Funzionari del Pubblico Impiego: non sempre per far valere i propri diritti è necessario ricorrere al Giudice

Numerose sono le vie che si aprono al dipendente pubblico vittima di una condotta negativa dell’amministrazione di appartenenza o al suo sindacato.

Nell’illustrare queste particolari sedi di confronto, possiamo in qualche modo tentare una classificazione tenendo conto della procedura attuata e del tipo d’intervento richiesto

A) Sedi amministrative interne

Tratteremo al punto a di tutti quei reclami che possono essere attuati in sede di pubblica amministrazione, spesso su temi che coinvolgono la buona amministrazione e di riflesso anche il trattamento del personale,

Indicheremo i principali organi cui possono essere inviati esposti o richieste di intervento quando il malgoverno della cosa pubblica tocca anche i dipendenti:

Elenchiamo per praticità gli organi in questione:

  1. CUG – Comitati Unici di Garanzia
  2. Ispettorato Per la Funzione Pubblica.
  3. Nucleo della Concretezza.
  4. ANAC
  5. La Consulta Nazionale per l’Integrazione in ambiente di lavoro delle persone con disabilità.

B) Sedi contrattuali

  1. L’interpretazione autentica dei contratti collettivi
  2. La prevenzione del mobbing.
  3. La conciliazione facoltativa delle controversie

C) Sedi precontenziose

  1. La conciliazione facoltativa delle controversie.
  2. Il contenzioso stragiudiziale in materia di trasferimenti.
  3. La conciliazione in tema di provvedimenti disciplinari.
  4. Procedure contrattuali di conciliazione ed arbitrato. Il Contratto Quadro Nazionale.

D) La tutela penale o meglio la denuncia per abuso d’ufficio.

A) Sedi amministrative interne

  1. I Comitati Unici di Garanzia. – CUG.

Sono stati istituiti mediante l’articolo 21 legge 4 novembre 2010 n.183 con il nome di Comitati Unici di Garanzia per le Pari Opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni.

Nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato tra cui la Scuola, la realizzazione ed i compiti sono previsti dall’articolo 57 del DLGS 165/2001.

Il comitato volto agli interventi in tema di pari opportunità e discriminazioni di genere, mira anche per definizione ed obiettivo alla realizzazione di un contesto lavorativo improntato al benessere dei lavoratori nell’intento di garantire il miglioramento dell’organizzazione del lavoro.

Esso è sorto con l’intenzione del legislatore di sostituire i vari comitati per la prevenzione del mobbing e delle discriminazioni di origine contrattuale , razionalizzandone e rafforzandone le competenze.

La legge inoltre ne amplia l’azione oltre alle discriminazioni legate al genere e quindi ad ogni altra forma di discriminazione, diretta ed indiretta, che possa discendere da tutti quei fattori di rischio più volte enunciati dalla legislazione comunitaria: età, orientamento sessuale, razza, origine etnica, disabilità e lingua, estendendola all’accesso, al trattamento e alle condizioni di lavoro, alla formazione, alle progressioni in carriera e alla sicurezza.

È prevista la costituzione di un CUG presso ogni amministrazione.

I suoi componenti sono di nomina sindacale e dell’amministrazione.

A titolo esemplificativo, il CUG esercita i compiti di seguito seguenti indicati

Propositivi su:

– predisposizione di piani di azioni positive, per favorire l’uguaglianza sostanziale sul lavoro tra uomini e donne;

– promozione e/o potenziamento di ogni iniziativa diretta ad attuare politiche di conciliazione vita privata/lavoro e quanto necessario per consentire la diffusione della cultura delle pari opportunità;

– temi che rientrano nella propria competenza ai fini della contrattazione integrativa;

– iniziative volte ad attuare le direttive comunitarie per l’affermazione sul lavoro della pari dignità delle persone nonché azioni positive al riguardo;

– analisi e programmazione di genere che considerino le esigenze delle donne e quelle degli uomini (es. bilancio di genere);

– diffusione delle conoscenze ed esperienze, nonché di altri elementi informativi, documentali, tecnici e statistici sui problemi delle pari opportunità e sulle possibili soluzioni adottate da altre amministrazioni o enti, anche in collaborazione con la Consigliera di parità del territorio di riferimento;

– azioni atte a favorire condizioni di benessere lavorativo;

– azioni positive, interventi e progetti, quali indagini di clima, codici etici e di condotta, idonei a prevenire o rimuovere situazioni di discriminazioni o violenze sessuali, morali o psicologiche – mobbing – nell’amministrazione pubblica di appartenenza.

Consultivi, formulando pareri su:

– progetti di riorganizzazione dell’amministrazione di appartenenza;

– piani di formazione del personale;

– orari di lavoro, forme di flessibilità lavorativa e interventi di conciliazione;

– criteri di valutazione del personale,

– contrattazione integrativa sui temi che rientrano nelle proprie competenze.

