Coronavirus

Tutela del consumatore, scrive l’avvocato Laura Aramini del Centro Studi Viaggi annullati per coronavirus: il settore turistico in bilico tra richieste di rimborsi e voucher Avv. Laura Aramini (Konsumer): “Il vettore deve procedere al rimborso o emettere un voucher, ma si tratta di una misura che tutela il venditore, non certo il consumatore”

Tra i primi effetti dell’emergenza da covid-19 sull’economia italiana va indubbiamente segnalata la cancellazione di viaggi e vacanze. L’impossibilità di spostarsi, ma anche la paura di entrare in contatto con estranei e focolai, ha portato migliaia di persone a disdire le prenotazioni nel breve periodo, ma anche quelle effettuate per i mesi estivi.

Molti turisti hanno lamentato la difficoltà di ottenere il rimborso da parte dell’agenzia o del portale presso il quale avevano effettuato l’acquisto, che avevano offerto soltanto di posticipare le date o di emettere un voucher. In effetti, ci troviamo oggi a vivere in una situazione che non si era mai verificata prima e, per questo, genera incertezza in diversi campi.

Con il decreto-legge del 2 marzo 2020, è stato stabilito all’art. 28 il diritto al rimborso in favore di chi abbia acquistato un biglietto o un pacchetto turistico, senza poter effettuare il viaggio o la vacanza per motivazioni connesse all’epidemia derivante da COVID 19. – Ha dichiarato l’Avvocato Laura Aramini, dell’associazione KonsumerIl vettore, dunque, entro quindici giorni dalla comunicazione effettuata dal cliente, dovrà procedere al rimborso del corrispettivo versato o emettere un voucher di pari importo,utilizzabile entro un anno dall’emissione. Questo, dunque, non dovrebbe lasciare spazio ad equivoci, ma la questione dei voucher sembrerebbe, di fatto, tutelare solo il venditore e non certo l’acquirente.”

Secondo Konsumer, questa norma, contenuta in un decreto-legge della cui legittimità secondo diversi costituzionalisti c’è da dubitare, impedisce ai consumatori di poter recuperare il denaro speso, consistente  talvolta in i somme ingenti, obbligandoli a fruire di viaggi in tempi da loro non scelti che, magari, non si sposano con i loro impegni o con il desiderio di restare a casa in un momento così particolare.

Dopo aver attentamente studiato la disposizione,Konsumer ha deciso di mettere le sue sedi a disposizione di tutti i passeggeri e turisti che vogliono ottenere l’immediato rimborso del prezzo pagato, in quanto crede che siano casi in cui  il cliente abbia diritto a ricevere la restituzione di quanto versato, senza dover attendere  un voucher.

Coronavirus

Corona Virus – Decreto Liquidità e Gestione Sindacale dei Livelli Occupazionali. Per ottenere il finanziamento, serve l’accordo sindacale sui livelli occupazionali?

La norma in discussione.

L’articolo 1 del Decreto Liquidità DL 23/2020 all’articolo 1, comma 1 prevede espressamente che “ L’impresa che beneficia delle garanzie assume l’impegno a gestire i livelli occupazionali attraverso accordi sindacali.”

Trattasi di un rilevante limite non solo per la concessione del credito, ma anche per il futuro della gestione aziendale.

La norma è, come vedremo inedita, e presenta dei tratti del tutto sintetici che necessitano di spiegazione.

Alcune ipotesi similari, ma non identiche.

La subordinazione dell’autonomia nella gestione dell’azienda soprattutto nell’ambito degli eventi di ristrutturazione a cavallo tra gli anni 80/90 era spesso caratterizzata dalla necessità di consultazione tra le parti che potevano sfociare in accordi che andavano a regolamentare e qualche volta a lenire i contraccolpi sul piano sociale ed occupazionale che tali eventi necessariamente comportavano.

I casi di maggior rilievo sono dati dal DLGS 148/2012 in tema di ammortizzatori sociali e di cassaintegrazione guadagni, laddove all’articolo 14 impone in tali casi, la preventiva comunicazione alle organizzazioni sindacali finalizzata alla stipula di eventuale accordo sindacale per disciplinare la procedura.

Analoghe procedure sono previste in tema di trasferimento d’azienda mediante l’articolo 47 della legge 428/1990 e dall’articolo 4 della legge 223/91 in tema di procedure di mobilità.

In pratica la necessaria informativa sindacale e l’eventuale accordo che ne segue si inseriscono nella gestione delle crisi o delle ristrutturazioni o riconversioni aziendali.

Si parla in questo caso di ruolo gestionale della contrattazione collettiva.

Le criticità rilevate.

La norma in esame invece costituisce il presupposto per ottenere in un momento di crisi contingente determinata da una grave pandemia, la garanzia dello stato che prelude ad un finanziamento creditizio.

Qualche voce allarmistica aveva lamentato come non avrebbe potuto accedere al credito chi non avesse allegato alla richiesta il testo dell’accordo in tema di livelli occupazionali.

Non è proprio così, la lettera richiede esclusivamente la dichiarazione dell’impegno a stipulare in sede sindacale degli accordi per gestire i livelli occupazionali.

