E’ invece auspicata l’acquisizione da parte di Cassa Depositi e Prestiti di tutto lo stabilimento Wartsila Italia. In tal modo, ritiene Jercog, potrebbero essere individuati gli acquirenti anche tra i concorrenti di Wartsila.

In tal senso sarebbe opportuno, e preliminare, rileva l’intervistato, procedere alla uscita dallo stabilimento di Trieste dell’azienda finlandese Wartsila, mantenendo intatte le linee e macchinari destinati alla produzione.

Preliminarmente, egli nota, sarebbe utile conoscere quanti siano in totale i dipendenti di Wartsila a Trieste e quanti siano gli esuberi della produzione tra operai e tecnici

Così da valutare la compatibilità del numero di dipendenti rimanenti a Trieste suddivisi tra amministrativi, servizi ( uff. acquisiti e personale )tecnologi : Impiegati e operai

Ma, rileva Jercog, andrebbe quanto prima chiarito  se si vuole la continuità produttiva di motoristica diesel vedi l’esempio della VM di Cento Ferrara e l’Isotta Fraschini di Bari che si stanno focalizzando sulle produzioni di motori industriali, per l’agricoltura, per l’industria marina e gruppi elettrogeni sviluppando progettazione e industrializzazione di motori a gas ed idrogeno.

Si potrebbe così puntare, nota l’intervistato, a creare un polo del diesel Italiano.

Altrettanto utile, capire dopo la vendita dello stabilimento Gmt alla Wartsila e della licenza Sulzer ( poi finita recentemente in mano cinese) che fine abbiano fatto i marchi GMT ex Fiat e VM industriali prodotti nello stabilimento di Bagnoli della Rosandra.

L’intervistato adduce ad esempio l’uscita dalla crisi di VM Motori Cento che ha attuato un’ampia riconversione per la produzione di motori Diesel con un acquistata autonomia nei confronti del Gruppo Stellantis, sviluppando nei prossimi anni cinque linee di produzione: motori industriali, motori per agricoltura, motori per industria marina, ricambi per automotive diesel, reparto test su emissioni e progettazione e industrializzazione di motori a idrogeno, con uno sguardo anche sul settore marino.

Rallenta l’inflazione negli Stati Uniti. Sono tutte buone notizie?

È di pochi giorni fa la notizia del netto rallentamento dell’inflazione americana per il mese di giugno. Invero l’indice dei prezzi al consumo (IPC) è passato dal 4% di maggio al 3% di giugno, superando le aspettative degli analisti che prevedevano, invece 3.1%, e solo un pizzico più alto del 2.9% che è stato il livello medio nei due decenni precedenti la crisi finanziari generata dalla pandemia e proseguita con la guerra in Ucraina.

Siamo dunque ben lontani dal 9.1% dello scorso giugno, che ha rappresentato il picco più alto dal 1981. Un segno evidente che la politica monetaria restrittiva della Federal Reserve sta funzionando. È altresì indubbio che il Chairman della Fed, Jerome Powell, abbia tenuto fede alle sue parole. A giugno scorso la Fed varò un piano di rialzo dei tassi d’interesse che è proseguito, con ben 10 rialzi consecutivi, e che, a suo dire, sarebbe continuato fin tanto che l’inflazione non si fosse stabilizzata. C’è dunque da chiedersi se questo momento sia arrivato. Ci credono poco gli economisti e analisti americani convinti che, nonostante l’inflazione sia molto rallentata, essa sia ancora troppo alta rispetto al target della Fed del 2%. Per tale motivo scommettono in un prossimo rialzo, dello 0.25%, già al prossimo meeting che si terrà la settimana prossima. Ciò porterebbe il tasso d’interesse al 5.25%-5.50%.  Tra le poche voci contrarie, certamente la più ragguardevole, è quella dell’economista Christopher Pissarides, premio Nobel per l’economia del 2010. Egli, in una recente intervista al canale economico CNBC, ha dichiarato che non vede le ragioni di un ulteriore rialzo dei tassi stante “il tasso d’inflazione in diminuzione e il mercato del lavoro meno contratto”. Ritiene, semmai, che in questo momento l’unica cosa da fare sia mantenere la calma e avere pazienza per vedere, a pieno, gli effetti dell’inflazione sull’economia a stelle e strisce. Pissarides ha inoltre affermato che la strada per l’Europa invece, stante il diverso tasse d’inflazione, sia ancora in salita.