Di verifica su:

– risultati delle azioni positive, dei progetti e delle buone pratiche in materia di pari opportunità;

– esiti delle azioni di promozione del benessere organizzativo e prevenzione del disagio lavorativo;

– esiti delle azioni di contrasto alle violenze morali e psicologiche nei luoghi di lavoro – mobbing;

– assenza di ogni forma di discriminazione, diretta e indiretta, relativa al genere, all’età, all’orientamento sessuale, alla razza, all’origine etnica, alla disabilità, alla religione o alla lingua, nell’accesso, nel trattamento e nelle condizioni di lavoro, nella formazione professionale, promozione negli avanzamenti di carriera, nella sicurezza sul lavoro.

Il CUG opera in stretto raccordo con il vertice amministrativo dell’ente di appartenenza ed esercita le proprie funzioni utilizzando le risorse umane e strumentali, idonee a garantire le finalità previste dalla legge, che l’amministrazione metterà a tal fine a disposizione, anche sulla base di quanto previsto dai contratti collettivi vigenti.

Le amministrazioni forniscono ai CUG tutti i dati e le informazioni necessarie a garantirne l’effettiva operatività.

Quali tipi di interventi ad evitare il contenzioso possono essere richiesti a quest’organo?

Ritengo che difficilmente possa essere sottoposto al CUG un intervento su di un caso singolo concernente mobbing o problemi di carriera.

Ritengo quest’organo più adatto per interventi di carattere generale e di vasta portata mediante verifica di situazioni di cattiva organizzazione, discriminazione, cattivo utilizzo del personale. In ogni caso ritengo che ben possa quest’organo effettuare segnalazioni alle amministrazioni in merito a situazioni negative rilevate.

Il CUG può ottenere dall’amministrazione documentazione e relazioni concernenti i fatti dedotti.

La sua operatività è limitata alle discriminazioni, al mobbing, alla cattiva organizzazione delle carriere, alla tutela del benessere lavorativo.

Esso può operare anche in collaborazione con gli OIV (Organismi Interni di Valutazione) in tema di questioni attinenti le valutazioni del personale.

2. L’Ispettorato per la Funzione Pubblica

Trattasi di organo previsto dall’articolo 60, comma 6 del DLGS 165/2001, costituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento Funzione Pubblica.

Esso vigila e svolge verifiche per accertare la conformità dell’azione amministrativa ai principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, con riferimento particolare alla semplificazione delle procedure, al corretto conferimento degli incarichi, all’esercizio dei poteri disciplinari, al controllo dei costi.

Questo organismo possiede poteri ispettivi in quanto collabora alle visite dei Servizi ispettivi della Ragioneria Generale dello Stato, può avvalersi dell’apporto della Guardia di Finanza, e dispone di un nucleo di 10 funzionari, può accedere ai dati in possesso del Dipartimento della Funzione Pubblica.

L’Ispettorato, inoltre, al fine di corrispondere a segnalazioni da parte di cittadini o pubblici dipendenti circa presunte irregolarità, ritardi o inadempienze delle amministrazioni di cui all’articolo 11, comma 2, può richiedere chiarimenti e riscontri in relazione ai quali l’amministrazione interessata ha l’obbligo di rispondere, anche per via telematica, entro quindici giorni. A conclusione degli accertamenti, gli esiti delle verifiche svolte dall’ispettorato costituiscono obbligo di valutazione, ai fini dell’individuazione delle responsabilità e delle eventuali sanzioni disciplinari di cui all’articolo 55, per l’amministrazione medesima. Gli ispettori, nell’esercizio delle loro funzioni, hanno piena autonomia funzionale ed hanno l’obbligo, ove ne ricorrano le condizioni, di denunciare alla Procura generale della Corte dei conti le irregolarità riscontrate. 

Come è dato a vedere, i poteri attribuiti all’Ispettorato sono alquanto rilevanti.

Il campo d’azione può anche estendersi a questioni riguardanti il personale, ma ritengo, esclusivamente a quelle che involgono non solo violazioni del contratto o delle leggi sul lavoro, ma che comportino anche aspetti di cattivo funzionamento dell’apparato pubblico, di abusi d’ufficio, di sprechi di denaro.

Principalmente l’azione dell’Ispettorato è quella di garantire l’efficacia e l’imparzialità dell’azione amministrativa, ma nulla vieta che di fronte ad attività illecite dell’amministrazione nei confronti dei dipendenti o della contrattazione collettiva idonee a ledere la funzionalità della pubblica amministrazione se ne possa chiedere l’intervento.

In tema di amministrazione del personale, l’Ispettorato è intervenuto per la mancata analisi degli effettivi fabbisogni di personale e  per la violazione delle disposizioni in materia di progressioni orizzontali e verticali, per la violazione della disciplina che regola il conferimento degli incarichi di collaborazione, l’assenza di una metodologia per la graduazione delle posizioni organizzative, l’illegittima liquidazione della retribuzione di risultato e l’irregolare incremento della retribuzione di posizione del Segretario Comunale, per la costituzione e l’utilizzo del fondo accessorio del personale di comparto, nonché l’attribuzione della retribuzione di risultato ai titolari di posizione organizzativa, in contrasto con la normativa vigente e per l’inosservanza del principio di riduzione della spesa per il personale.