Serve allegare il testo dell’accordo?

Infatti, sul piano relativo alla concessione del credito, la circolare ABI del 9.4.2020 impone all’impresa che beneficia della garanzia pubblica, esclusivamente di assumere l’impegno a gestire i livelli occupazionali attraverso accordi sindacali.

Questa precisazione non esclude però rilevanti perplessità sulla legittimità della norma e sulla sua portata.

Legittimità della norma – problemi.

Per quanto attiene la legittimità costituzionale, va posta debita attenzione sull’articolo 39 della Carta Costituzionale che salvaguarda la libertà sindacale e sull’articolo 41 della stessa Carta Costituzionale che sancisce la libertà di impresa con i limiti della sicurezza e dell’utilità sociale.

Imporre l’obbligo non alla trattativa, ma a contrarre per qualunque delle parti sociali, per ottenere un beneficio economico o la tutela dell’occupazione, può rasentare la violazione di tali principi.

La portata dell’impegno.

I dubbi poi sulla portata di tale normativa non sono pochi.

Nel tempo.

In primo luogo la sua durata, il credito può avere una durata massima di sei anni e ciò starebbe a significare che l’obbligo a definire con la contrattazione ogni intervento sulla gestione dei livelli occupazionali avrebbe una simile durata.

I casi di applicazione.

Ulteriore aspetto che meriterebbe una migliore definizione è dato dai casi di applicazione della fattispecie.

Essa trova applicazione ai soli fenomeni collettivi che toccano gli assetti occupazionali o si estende anche ai licenziamenti individuali di natura economica definiti come licenziamenti per giustificato motivo oggettivo?

A prima vista, parrebbe che il termine livelli occupazionali indichi l’assetto generale dell’occupazione e che quindi non possa interessare il singolo licenziamento, ma la causale economica dello stesso è pur sempre il sintomo di una difficoltà dei livelli occupazionali.

Inoltre a considerare solo i casi che interessano una collettività di occupati, essi già prevedono ipotesi di consultazione e di eventuale definizione contrattuale collettiva.

Dunque in base ad un concetto quanto mai generale e letterale di livelli occupazionali, andrebbero compresi i licenziamenti collettivi, ogni forma di mobilità, cassa integrazione e probabilmente anche il trasferimento d’aziende.

In tutti questi casi, alla ordinaria convocazione sindacale, dovrebbe seguire l’inevitabile e obbligatorio accordo con un sindacato che, come suo diritto, potrebbe anche non voler essere vincolato da accordi.

Le conseguenze negative.

D’altro canto, a vedere la questione dalla parte sindacale, l’organizzazione dei lavoratori potrebbe essere costretto ad accordi ingiusti a pena del mancato conferimento del finanziamento e della chiusura dell’azienda.

La mancanza dell’accordo potrebbe comportare la revoca della garanzia e nel caso di licenziamento la nullità dello stesso, inoltre l’organizzazione dei lavoratori, in caso di mancato accordo, potrebbe agire in base all’articolo 28 dello Statuto dei Lavoratori denunciando la condotta antisindacale.

I rimedi

Necessita quindi un intervento chiarificatore in sede di conversione in legge del decreto che ne chiarisca la durata, la portata ed affronti l’ipotesi in cui la controparte non intenda sottoscrivere l’accordo.

Fabio Petracci.

Coronavirus

Video. Labor network in streaming: la gestione dei rapporti di lavoro ai tempi del coronavirus.

Pubblichiamo il video del webinar organizzato da Labor network (www.labornetwork.it) il 15 aprile sulla gestione dei rapporti di lavoro ai tempi del coronavirus.
L’intervento del avv. Petracci in merito alla sicurezza sul lavoro nell’emergenza COVD – CORONAVIRUS con particolare attenzione allo stress lavoro correlato e burn out delle categorie più a rischio inizia a 1h 44 min.

Coronavirus

Emergenza Coronavirus Il decreto liquidità n.23/2020 dell’8 aprile. Disposizioni in materia di Salute e di Lavoro. – articolo 38 – Disposizioni in materia di Medicina Convenzionata. I medici di base una categoria di lavoratori troppo trascurata. Di Fabio Petracci già Presidente (2009/2012) del Collegio Arbitrale Regione FVG Commissione Paritetica – Medici di Base FVG.

Le recenti disposizioni di legge sull’emergenza COVID

Il decreto liquidità al Capo VI articolo 38 dopo aver trattato prevalentemente temi finanziari, si sofferma su alcune disposizioni urgenti in materia contrattuale in favore della medicina convenzionata, anticipando gli effetti economici dell’Accordo Collettivo Nazionale 2016 – 2018.

La norma dichiaratamente è finalizzata a compensare la categoria del maggior impegno richiesto ai medici convenzionati per garantire la continuità assistenziale durante l’emergenza sanitaria in corso.