Chi certamente ha capitalizzato la notizia è il presidente Biden, le cui prospettive di rielezione dipendono dall’andamento dell’economia americana e che, da Vilnius, dove si svolgeva il vertice Nato, si è immediatamente preso i meriti della riduzione dell’inflazione dichiarando: “Good jobs and lower costs: That’s Bidenomics in action”, ossia “aumento dell’occupazione e costi inferiori: questo è la Bidenomics in azione”. Una rivincita per il presidente democratico che nell’ultimo anno è stato costantemente sotto attacco dei repubblicani, secondo cui la responsabilità di un’inflazione così alta abbia come unico responsabile l’inquilino della Casa Bianca e la sua politica green.

Sebbene siano indubitabili i progressi ottenuti dalla politica monetaria restrittiva adottata dalla Fed, un dato desta qualche preoccupazione, ovvero il prezzo del carrello della spesa in continua crescita. Un’analisi del dipartimento di statistica del ministero del lavoro ha evidenziato, infatti, come il prezzo dei generi alimentati è aumentato del 5,8% rispetto ad un anno fa. Nello specifico ciò ha determinato un rincaro sia dei pasti da asporto (8%) che dei ristoranti (7,7%). Il costante aumento dei beni di prima necessità ha determinato un aumento dell’insicurezza alimentare (food insecurity) che, a giugno, ha toccato il 17%, il picco più elevato da marzo 2022.

Numerosi sono i fattori che concorrono all’aumento dei prezzi dei generi alimentari. Dall’inflazione, la cui frenata può dare un respiro alle famiglie americane, al costo del lavoro, alla catena di approvvigionamento e, infine, alla guerra in Ucraina. La recente notizia del mancato rinnovo degli accordi sul grano da parte della Russia potrebbe vanificare, in parte, sebbene sia troppo presto per valutarlo, i progressi ottenuti da un allentamento della pressione inflazionistica ed innescare una pericolosa contrazione della domanda.

Francesco Rizzo Marullo.

Divieto di controllo a distanza – Dati Biometrici – Tutela della privacy sul posto di lavoro

Il provvedimento n.231 del 1 giugno 2023 del Garante.

 Nel caso di specie è sanzionata un’azienda che ha installato un sistema di allarme attivabile sulla base delle impronte digitali che rendeva così operativo un impianto di videosorveglianza ed un applicativo per la geolocalizzazione dei lavoratori.

In pratica, il Garante ha ritenuto come il provvedimento aziendale non appariva conforme alla normativa in materia vigente, riferendosi al Regolamento UE 679/2016 che consente il trattamento dei dati biometrici , intesi quali dati personali ottenuti da un trattamento tecnico specifico relativi alle caratteristiche fisiche, fisiologiche o comportamentali di una persona fisica che ne consentono o confermano l’identificazione univoca, quali l’immagine facciale o i dati dattiloscopici, solo in caso di necessità per assolvere agli obblighi che incombono sul titolare del trattamento o dell’interessato in materia di lavoro nel limite di quanto consentito dai contratti collettivi o dalle norme di legge.

Nel caso di specie, il Garante accertava come non risultassero questi requisiti.

Rilevava inoltre il garante come anche il Regolamento della Privacy all’articolo 5 poneva dei limiti a tali trattamenti che devono essere ispirati a principi di liceità, correttezza, limitazione delle finalità, minimizzazione, integrità e riservatezza.

Notava inoltre il garante come la Società, violando gli articoli 5 e 13 del Regolamento, avesse omesso di fornire adeguata informativa

Era inoltre accertato come la società utilizzasse apposita applicazione sui telefoni mobili assegnati ai lavoratori per tracciarne mediante GPS la posizione.