La richiesta di intervento dovrà essere strutturata considerando sempre la prevalenza degli aspetti della questione aventi rilievo generale sulla pubblica amministrazione.

Ad integrazione di questi interventi, sempre presso il Dipartimento della Funzione Pubblica, si trova l’ufficio per l’organizzazione ed il lavoro pubblico cui è demandata la materia dell’organizzazione degli uffici e del lavoro pubblico nonché le politiche del personale in tema di assunzioni, concorsi, mobilità, corrispondenze professionali, contratti flessibili, condizioni di lavoro, conferimento di incarichi dirigenziali, gestione del contenzioso in materia.

L’Ufficio è a sua volta articolato nei seguenti servizi:

3. Il Nucleo della Concretezza. (introdotto con la legge 56/2019 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale da pochi giorni)

In tema di controlli, interessa pure la recentissima costituzione del nucleo della concretezza.

Questo intervento legislativo con l’articolo 1 interessa ed amplia la portata dell’articolo 60 del DLGS 165/2001 già esaminato in riferimento alle funzioni dell’Ispettorato che ora esamineremo e commenteremo nell’ordine:

Quivi il primo comma dell’articolo 1 della legge 56/2019 (concretezza) enuncia la costituzione del Nucleo della Concretezza destinato ad operare senza eliminare l’Ispettorato già previsto dall’articolo 60 del DLGS 165/2001 e dell’Unità per la Semplificazione.

Sono quindi di seguito al comma 3 chiariti il ruolo e la missione del Nucleo per la Concretezza che unitamente al già esistente Ispettorato di cui all’articolo 60 del DLGS 165 / 2001 dovranno attuare piani per la concreta attuazione di misure concrete atte a favorire il buon funzionamento dell’Amministrazione, anche effettuando visite e sopralluoghi.

Le attribuzioni del Nucleo della Concretezza consistono nella collaborazione con l’Ispettorato per la Funzione Pubblica, effettuando sopralluoghi e visite per rilevare lo stato di attuazione dei provvedimenti in tema di efficienza amministrativa, nonché la gestione e l’organizzazione della pubblica amministrazione in base a criteri di efficienza ed economicità, proponendo eventuali interventi correttivi, imponendo pure dei tempi per l’effettuazione.

Ogni sopralluogo dovrà essere documentato e verbalizzato, indicando le eventuali misure correttive suggerite.

Quindi, le pubbliche amministrazioni provvedono alla comunicazione al Nucleo della Concretezza dell’avvenuta attuazione delle misure correttive entro quindici giorni dall’attuazione medesima, fermo restando, per le pubbliche amministrazioni di cui al terzo periodo del comma 3, il rispetto del termine assegnato dal Nucleo medesimo.

Sono di conseguenza previste sanzioni di natura amministrativa, di responsabilità dirigenziale e disciplinare e con la creazione anche di un elenco delle amministrazioni inadempienti.

4. ANAC. La tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti.

Anche in questo caso, ci troviamo di fronte ad una norma che se, come scopo principale, tutela l’integrità della pubblica amministrazione, d’altro lato, e di riflesso tutela anche eventuali ausi contro il dipendente che segnala l’irregolarità, facilitandone la tutela.

Stabilisce l’articolo 54 bis del DLGS 165/2001 (tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti).

La norma è rivolta a qualsiasi pubblico dipendente che, dopo aver denunciato al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, o all’Autorità Nazionale Anticorruzione ANAC o all’autorità giudiziaria ordinaria o contabile, condotte illecite in seno all’amministrazione, venga demansionato, licenziato o trasferito o sottoposto a misura organizzativa avente riflessi negativi sul suo rapporto di lavoro, può direttamente, o tramite il sindacato di appartenenza, rivolgersi all’ANAC che a sua volta interesserà il Dipartimento per la Funzione Pubblica per l’adozione dei provvedimenti di competenza.

Pregnanti sono in questo caso i termini di tutela, in quanto il comma 6 dell’articolo 54 bis prevede che qualora venga accertata, nell’ambito dell’istruttoria condotta dall’ANAC, l’adozione di misure discriminatorie da parte di una delle amministrazioni pubbliche o di uno degli enti di cui al comma 2, fermi restando gli altri profili di responsabilità, l’ANAC applica al responsabile che ha adottato tale misura una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 30.000 euro. Qualora venga accertata l’assenza di procedure per l’inoltro e la gestione delle segnalazioni ovvero l’adozione di procedure non conformi a quelle di cui al comma 5, l’ANAC applica al responsabile la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro. Qualora venga accertato il mancato svolgimento da parte del responsabile di attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute, si applica al responsabile la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro. L’ANAC determina l’entità della sanzione tenuto conto delle dimensioni dell’amministrazione o dell’ente cui si riferisce la segnalazione.