La legge specifica poi che le misure economiche a favore dei professionisti vengono adottate anche per garantire la reperibilità a distanza dei medici della medicina generale (telefonica, SMS, Sistemi di messagistica, Sistemi di videocontatto e videoconsulto) per tutta la giornata anche con l’ausilio del personale di studio, in modo da contenere il contatto diretto e conseguentemente limitare i rischi di contagio dei medici e del personale stesso.

Si attribuisce quindi ai medici l’onere di dotarsi di sistemi di piattaforme digitali che consentano il contatto ordinario e prevalente con i pazienti fragili e cronici gravi, collaborando a distanza, sorvegliando inoltre i pazienti in quarantena o in isolamento o in fase di guarigione dimessi precocemente dagli ospedali.

L’intervento legislativo trova in realtà la propria ragione nella difficile situazione in cui si sono trovati i medici di base di fronte all’avanzare del contagio.

Medici di base e coronavirus.

Naturalmente nel corso dell’epidemia le categorie professionali maggiormente visibili a causa anche dei rischi e dello stress sono stati i medici e gli infermieri degli ospedali che hanno operato nei reparti d terapia intensiva.

Importante è stato anche l’apporto dei medici di famiglia vera e propria linea di comunicazione tra il fronte ospedaliero ed il manifestarsi del contagio sul territorio.

In realtà spesso questo contatto ha incontrato notevoli difficoltà, in quanto questa categoria che si pone a metà strada tra il libero professionista ed il medico dipendente non ha ricevuto i supporti organizzativi, informativi, nonché le attrezzatture necessarie.

La categoria ha avuto tra l’altro numerosi deceduti in servizio a causa del contagio.

La pandemia sviluppatasi ha infatti messo a dura prova l’operatività delle strutture sul territorio evidenziando come non sempre abbia funzionato il raccordo tra l’attività di cura ospedaliera ed il rilevamento del contagio sul territorio.

Si è ampiamente evidenziata la necessità di una nuova organizzazione della medicina convenzionata ed un doveroso riconoscimento della sua importanza e del suo potenziamento.

Una breve storia della regolamentazione del lavoro di questa categoria di professionisti.

La Medicina Generale del Territorio in alcuni paesi denominata medicina di famiglia, è un settore professionale di recente istituzione.

In Italia, sino alla prima metà del novecento, le cure mediche primarie sul territorio erano affidate alle condotte mediche.

Di seguito, si passava all’assistenza medica mutualistica.

Verso la fine degli anni 70, si decideva di avvicinarsi al modello inglese che affidava a ciascun medico una lista di pazienti, in modo che tutta la popolazione potesse avere un proprio medico di riferimento.

Tale modello venne adottato con la riforma della sanità del 1978.

La Riforma Sanitaria.

L’articolo 48 della legge 23.12.1978 n.833 (Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale), esordiva menzionando un accordo economico nazionale che doveva disciplinare il rapporto di lavoro e l’organizzazione dei medici convenzionati che avrebbero dovuto operare sul territorio.

La legge imponeva in ogni caso che detti accordi dovessero rispettare determinati parametri.

Quali un rapporto ottimale tra medico ed assistibili che avrebbe poi dovuto determinare il pagamento del compenso. Dovevano inoltre essere stabiliti dei precisi percorsi di formazione e degli elenchi unici. Erano imposte inoltre tutta una serie di incompatibilità e delle forme di controllo da parte di apposite commissioni paritetiche di disciplina che potevano anche irrogare sanzioni, rispettando i principi della contestazione degli addebiti.

Le finalità di questa organizzazione contrattualizzata erano quelle di assicurare la continuità dell’assistenza e forme di prevenzione e di educazione sanitaria.

Si creava quindi un corpo di liberi professionisti disciplinati da un contratto collettivo nazionale, istituendosi così una categoria di medici la cui prestazione era sicuramente autonomo, pur risentendo di molti aspetti del lavoro dipendente.

La Legge Balduzzi.

Il decreto legge n.158/2012 come convertito in legge n.189/2012 opera la riforma dello status dei professionisti di medicina generale.

Esso istituisce in primo luogo, un ruolo unico per le figure professionali dei medici di base e dei medici di guardia. (comma 3 articolo 1 DL n.183/2012).

Il comma 1 del medesimo articolo 1 invece, riordina l’attività dei soggetti convenzionati richiedendo che essa sia svolta all’interno di strutture organizzative mono professionali o multi professionali.

Si vuole in tal modo creare delle strutture sanitarie organizzate e sempre disponibili sul territorio affidandole ai medici di base venendo così incontro anche al ridimensionamento delle strutture sanitarie principali ed evitando l’ormai noto intasamento del pronto soccorso.

La riforma non attecchisce boicottata anche da spinte corporative e dal subentro di altri ministri al dicastero della sanità.

Forse l’attuale contingenza potrebbe indurre a qualche ulteriore riflessione.

Il Decreto Cura Italia

IL DECRETO “CURA ITALIA” , la guida alle misure.