L’illiceità dei controlli era dichiarata anche sulla base dell’articolo 4 della legge 300/70 (Statuto dei Lavoratori) che consente il trattamento dei dati personali nell’ambito del rapporto di lavoro solo se finalizzati per le finalità di gestione del lavoro stesso.

Per quanto riguarda l’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori, la norma al comma 1 prevede che gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. Inoltre, la norma medesima prevede che in mancanza di accordo, gli impianti e gli strumenti di cui al primo periodo possono essere installati previa autorizzazione delle sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro. In tal senso, la normativa di cui all’articolo 4 della legge 300/70 è stata modificata dal   DLGS 14/09/2015, n. 151.

Una recente innovazione comporta che le cautele appena accennate non trovano applicazione riguardo agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa ed agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.

Due recenti decisioni della Suprema Corte, le nn. 25731 e 25732 del 2021, sono intervenute a chiarire alcuni aspetti controversi della normativa in materia di controlli a distanza all’esito delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 151/2015 all’art. 4 Stat. lav. In particolare, chiamata a pronunciarsi sulla “sopravvivenza” dei c.d. controlli difensivi, finalizzati alla tutela del patrimonio aziendale, e preso atto delle diverse conclusioni in proposito ravvisabili in dottrina e giurisprudenza, la Corte di cassazione introduce la distinzione fra controlli difensivi “in senso stretto” e “in senso lato”: i primi sono quelli ai quali il datore di lavoro dà corso “in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito” e hanno ad oggetto dati acquisiti successivamente all’insorgere del sospetto, i secondi sono invece quelli posti in essere genericamente sull’attività del lavoratore, a prescindere dal fondato sospetto che egli abbia commesso un illecito. Mentre i primi, secondo la soluzione adottata dalla Suprema Corte, continuano ad essere estranei al “perimetro” di applicazione dell’art. 4 Stat. lav. e sono quindi legittimi anche in assenza delle condizioni ivi disciplinate, i secondi sono legittimi solo nei limiti e con il rispetto di tali condizioni. (Il lavoro nella giurisprudenza, n. 4, 1 aprile 2022, p. 365 Commento alla normativa di Luigi Andrea Cosattini, Avvocato in Bologna).

Fabio Petracci

Lvoro precario

Nuovo Codice degli Appalti – Contrattazione Collettiva applicabile.

Le associazioni sindacali dotate di rappresentatività

Il precedente codice degli appalti, DLGS 50/2016 all’articolo (Principi per l’aggiudicazione e l’esecuzione di appalti e concessioni), stabilisce al comma 4 dopo aver indicato i principi generali per l’affidamento degli appalti, come al personale impiegato nei lavori (servizi e forniture)) oggetto di appalti pubblici e concessioni debba essere applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente.

Il Nuovo Codice degli Appalti in vigore dal 1 luglio 2023, DLGS 36/2023 all’articolo 11, in maniera maggiormente estesa e dettagliata stabilisce che

  1. al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni è applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quello il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente.
  2.   Nei bandi e negli inviti le stazioni appaltanti e gli enti concedenti indicano il contratto collettivo applicabile al personale dipendente impiegato nell’appalto o nella concessione, in conformità al comma 1.
  3.   Gli operatori economici possono indicare nella propria offerta il differente contratto collettivo da essi applicato, purché garantisca ai dipendenti le stesse tutele di quello indicato dalla stazione appaltante o dall’ente concedente.
  4.   Nei casi di cui al comma 3, prima di procedere all’affidamento o all’aggiudicazione le stazioni appaltanti e gli enti concedenti acquisiscono la dichiarazione con la quale l’operatore economico individuato si impegna ad applicare il contratto collettivo nazionale e territoriale indicato nell’esecuzione delle prestazioni oggetto del contratto per tutta la sua durata, ovvero la dichiarazione di equivalenza delle tutele. In quest’ultimo caso, la dichiarazione è anche verificata con le modalità di cui all’articolo 110.
  5.   Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti assicurano, in tutti i casi, che le medesime tutele normative ed economiche siano garantite ai lavoratori in subappalto.