E’ previsto inoltre che qualora venga accertata, nell’ambito dell’istruttoria condotta dall’ANAC, l’adozione di misure discriminatorie da parte di una delle amministrazioni pubbliche , fermi restando gli altri profili di responsabilità, l’ANAC applica al responsabile che ha adottato tale misura una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 30.000 euro. Qualora venga accertata l’assenza di procedure per l’inoltro e la gestione delle segnalazioni ovvero l’adozione di procedure non conformi nel trattare la segnalazione ricevuta, l’ANAC applica al responsabile la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro. Qualora venga invece accertato il mancato svolgimento da parte del responsabile di attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute, si applica al responsabile la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro. L’ANAC determina l’entità della sanzione tenuto conto delle dimensioni dell’amministrazione o dell’ente cui si riferisce la segnalazione.

A rafforzare le previsioni si qui esposte, la norma prevede che è a carico dell’amministrazione pubblica o dell’ente coinvolto dimostrare che le misure discriminatorie o ritorsive, adottate nei confronti del segnalante, sono motivate da ragioni estranee alla segnalazione stessa. Gli atti discriminatori o ritorsivi adottati dall’amministrazione o dall’ente sono nulli.

E’ previsto inoltre che il segnalante che sia licenziato a motivo della segnalazione è reintegrato nel posto di lavoro ai sensi dell’articolo 2 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23.

Le tutele invece, non sono garantite nei casi in cui sia accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale del segnalante per i reati di calunnia o diffamazione o comunque per reati commessi con la denuncia di cui al comma 1 ovvero la sua responsabilità civile, per lo stesso titolo, nei casi di dolo o colpa grave.

5. Consulta Nazionale per l’Integrazione in ambiente di lavoro delle persone con disabilità.

Quest’organo costituito presso il Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri in base all’articolo 39 bis del DLGS 165/2001 si occupa dell’integrazione in ambiente di lavoro delle persone con disabilità.

Tra le funzioni della Consulta vi è la verifica dello stato di attuazione e della corretta attuazione delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della disabilità da parte delle amministrazioni, con particolare riferimento alle forme di agevolazione previste dalla legge e alla complessiva disciplina.

Quest’organo potrà essere attivato, senza ricorrere al giudice, qualora l’inserimento lavorativo del disabile non sia correttamente attuato dalla pubblica amministrazione.

B) In sede contrattuale

1. L’interpretazione autentica dei contratti collettivi

Allorquando insorga una controversia sull’interpretazione dei contratti collettivi, le parti che li hanno sottoscritti si incontrano per definire consensualmente il significato delle clausole controverse. E’ quanto prevede l’articolo 49 del DLGS 165/2001.

Qualora le parti raggiungano l’accordo interpretativo, esse dovranno poi seguire tutta la procedura di contrattazione collettiva prevista dall’articolo 47 del DLGS 165/2001. Una volta stipulata la clausola interpretativa essa sostituirà sin dall’inizio la clausola di dubbia interpretazione, ponendo fine ad ogni contenzioso ed evitando l’avvio di ulteriori contenziosi.

2. La prevenzione del mobbing 

Anche il fenomeno del Mobbing può trovare definizione in sede contrattuale.

L’articolo 98 del già citato CCNL Personale Comparto Istruzione e Ricerca nel delimitare il proprio campo di applicazione fornisce una definizione del mobbing non molto simile a quella ripetutamente aggiornata dalla letteratura in materia.

Lo stesso contratto prevede l’istituzione di uno specifico comitato paritetico presso ciascun Ufficio Scolastico Regionale al fine di raccogliere dati in merito alla diffusione del fenomeno, individuarne le cause e le situazioni scatenanti, proporre azioni atte alla prevenzione, formulare proposte per definire dei codici di condotta.

È altresì prevista la costituzione di sportelli di ascolto e l’istituzione della figura del Consigliere di Fiducia.

Sembra peraltro prevalere una funzione di sensibilizzazione e di prevenzione, piuttosto che l’intervento di fronte a casi singoli.

C) In sede precontenziosa

  1. La conciliazione facoltativa delle controversie.

È anch’essa prevista dalla citata contrattazione collettiva all’articolo 135. Il tentativo di conciliazione è di regola facoltativo.

Presso le articolazioni territoriali dell’amministrazione (MPI) è istituito un ufficio con compiti di segreteria cui è annesso un apposito albo per la pubblicazione degli atti della procedura.

La procedura si apre con una domanda che, sottoscritta dalla parte, dovrà essere depositata ( o spedita mediante raccomandata) presso l’ufficio del contenzioso dell’amministrazione competente e presso l’ufficio di segreteria cui si è fatto cenno sopra.

La procedura impone la deduzione precisa e scritta dei termini della controversia. È quindi previsto un primo sommario esame al termine del quale l’amministrazione può accogliere la richiesta del dipendente. Diversamente si terrà la convocazione e la comparizione delle parti.