Sarà presto disponibile la guida alle misure per famiglie, lavoratori e imprese volte a fronteggiare l’emergenza economica scaturita in seguito alla diffusione globale del coronavirus.
Il testo analizza in modo dettagliato il contenuto dei provvedimenti del decreto legge “Cura Italia”, tra cui le misure di sostegno al lavoro, le prestazioni previdenziali e assicurative, senza tralasciare gli interventi straordinari previsti in materia di lavoro agile, gli strumenti di sostegno alle imprese, alle famiglie e le misure in materia fiscale.
A ciò si aggiunge una disamina sulla tutela delle persone vulnerabili, dei minorenni, sui contratti di locazione ad uso abitativo e commerciale e sugli adempimenti connessi alla sicurezza sul lavoro.

Di seguito, gli autori:

GIOVANNI ALESSI, avvocato, è socio fondatore dello Studio Legale SAPG legal con sedi in Milano, Roma, New York e Miami. Specializzato in diritto societario, commerciale, bancario e successorio, ha assistito ed assiste grandi società, anche multinazionali, nonché piccole e medie imprese. Socio dell’Associazione “Il trust in Italia”, ha inoltre una consolidata esperienza in materia di Trust, anticipazione successoria, passaggio generazionale e family office che gli consente di gestire problematiche legate all’amministrazione, alla governance ed alla protezione e trasferimento dei patrimoni. Assiste infine i clienti nei settori di Entertainment, Real Estate, Luxury & Design e Sport. Autore di numerosi scritti nelle materie di competenza, è anche relatore in seminari e convegni.

MAURIZIO ALTOMARE, avvocato penalista del Foro di Trani. È abilitato al patrocinio presso le magistrature superiori. È consigliere e responsabile regionale dell’Ufficio legale della Federazione Antiracket Italiana, nell’ambito della quale fornisce consulenza legale alle vittime dei reati di estorsione e usura, prestando la propria assistenza anche a testimoni di giustizia sottoposti a misure di protezione personale, vittime di usura ed estorsione. Partecipa quale relatore a numerosi incontri e convegni in materia di diritto e procedura penale.

FEDERICA ATTANASI, avvocato tributarista. Laureata in Giurisprudenza presso l’Università del Salento, ha espletato la pratica forense presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Lecce; successivamente, ha svolto il tirocinio formativo presso il Tribunale di Lecce. Attualmente collabora con lo studio tributario “Villani” per cui redige pareri ed articoli in materia fiscale e tributaria.

MASSIMILIANO FERRARI, laureato in Economia e Commercio presso l’Università “Luigi Bocconi” col massimo dei voti. Specialista in gestione societaria, consulente fiscale e revisore dei conti. È stato Presidente della Commissione contenzioso dell’Ordine dei dottori commercialisti ed esperti contabili di Lecco. Mediatore abilitato e formatore per associazioni di categoria, enti e aziende, svolge la propria attività a livello nazionale presso vari organismi di mediazione e società di formazione. Dal 2013 è socio fondatore dello Studio Ferrari & Associati di Lecco. Relatore e docente a convegni, corsi e master in materia di contenzioso tributario e mediazione civile e commerciale. Autore con Zaira Pagliara dell’opera “Mediazione civile e tributaria a confronto” (Editrice Ad Maiora, 2016), ha curato con Luca Brenna e Marco Milani, l’opera “Il Processo Tributario Telematico. Professionisti e Innovazione Digitale”, (Ad Maiora 2.0, 2017). Recentemente ha pubblicato con Armando Dragoni, l’opera “Legge di Bilancio 2020” (Duepuntozero, 2020).

NICOLA FRIVOLI, avvocato del Foro di Bari, svolge attività di consulenza legale nelle materie del diritto civile. Per oltre dieci anni ha ricoperto l’incarico di Giudice Onorario presso i Tribunali di Bari e di Trani. Cultore della materia presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bari è attualmente docente presso la Scuola Forense Barese. Autore di opere monografiche pubblicate da case editrici di rilevanza nazionale, è una delle firme dell’inserto “L’Economia” del Corriere della Sera.

FABIO PETRACCI, è titolare dello omonimo studio legale con sede in Trieste. Specializzato in diritto del lavoro e del pubblico impiego, è cultore della materia presso l’Università degli studi di Trieste. Consulente in ambito nazionale di diverse organizzazioni sindacali, ricopre la carica di Presidente del Centro Studi “Corrado Rossitto” della Confederazione Italiana di Unione delle professioni intellettuali. Autore di numerosi saggi di diritto del lavoro, ha al suo attivo numerose collaborazioni con riviste a livello nazionale. Autore della pubblicazione “Reddito di Cittadinanza” (Duepuntozero, 2019) e “Previdenza Sociale e Lavoro. Il nuovo sistema pensionistico: tutele e contenzioso” (Duepuntozero, 2020).

MADDALENA PETRONELLI, avvocato cassazionista. Presidente della sede territoriale di Trani della Camera Nazionale Avvocati per la Famiglia e i Minorenni, esercita nel campo del diritto civile, occupandosi in particolare di diritto dei minori e della famiglia. Esperta di diritto fallimentare e di procedure esecutive, ricopre incarichi di curatrice e delegata alle vendite presso il Foro di appartenenza. Autrice del volume “Il nuovo diritto di famiglia: matrimonio, unioni civili e convivenze di fatto” (Ad Maiora 2.0, 2016). Tra le sue pubblicazioni: “Gli strumenti telematici nelle procedure esecutive immobiliari” (Ad Maiora 2.0, 2017), “Gli aspetti patrimoniali della crisi familiare” (Duepuntozero, 2018), “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza” e “I nuovi profili della responsabilità genitoriale: diritti, doveri e tutele” (Duepuntozero, 2019).