Come dato a vedere, la nuova normativa pur stabilendo il medesimo obbligo, stabilisce a completamento una serie di oneri e di adempimenti per gli adempimenti della procedura.

In tal modo il contratto collettivo applicato deve essere indicato nei bandi e negli inviti delle stazioni appaltanti individuato nel contratto stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative.

La dichiarazione di voler partecipare alla gara d’appalto deve inoltre contenere l’indicazione del contratto collettivo applicato.

La nuova normativa nel tentativo di non contraddire il principio di libertà sindacale di cui all’articolo 39 della Costituzione, consente agli operatori economici di indicare nella propria offerta il differente contratto collettivo applicato, a patto che quest’ultimo garantisca ai dipendenti le stesse tutele di quello indicato dalla stazione appaltante o dall’ente concedente.

Sul punto sarebbe interessante approfondire nella concreta applicazione della normativa cosa si intende per il requisito della medesima tutela.

Sicuramente dovranno intendersi i minimi retributivi che però non esauriscono il concetto di tutela.

In punto retribuzione, va ricordato come già il DL 7.12.1989 n.389 stabilisca l’ammontare della retribuzione imponibile ai fini dell’accreditamento della contribuzione.

L’articolo 1 del menzionato DL stabilisce come la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non possa essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto.

Il concetto di maggiore rappresentatività (vedasi Ordine dei Consulenti del Lavoro, Consiglio Provinciale di Napoli XVIII Master in Diritto Del Lavoro, Dal Diritto Pandemico a quello della Ripartenza. Il PNRR. Le Proposte dei Consulenti del Lavoro, mercoledì 3 novembre 2021 WEBINAR – La maggiore rappresentatività comparata: L’incompiuta la distinzione tra sindacato maggiormente rappresentativo e comparativamente – Avvocato Raffaele Riccardi).

Sul punto, in merito alla differenziazione tra sindacato maggiormente rappresentativo e comparativamente più rappresentativo, il primo criterio fa riferimento ad un sindacato che possa in termini assoluti considerarsi maggiormente rappresentativo a seguito di una verifica in termini assoluti e di fatto, il secondo invece accenna ad una selezione ed a una comparazione tra i sindacati.

Il concetto di maggiore rappresentatività espresso dall’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori ha subito importanti evoluzioni.

Con il referendum del 1995 l’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori perdeva il riferimento generale alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Restava esclusivamente il riferimento a tutte le confederazioni che, seppure non affiliate alle predette confederazioni, fossero firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali applicati nell’unità produttiva.

Il predetto referendum del 1995 abrogava inoltre in tale riferimento anche le parole “nazionali o provinciali”: In tal modo, anche la sottoscrizione di un contratto aziendale era idoneo a conferire la rappresentatività al sindacato.

Quindi, la Corte Costituzionale con la sentenza 231/2013, dichiarava l’illegittimità sindacale della residua parte dell’articolo 19 della legge 300/70 nella parte in cui non prevedeva che la rappresentatività spettasse pure alle organizzazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, avessero comunque partecipato alla negoziazione degli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda, pur non avendoli poi sottoscritti.

Il DM 15 luglio 2014 n.14280 ter in tema di composizione della Commissione Consultiva Permanente per la Salute e la Sicurezza sul Lavoro ha individuato sulla scorta degli orientamenti giurisprudenziali i criteri per la valutazione della rappresentatività delle organizzazioni sindacali e datoriali, nei seguenti termini:

  1. Consistenza numerica degli associati;
  2. Ampiezza e diffusione sul territorio nazionale;
  3. Partecipazione alla formazione ed alla stipulazione del contratto collettivo di lavoro;
  4. Intervento dell’organizzazione nelle controversie di lavoro, individuali, plurime e collettive.

Mediante l’introduzione del codice alfanumerico unico attribuito dal CNEL a ciascun CCNL depositato possono essere dedotti i dati concernenti la diffusione dell’organizzazione sindacale nel territorio ed il numero e la tipologia dei contratti sottoscritti.

Fabio Petracci