Il tentativo di conciliazione deve esaurirsi nel termine di cinque giorni dalla data di convocazione delle parti. Se il tentativo riesce, le parti sottoscrivono un processo verbale, predisposto dall’ufficio di segreteria, che costituisce titolo esecutivo, previo decreto del giudice del lavoro competente ai sensi dell’articolo 411 del codice di procedura civile. Il processo verbale relativo al tentativo obbligatorio di conciliazione è depositato a cura di una delle parti o di un’associazione sindacale, presso Direzione provinciale del lavoro competente, che provvede a sua volta a depositarlo presso la cancelleria del tribunale ai sensi dell’articolo 411 del codice di procedura civile per la dichiarazione di esecutività. Il verbale che dichiara non riuscita la conciliazione è acquisito nel successivo giudizio ai sensi e per quanto previsto dall’articolo 66, comma 7, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

2. La conciliazione in tema di provvedimenti disciplinari

Successivamente all’entrata in vigore del DLGS 150/2009 (Brunetta) che ha modificato l’intero impianto disciplinare del pubblico impiego, lo spazio per la soluzione transattiva nel campo disciplinare è quanto mai ristretto.

L’articolo 55 DLGS 165/2001 al comma 3 stabilisce che la contrattazione collettiva non può istituire procedure di impugnazione dei provvedimenti disciplinari. Resta salva la facoltà di disciplinare mediante i contratti collettivi procedure di conciliazione non obbligatoria, fuori dei casi per i quali è prevista la sanzione disciplinare del licenziamento, da instaurarsi e concludersi entro un termine non superiore a trenta giorni dalla contestazione dell’addebito e comunque prima dell’irrogazione della sanzione. La sanzione concordemente determinata all’esito di tali procedure non può essere di specie diversa da quella prevista, dalla legge o dal contratto collettivo, per l’infrazione per la quale si procede e non è soggetta ad impugnazione. I termini del procedimento disciplinare restano sospesi dalla data di apertura della procedura conciliativa e riprendono a decorrere nel caso di conclusione con esito negativo. Il contratto collettivo definisce gli atti della procedura conciliativa che ne determinano l’inizio e la conclusione.

In base a tale previsione, L’autorità disciplinare competente ed il dipendente, in via conciliativa, possono procedere alla determinazione concordata della sanzione disciplinare da applicare fuori dei casi per i quali la legge ed il contratto collettivo prevedono la sanzione del licenziamento, con o senza preavviso.

La sanzione concordemente determinata in esito alla procedura conciliativa non può essere di specie diversa da quella prevista dalla legge o dal contratto collettivo per l’infrazione per la quale si procede e non è soggetta ad impugnazione.

L’autorità disciplinare competente o il dipendente può proporre all’altra parte, l’attivazione della cennata procedura conciliativa che non ha natura obbligatoria, entro il termine dei cinque giorni successivi alla audizione del dipendente per il contraddittorio a sua difesa, ai sensi dell’art. 55-bis, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001. Dalla data della proposta sono sospesi i termini del procedimento disciplinare, di cui all’art. 55-bis del d.lgs. n. 165/2001. La proposta dell’autorità disciplinare o del dipendente e tutti gli altri atti della procedura sono comunicati all’altra parte con le modalità dell’art. 55-bis, comma 5, del d.lgs. n. 165/2001.

 La proposta di attivazione deve contenere una sommaria prospettazione dei fatti, delle risultanze del contraddittorio e la proposta in ordine alla misura della sanzione ritenuta applicabile. La mancata formulazione della proposta entro il termine comporta la decadenza delle parti dalla facoltà di attivare ulteriormente la procedura conciliativa.

La disponibilità della controparte ad accettare la procedura conciliativa deve essere comunicata entro i cinque giorni successivi al ricevimento della proposta, con le modalità dell’art. 55-bis, comma 5, del d.lgs. n. 165/2001. Nel caso di mancata accettazione entro il suddetto termine, da tale momento riprende il decorso dei termini del procedimento disciplinare, di cui all’art. 55-bis del d.lgs. n. 165/2001. La mancata accettazione comporta la decadenza delle parti dalla possibilità di attivare ulteriormente la procedura conciliativa.

Ove la proposta sia accettata, l’autorità disciplinare competente convoca nei tre giorni successivi il dipendente, con l’eventuale assistenza di un procuratore ovvero di un rappresentante dell’associazione sindacale cui il lavoratore aderisce o conferisce mandato.

Se la procedura conciliativa ha esito positivo, l’accordo raggiunto è formalizzato in un apposito verbale sottoscritto dall’autorità disciplinare e dal dipendente e la sanzione concordata dalle parti, che non è soggetta ad impugnazione, può essere irrogata dall’autorità disciplinare competente.

 In caso di esito negativo, questo sarà riportato in apposito verbale e la procedura conciliativa si estingue, con conseguente ripresa del decorso dei termini del procedimento disciplinare, di cui all’articolo 55-bis del d.lgs. n. 165/2001.

In ogni caso la procedura conciliativa deve concludersi entro il termine di trenta giorni dalla contestazione e comunque prima dell’irrogazione della sanzione. La scadenza di tale termine comporta la estinzione della procedura conciliativa eventualmente già avviata ed ancora in corso di svolgimento e la decadenza delle parti dalla facoltà di avvalersi ulteriori tutele.