PASQUALE SANTORO, laureato in giurisprudenza e in scienze economiche, esercita la professione di avvocato civilista. Giudice onorario presso il Tribunale di Bari, è formatore in diritto e tecnica delle assicurazioni. Autore pubblicazioni in materia di responsabilità civile e diritto delle assicurazioni, collabora con il “Foro Italiano” e “Danno e Responsabilità”. Di recente ha pubblicato con La Tribuna “Le nuove norme sulle assicurazioni R.C.A.” (2017) e con Duepuntozero “L’Assicurazione della R.C. Auto tra tecnica, diritto e giurisprudenza – La polizza, le responsabilità, i danni risarcibili” (2020).

DOMENICO SPINAZZOLA, laureato in Scienze delle Professioni Sanitarie della Prevenzione e in Tecniche della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro. Si è specializzato in Diritto, Economia e Management delle Aziende Sanitarie presso l’Università LUM “Jean Monnet” di Casamassima. Dal 2007 è dirigente sanitario Responsabile del Servizio delle Professioni Sanitarie della Prevenzione presso la ASL BAT.

MAURIZIO TARANTINO, avvocato del Foro di Bari, svolge attività di consulenza legale con particolare interesse nelle materie di diritto civile e di famiglia. Esperto in diritto condominiale e delle locazioni, articolista giuridico, autore e curatore di importanti opere per alcune delle più importati case editrici del settore, collabora su tematiche giuridiche con diverse riviste e siti specializzati.

ALBERTO TARLAO, avvocato, da sempre attento ai temi giuslavoristici, ha conseguito un master in Diritto del Lavoro e della Previdenza Sociale. Attualmente collabora con Guida al Lavoro del Sole 24 Ore ed è relatore a conferenze in materia giuslavoristica.

MAURIZIO VILLANI, avvocato cassazionista. Specializzato in Diritto Tributario e Penale-Tributario, è relatore in vari convegni nazionali. Docente nei Corsi di Perfezionamento giuridico biennale ad indirizzo teorico-pratico per gli avvocati, è cultore della materia in Diritto Processuale Tributario presso la Libera Università Internazionale Ricerca Scientifica di Roma. Promotore della riforma della giustizia tributaria sin dal 2000, è anche autore di due disegni di legge oggi al vaglio del Senato, nel 2016 è stato insignito del Premio Barocco Nazionale per “il fondamentale contributo scientifico nell’ambito della riforma del nuovo processo tributario”. Collabora con numerose riviste tra cui: Il Sole 24 ore, il Corriere Tributario e il portale Il Tributario di Giuffrè Francis Lefebvre. È autore di diversi testi in materia di contenzioso tributario.

E con la collaborazione di Chiara Bassanese, laureanda in Giurisprudenza con tesi in Diritto del Lavoro, collaboratrice dell’avvocato Fabio Petracci in diverse pubblicazioni e ricerche, aderente all’associazione Libera contro le mafie dal 2012 al 2015, con la quale ho partecipato ad eventi nazionali di attivismo contro il fenomeno mafioso.

Sito INPS

Offline il sito dell’INPS, l’opinione di un quadro informatico (di altro ente previdenziale)

In questi giorni, abbiamo assistito al default del sito informatico dell’INPS che ha causato nell’ambito della situazione di emergenza dovuta al Coronavirus un ulteriore emergenza che ha impedito la distribuzione degli aiuti economici stabiliti dal Governo.
Per capire almeno alcune delle ragioni che non permettono a queste strutture di funzionare correttamente, pubblichiamo la testimonianza di un quadro informatico di un ente previdenziale.
Come vedremo, alla vicenda personale di mortificazione della professionalità, si accompagnano scelte aziendali che non sempre appaiono corrette.
Pubblichiamo questa esperienza , non per polemica, in questo momento non ce ne sarebbe proprio bisogno, ma perché in futuro la professionalità acquisita non venga trascurata e sprecata.

UN PO’ DI STORIA
L’informatizzazione dell’ente inizia nel 1983 con il cosiddetto Nuovo Sistema Informativo.
Questo prevedeva, oltre all’informatizzazione delle aree istituzionali (“premi” e “prestazioni”), la creazione di un CED per ciascuna sede territoriale e l’installazione di uno o due “mainframe” (i cosiddetti sistemi dipartimentali”, IBM 8100 prima con sistema operativo DPCX e, in seguito IBM 9370 con sistema operativo DPPX) e di un terminale “stupido” con relativa stampante per ciascun utente amministrativo.
Nei CED erano previsti 2 “operatori di controllo” per ciascun sistema dipartimentale. A ………, dove cominciai ad operare, eravamo in 4 per la sola sede di ……….
Gli “operatori” vennero selezionati su base volontaria attraverso quiz psico-attitudinali (quelli classici che la IBM allora somministrava per selezionare il proprio personale). Per essere ammessi alla selezione bisognava dichiarare in forma scritta l’impegno, in caso di esito positivo, di frequentare i successivi corsi di formazione e le successive selezioni (successivamente fu illegittimamente inibito agli informatici, per salvaguardare l’investimento in formazione fatto su di loro, di accedere alle selezioni per ispettori di vigilanza, in pratica “bloccandoli” nel profilo in maniera discriminatoria). Ai quiz seguiva il corso selettivo di tre settimane consecutive a Roma, presso il “Servizio Meccanizzazione” , Direzione Centrale per l’Organizzazione Digitale). La selezione consisteva nell’invio ai corsi del doppio del personale necessario che veniva poi dimezzato attraverso una esame finale. Una selezione seria, dunque!
Già allora, per il merito delle problematiche trattate, il rapporto tra il personale informatico “periferico” e la direzione centrale tendeva ad essere diretto e non mediato gerarchicamente dalle direzioni (allora “ispettorati”) regionali e le direzioni delle unità di appartenenza (sedi).
I direttori delle sedi, poco collaborativi e generalmente chiusi al cambiamento, mal digerivano quello che interpretavano come un eccesso di indipendenza e si opponevano al fatto che il personale migliore venisse sottratto al buco nero burocratico-amministrativo, ponendo in atto resistenze passive di ogni genere attraverso atteggiamenti contraddistinti da ignoranza, arroganza, supponenza, ignavia, negligenza. Esercitarono pressioni corporative anche sul Direttore Generale che, per ridimensionare lo “scandalo” della presenza di questo personale selezionatissimo e “anarchico”, fino ad indurlo a scrivere una lettera, infarcita di ambiguità , dove tra le righe apriva ad una possibilità di utilizzo del personale informatico “anche” sul fronte amministrativo (i “tempi morti”, fisiologici in un CED, che morti non sono affatto perché sono lo spazio per elaborare soluzioni che richiedono impegno mentale, venivano interpretati, nella loro visione tradizionalmente asfittica che non concepisce necessario il “pensare”, come dolce far niente in orario d’ufficio). Ricordo, di quell’antica lettera la frase-cerniera, “onde non rimanere avulsi dal contesto produttivo”, come se gli informatici non producessero nulla, come se non fossero, se non gli unici, tra i pochi, ad avere una visione globale dei problemi da quell’osservatorio privilegiato che si era rivelato il CED, come se non fossero il motore concreto di un cambiamento epocale nel modo di lavorare.
Questa strategia di corto respiro e, soprattutto, inutile portò al consolidamento del legame con la Direzione Centrale e con le énclave più illuminate di questa, creando una sorta di legame cameratesco con colleghi e dirigenti contraddistinto da orizzontalità, degerarchizzazione pur nel rispetto dei ruoli, spirito di corpo. Il “tu” era d’uso, come negli ambienti IBM, e nelle molteplici occasioni in cui si andava a Roma ci si trovava anche fuori dalle mura dell’Istituto. Con alcuni elementi del mitico Punto Assistenza Utenti, tutti ormai in pensione da anni, grazie anche ai “social”, esistono ancora oggi rapporti da “commilitoni”.
Ovviamente non fu per tutti così, alcuni colleghi, soprattutto in realtà più provinciali (come quella , dove opero dal 1991,), non seppero contrastare adeguatamente le pressioni dei direttori di sede e accettarono di svolgere, a latere di un lavoro già impegnativo, anche lavoro amministrativo. Quivi u collega , come tutto ringraziamento per essersi occupato anche di rendite, fu deferito alla Corte dei Conti e si vide per anni la liquidazione bloccata). Come era prevedibile ne uscì pulito, visto che la causa del danno erariale era da ascriversi non al suo operato, bensì a patologie organizzative endemiche, ma non ripagato a sufficienza né del lavoro svolto, né dei patemi subiti.