3. Procedure contrattuali di conciliazione ed arbitrato. Il Contratto Quadro Nazionale.

L’accordo sindacale che disciplina nell’ambito del pubblico impiego la conciliazione e l’arbitrato è stato siglato tra l’ARAN e le Organizzazioni Sindacali in data 23 gennaio 2001 presso la sede dell’ARAN. Esso stabilisce in maniera compiuta la procedura al fine di compromettere in arbitri le controversie nel pubblico impiego.

 Fonte normativa del suddetto CCNQ è infatti l’art.412 ter c.p.c che stabilisce che i CCNL possano prevedere la facoltà per le parti di deferire ad arbitri la decisione su una controversia di lavoro, in alternativa al ricorso al Giudice del lavoro.

Ricordiamo che sino al 2010, il tentativo di conciliazione prima di esperire controversia giudiziale era obbligatorio.

Con la legge 183/2010, il tentativo era ridotto a facoltativo, ma era introdotta una sostanziale modifica all’articolo 412 del codice di procedura civile che prevedeva come le parti in sede di tentativo di conciliazione, peraltro facoltativo, potevano compromettere la controversia in arbitri.

Un tanto è sancito all’articolo 412 del codice di procedura civile (Risoluzione arbitrale della controversia) che stabilisce che in qualunque fase del tentativo di conciliazione, o al suo termine in caso di mancata riuscita, le parti possono indicare la soluzione, anche parziale, sulla quale concordano, riconoscendo, quando è possibile, il credito che spetta al lavoratore, e possono accordarsi per la risoluzione della lite, affidando alla commissione di conciliazione il mandato a risolvere in via arbitrale la controversia.

Nel conferire il mandato per la risoluzione arbitrale della controversia, le parti devono indicare:

1) il termine per l’emanazione del lodo, che non può comunque superare i sessanta giorni dal conferimento del mandato, spirato il quale l’incarico deve intendersi revocato;

2) le norme invocate dalle parti a sostegno delle loro pretese e l’eventuale richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei princìpi generali dell’ordinamento e dei princìpi regolatori della materia, anche derivanti da obblighi comunitari.

Il lodo emanato a conclusione dell’arbitrato, sottoscritto dagli arbitri e autenticato, produce tra le parti gli effetti di cui all’articolo 1372 e all’articolo 2113, quarto comma, del codice civile.

D) Il rimedio penale. La tutela penale o meglio la denuncia per abuso d’ufficio

Talora di fronte ad una condotta lesiva dei diritti di un dipendente da parte dell’amministrazione può essere esperito il rimedio penale sicuramente più semplice ed ufficioso rispetto al ricorso innanzi al giudice del lavoro.

Allorquando il rapporto di lavoro era completamente disciplinato dal diritto amministrativo, era pienamente applicabile in caso di illeciti che coinvolgevano il rapporto, il reato di abuso d’ufficio.

Con il DLGS 29/93 il rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione era ricondotto al contratto e quindi al diritto civile.

Ciò ha notevolmente ridimensionato l’applicazione in tale ambito della fattispecie di cui all’articolo 323 CP.

Esso è sicuramente applicabile laddove la pubblica amministrazione opera ancora nell’ambito del diritto amministrativo. Ci riferiamo all’attività concorsuale, alla macro-organizzazione degli uffici.

In tal senso, la Cassazione penale 5.3.2014 n.15158 ha ritenuto che commette il delitto di abuso d’ufficio il pubblico ufficiale che procuri illegittimamente assunzioni ad un pubblico impiego, essendo configurabile il profitto o il vantaggio ingiusto di natura patrimoniale nella attribuzione della posizione impiegatizia e nell’acquisizione del relativo “status”.

Non si ritiene invece costituisca abuso d’ufficio la violazione da parte del pubblico ufficiale delle norme collettive contrattuali applicabili ai rapporti di pubblico impiego (Nella specie, la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza con la quale i giudici di merito avevano condannato per abuso d’ufficio un pubblico ufficiale per non aver applicato l’art. 28 del C.C.N.L.). Cassazione penale – Sez. VI, 03/11/2005, n. 13511.

Nel caso invece di mobbing e maltrattamenti da cui derivino lesioni dell’integrità fisica e psichica del dipendente è possibile procedere con semplice denuncia penale, salvo la prova dei fatti dedotti.

Fabio Petracci

Proposte di intervento su rappresentatività, salario minimo e contratti “pirata”

Riconduzione ad ordine del campo contrattuale – Salario Minimo – Interventi sulla rappresentatività. La linea di CIU – Unionquadri

E’ forte il richiamo mediatico ai cosiddetti “Contratti Pirata” ed alla violazione dei minimi contrattuali, realtà che imporrebbero l’adozione di un minimo orario legale e più stringenti normative per la rappresentanza sindacale e la contrattazione.

Ha fatto discutere mesi orsono la circolare n.3/2018 dell’Ispettorato del Lavoro che negava qualunque tipo di riconoscimento ai contratti collettivi che non riportavano la sottoscrizione dei tradizionali sindacati definiti “maggiormente rappresentativi.”

La situazione reale.

In realtà, il lavoro subordinato trova un ampia copertura contrattuale con il conseguente rispetto del salario minimo.

Sussiste comunque una rilevante proliferazione dei contratti collettivi che spesso presentano minimi tabellari inferiori rispetto a quelli sottoscritti dalle associazioni maggiormente rappresentative.

Trattasi di sistemi contrattuali che presentano un livello salariale molto più basso rispetto alla normalità dei contratti collettivi.

Il fenomeno appare accentuato e rilevante sino al 50% nel settore del tessile. La stipula di contratti sotto il trattamento minimo può toccare anche la regolamentazione di altri istituti soprattutto in tema di flessibilità.

Questa tipologia di contrattazione sorgeva all’inizio degli anni 90 nel settore del turismo e dell’agricoltura. Spesso convergevano in un nuovo contratto declaratorie contrattuali tratte da altri settori produttivi.

I primi fenomeni si manifestavano all’ inizio degli anni 90 nel  settore del turismo e dell’ agricoltura mediante la trasposizione nei contratti di mansioni tratte da altri settori produttivi ed inserite in altri contratti collettivi o in altra contrattazione all’uopo creata. Si verificava così un significativo decentramento settoriale.

Questo sistema era destinato ad allargarsi dalle piccole imprese verso sistemi produttivi di maggiori dimensioni, con l’avanzare della crisi e l’aumento del livello di competizione tra le imprese, con ripercussioni anche sulla concorrenza.

La vera emergenza.

La vera emergenza è verificata però tra i lavoratori a rischio povertà che non coincidono quasi mai con le categorie toccate da questi contratti, ma che si identificano in coloro che subiscono un impiego part time involontario con una notevole riduzione delle ore lavorate e retribuite.

Il contratto “pirata”

In ogni caso, la contrattazione così definita come “pirata” presenta due indici di riferimento.

Da una parte, il riscontro oggettivo di clausole non rispettose dei minimi contrattuali e di trattamenti legalmente imposti.

Dall’altra parte, le caratteristiche dei sottoscrittori che non sempre appaiono soggetti dotati di rappresentatività.

In merito al primo aspetto, l’indagine può in termini relativamente semplici acclarare la natura del contratto e dei suoi contenuti.

In tema all’insussistenza dei requisiti di rappresentatività in capo alle parti stipulanti, il requisito dovrebbe ritenersi un mero indice, salvo che, non ci si addentri nelle problematiche ancora aperte concernenti i requisiti di rappresentatività che ancora non hanno trovato piena definizione legale.

Va anche valutata la reale portata del fenomeno contrattuale all’esame anche in relazione ai rimedi già esperibili ed esistenti contro la violazione dei minimi contrattuali.

Rimedi attuabili.

Un primo correttivo seppure non sempre efficace e di agevole soluzione, è dato dall’articolo 36 della Costituzione, esso è definito come un rimedio residuo dal momento che richiede l’intervento giudiziale.

Ulteriore rimedio e non di poco conto è individuato nella disciplina previdenziale che stabilisce il minimo contributivo nei termini di cui articolo 1 DL 338/1989 e articolo 2, comma 25, legge n.549 del 1995).

Trattasi di normative che uniformano il calcolo dei contributi previdenziali ad un trattamento minimo individuabile nella legge e nei contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale.

Consiglia inoltre l’applicazione di minimi salariali conformi anche la normativa in tema di appalti che impone il principio di solidarietà tra appaltante ed appaltatore e consiglia quindi l’applicazione di un contratto al riparo di contestazioni dell’INPS.

Inoltre anche le norme concernenti la detassazione di premi ed incentivi di cui all’articolo 51 del DLGS 81/2015 consigliano l’applicazione dei contratti stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi o dalle RSA aziendali.

Dunque non è tanto il mancato rispetto dei minimi contrattuali a determinare l’esiguità di molti trattamenti retributivi, quanto piuttosto l’uso forzato e talora truffaldino del part time che talvolta cela veri e propri rapporti a tempo pieno sottratti ad ogni disciplina contrattuale e di legge.

Quali interventi.

Il controllo amministrativo.

I possibili rimedi debbono tener conto di queste considerazioni.

Il primo e possibile rimedio è dato da un assiduo e costante controllo da parte della pubblica amministrazione che non appare particolarmente difficile dal momento che all’esame è principalmente la clausola contrattuale che riguarda i minimi contributivi.

Il salario minimo.

Il secondo rimedio è individuato nell’imposizione di un salario minimo.

La legge delega 183/2014 (delega al Governo in materia di ammortizzatori sociali all’articolo 1, comma 7, lettera g) prevedeva  l’introduzione, eventualmente anche in via sperimentale, del compenso orario minimo, applicabile ai rapporti aventi ad oggetto una prestazione di lavoro subordinato, nonché, fino al loro superamento, ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, nei settori non regolati da contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, previa consultazione delle parti sociali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Un eventuale soluzione normativa di questo tipo pur presentando problematiche connesse al rispetto della concorrenza, nonché aspetti critici concernenti l’adattamento alle varie congiunture economiche, dovrebbe imporre dei minimi che siano effettivamente tali e che non impongano ai fini del loro rispetto un appiattimento del sistema retributivo soprattutto a sfavore delle categorie a maggiore specializzazione, comprimendo trattamenti accessori, incentivanti e benefits aziendali.