Questo legame diretto con la direzione centrale, come vedremo in seguito, da via di fuga si trasformerà in un boomerang e, comunque, ha rappresentato fin dall’inizio una ulteriore patologia organizzativa che si cronicizzerà. Grazie al combinato disposto di questa doppia stortura, i problemi informatici erano (e sono) percepiti come problemi esclusivi “degli informatici” e basta, e non della struttura di appartenenza. Addirittura la gestione di parte degli approvvigionamenti del materiale di consumo (ad es. nastri e cartucce per stampanti, diversamente da quanto accadeva per la carta e le penne) avveniva (e in molte realtà ancora avviene) a cura dei CED e non di quelli che, al tempo, si chiamavano economati). Fin da allora, e proprio grazie agli atteggiamenti di coloro che sembrava auspicassero il contrario, avveniva la trasformazione di fatto del CED in “corpo separato” a cui tutto chiedere e nulla dare in termini di logistica e sinergie organizzative, salvo far valere la gerarchia ove ve ne fosse necessità: il CED già da allora percepito come “appaltatore” dei sevizi informatici e non già come momento organizzativamente e logisticamente coordinato con il resto della struttura.
I RAPPORTI CON I COLLEGHI
La questione dei “fannulloni” (Brunetta) e/o “nullafacenti” (Ichino) non nasce per caso o per invenzione: insufficienze logistico-organizzative, modalità di selezione del personale ingerenze indebite e abusive da parte di elementi politici (e conseguenti cattivi esempi) hanno, nel tempo, portato il personale ad assumere modalità di adattamento al “sistema” tali da legittimare e garantire, pro domo sua, sempre il massimo rendimento con il minimo sforzo ed evitare il rischio di “sovraesposizione”. Il motto potrebbe essere “sbaglia chi lavora e io non sbaglio mai”.
Quale alibi migliore dunque dell’informatica che non funziona? Come recita un saggio proverbio piemontese “Na cativa lavandera a treuva mai na bona pera” (la cattiva lavandaia non trova mai la buona pietra). Peccato che a fare da parafulmine fossero (e sono) gli informatici, sia per i malfunzionamenti endemici all’INAIL, sia per la strumentalizzazione di questi.
Un illuminante aforisma dice: “Quando gli altri non sanno ciò che tu sai, tu non sai niente”. Quando a non sapere ciò che tu sai è il tuo responsabile il clima si fa pesante.
Il rapporto con i dirigenti normalmente si manifesta in due modalità tipiche, opposte ma entrambe esiziali. La prima consiste nella pretesa di fare i controllori con gli strumenti che man mano ti mette a disposizione il controllato; la seconda, più subdola, nel “dare carta bianca” per non assumersi nemmeno le responsabilità di carattere generale e/o liminare.
Il rapporto con i colleghi amministrativi è ancora più scivoloso. A parte rare eccezioni la norma consiste nello spacciare per “tecnico” e quindi di competenza dell’informatico, ogni problema di tipo pratico o gestionale, dalla sostituzione della cartuccia di toner fino all’uso di un programma applicativo o di una procedura informatizzata nella quale l’informatico non può nemmeno entrare perché, correttamente, non abilitato. Il problema non è tanto quello di ricordare agli interessati, anche a muso duro, che sono affari loro, ma di ricevere comunque venti telefonate e discutere venti volte, quando solo una o due di quelle telefonate sono pertinenti. Dati i presupposti non si tratta mai di telefonate “serene”.
I peggiori sono quelli che o perché sanno che verranno mandati al diavolo o perché non vogliono assumersi la piena responsabilità della loro accidia, vanno dal direttore. Questi ovviamente chiama l’informatico e, dopo aver ottenuto la spiegazione, chiede “per favore” di mettere in condizione il collega, solitamente un caso umano, di operare, o di smascherare l’alibi. Questo comporta ovviamente il dover affrontare tensioni interpersonali delle quali chi ha scelto di occuparsi di questioni tecniche non è tenuto a occuparsi, il dover assistere, in alcuni casi a scenate isteriche, pianti e sceneggiate invereconde.
Vi è inoltre la pretesa che l’informatico supplisca a formazione, informazione, addestramento carenti o del tutto inesistenti (grottesco dopo oltre quindici anni di formazione negata).
Solitudine, incomprensione, carico mentale (elaborare soluzioni a problemi è diverso che passar carte!), carico psicologico da oggettive difficoltà relazionali diventano il leitmotiv di una funzione che dovrebbe essere esclusivamente tecnica!
RIPRENDIAMO LA STORIA
Intanto l’informatica continuava ad evolversi. All’inizio degli anni ’90 ai vecchi mainframe vennero affiancati sottosistemi UNIX per la gestione delle azioni di rivalsa (progetto “polaris”) e di quella che poi sarebbe diventata la “gestione documentale”), ai terminali stupidi vennero sostituiti dei personal computer con sistema operativo windows 3.1 e subito dopo windows ’95, comparvero i primi collegamenti internet, su rete ISDN e i primi indirizzi di posta elettronica, abusivi e artigianali, implementati a cura dei CED (su sollecitazione impropria della dirigenza) grazie ai servizi offerti da provider gratuiti tipo “libero” (bisognava “far vedere” all’“esterno” che si era “avanti”).
Sempre pressati da un surplus di lavoro derivante dai rapporti distorti con i colleghi e con la dirigenza, gli informatici si trovarono a lavorare dovendo dominare contemporaneamente almeno sette sistemi operativi diversi (DPPX, dos, windows 3, windows 95, due versioni di UNIX, OS2 IBM…) in un clima di solitudine oppressiva e quasi di ostilità da parte dei colleghi che opponevano fiera resistenza ad ogni evoluzione e ad ogni richiesta di farsi parte attiva del cambiamento.