Si potrebbe ad evitare un tanto stabilire un minimo orario particolarmente limitato che comprenda al proprio interno anche il valore di benefits e welfare.

Una migliore definizione della rappresentatività e della legittimazione a contrattare.

Un ulteriore via da percorrere per selezionare gli attori contrattuali è quella di stabilire dei criteri certi di rappresentatività tali da non violare i principi contenuti all’articolo 39 della Costituzione e di resistere di fronte a dissociazioni e resistenze di altre associazioni sindacali.

Numerosi sono stati gli interventi delle principali confederazioni sindacali per attuare delle regole atte a legittimare i soggetti e le rappresentanze sindacali e quindi a fornire alla contrattazione quelle caratteristiche di stabilità e certezza che da molte parti sono auspicate.

Contiamo numerosi accordi intersindacali intervenuti sul tema nel tentativo di disciplinare la materia.

Appare quanto mai difficile che i soggetti destinati ad essere regolamentati e legittimati possano da soli e senza il concorso dei soggetti terzi dar luogo a delle regole complete ed inoppugnabili.

Ciò significa che dovrebbe rendersi necessario l’intervento legislativo che per dare totale stabilità al sistema dovrebbe essere profondo partendo dall’attuazione dell’articolo 39 della Costituzione.

Il superamento del dato quantitativo.

Lo stesso intervento dovrebbe partire da un concetto di rappresentatività basato non solo su di un dato numerico e quantitativo, ma che dovrebbe invece tener adeguatamente conto di una rappresentatività garantita per quelle realtà lavorative o per quelle categorie con connotazioni specifiche anche in assenza di numeri di grande entità che le stesse proprio per la loro stessa natura non possono raggiungere.

Nel caso dei quadri, la contrattazione collettiva dei sindacati maggiormente rappresentativi, dovrebbe coesistere con uno spazio contrattuale riservato alle clausole di interesse per la categoria gestito da specifiche rappresentanze degli stessi.

Su questa strada va muovendosi il sindacato CIU – Unionquadri con il manifesto contrattuale dei quadri che vuole esaltare la specificità contrattuale e professionale della categoria.

Alla legge, si chiede poi di individuare specifici spazi elettorali e di rappresentanza per la categoria dei quadri.

La nostra posizione.

In sostanza, la posizione di CIU – Unionquadri è la seguente:

  • Contratti “pirata” – assoluta volontà di affrontare e risolvere il problema nei suoi limiti reali non coinvolgendovi fittiziamente tutte le associazioni sindacali minoritarie o non aderenti a CGIL – CISL – UIL.

Quindi individuazione di tali contratti esclusivamente sulla base dell’individuazione di minimi contrattuali manifestamente difformi e di clausole contrarie alle vigenti leggi, e non sulla base delle associazioni firmatarie.

  • Salario minimo.   Ciu Unionquadri non è convinta della necessità di questa misura, in quanto l’imposizione di un minimo di paga oraria soprattutto nei termini elevati prospettati, coinvolgerebbe risorse destinate a premiare il merito e la professionalità, ad incrementare gli istituti premiali e finirebbe, come già accaduto con la contingenza a dar luogo ad un insopportabile appiattimento retributivo. Ove la misura trovasse accoglimento, nel minimo di legge andrebbe computato il welfare aziendale ed ogni istituto premiale non tassato.
  • Revisione della rappresentatività sindacale.  Interesse di CIU Unionquadri per una contrattazione su clausole specifiche della categoria con un riconoscimento sul punto di rappresentatività e nel caso di intervento legislativo, adozione di norme di protezione/riserva che garantiscano la rappresentanza al di là del mero dato numerico.

Presentazione del Manuale: Previdenza Sociale e Lavoro – Il nuovo sistema pensionistico: tutele e contenzioso

La Confederazione CIU e il Centro Studi “Corrado Rossitto” sono lieti di invitarVi all’incontro di presentazione del Manuale Previdenza Sociale e Lavoro – Il nuovo sistema pensionistico tutele e contenzioso (qui maggiori informazioni) con:

  • l’avv. Fabio Petracci, co-autore del Manuale e Presidente del Centro Studi Corrado Rossitto
  • il prof. Nicola De Marinis, Consigliere della Corte di Cassazione – Sezione Lavoro
  • l’avv. Alberto Tarlao, co-autore del Manuale

L’evento si terrà in data venerdì 12 luglio alle ore 11 presso la sede nazionale CIU in via A. Gramsci n. 34 a Roma.

Per maggiori informazioni contattare lo 06.3611683.

Si prega di confermare la presenza all’indirizzo mail segreteria@ciuonline.it