Intanto, a peggiorare una situazione già critica, cominciava il turn-over della prima generazione di informatici. A Roma il PAU spariva ed iniziavano le esternalizzazioni, nel silenzio di sindacati sospettabili di collusione, per la “periferia”, a parte un concorso, si continuava a pescare dalla lista dei test psico-attitudinali senza comprendere che non si trattava di una graduatoria di “idonei” e che sotto un certo punteggio esisteva l’inidoneità certificata.
Mi accorsi che molte operazioni qualificanti, demandate al centro, potevano essere compiute in periferia e ne parlai con alcuni interlocutori qualificati. La versione corrente era che non si potessero affidare compiti delicati a persone che “avrebbero fatto danno”, visti gli ultimi ingressi nei CED (sì, ma perché li hanno selezionati?). Ma forse si voleva solo affidare alle società esterne per motivi non sempre chiari l’attività(i progetti avviati intanto fallivano aprendo una ponderosa stagione di scandali con tanto di arresti).
Le esternalizzazioni intanto continuavano, il monopolio IBM-Olivetti-Telecom si sgretolava e si affacciavano alla ribalta sempre più numerosi soggetti esterni, spesso, si dice, nati ad hoc, ai quali veniva affidata la migrazione delle procedure istituzionali da mainframe ad archittettura “client-server”. Questa prima migrazione avveniva affidando a diverse società esterne la riscrittura delle procedure senza che questi soggetti colloquiassero tra di loro. Si arrivò al punto di non poter caricare più procedure sullo stesso pc e all’impossibilità di avere una configurazione standard per tutti i pc, e questo creò problemi logistico organizzativi enormi in periferia, dove, si dovevano rattoppare le carenze centrali con soluzioni subottimali e di corto respiro. Le soluzioni e gli adattamenti per rimediare a quella “sommarietà” romana che poi sarebbe diventata la regola, dipendevano quindi esclusivamente dagli informatici “periferici” sui quali ricadeva l’onere di far funzionare tutto nonostante tutto. I corsi di aggiornamento e i viaggi verso Roma diminuirono fino ad azzerarsi completamente e, in periferia ormai ci si doveva affidare pressoché esclusivamente all’esperienza dei singoli e alla buona volontà.
Finalmente questa fase finì e si arrivo alla migrazione delle procedure su piattaforma web. Nel frattempo i sistemi dipartimentali, i mainframe, erano stati dismessi.
Gli informatici periferici non vennero più rimpiazzati e a quelli rimasti vennero affidati i compiti “residuali”, quello che al netto di qualsiasi eufemismo, si è soliti chiamare “lavoro di merda”. Dequalificazione professionale e demansionamento avanzavano spediti e inesorabili.
I RAPPORTI CON LE SOCIETA’ ESTERNE
Se dal punto di vista sindacale sull’argomento vi sarebbe molto da dire, la scelta di esternalizzare dal punto di vista aziendale è una scelta come un’altra.
Una corretta logica però avrebbe voluto che le società esterne operassero sul territorio coordinate e controllate da nostro personale. Nonostante gli informatici territoriali si relazionassero quotidianamente con le società esterne questo non è avvenuto. Si è preferito, come ho già detto, depauperare un personale altamente qualificato di mansioni e funzioni, ponendolo sullo stesso piano del personale esterno, ferme restando però le responsabilità legate alla “funzione pubblica”. I compiti del personale INAIL sono di fatto diventati indistinguibili da quelli degli addetti esterni, così che taluni lavori rischiano di essere pagati due volte, una volta attraverso il corrispettivo del contratto con la società esterna, un’altra con lo stipendio del funzionario. Nessuno, nemmeno il sindacato, ha fatto chiarezza su questo delicatissimo aspetto.
Al momento attuale, a livello di Direzione Centrale , il rapporto con gli esterni è quello corretto, in quanto questi sono controllati e coordinati dai nostri, mentre il rapporto tra informatici periferici e esterni non lo è. Costoro si permettono di scrivere e telefonare ai nostri funzionari sul territorio impartendo disposizioni di fatto, imponendo scadenze, modalità e metodi come se fossero elementi gerarchicamente sovraordinati. Quando ho scoperto e mi sono opposto al giochetto è stato tutto un piagnucolare e un ricorso alla retorica della “collaborazione”, e del “tavolo di lavoro”, favolette a cui possono credere solo gli ingenui, che tra gli informatici, sono molti.
Un esempio per capire: la gestione della telefonia IP. Quando i telefoni tradizionali vennero sostituiti da telefoni IP nulla funzionava a dovere. Il numero dell’help-desk a cui rivolgersi in caso di malfunzionamenti era (ed è) lo 06 ……….. Ovviamente i colleghi preferivano rivolgersi agli informatici presenti in loco e dovetti affrontare una non facile campagna di persuasione per far sì che si rivolgessero direttamente a chi di dovere, visto che per questo era (è) pagato. Poiché il più delle volte, per risolvere i problema, si doveva eseguire qualche modesta operazione sugli apparecchi telefonici o sugli switch, gli operatori del servizio fonia, dopo aver ricevuto la telefonata dall’utente in difficoltà e preso in carico il problema, constatata l’incapacità di questi di eseguire quelle banali operazioni richieste, telefonavano a noi del CED chiedendo, appunto, “collaborazione”. Alla fine sulla carta figurava che quegli interventi erano stati presi in carico e risolti dalla società esterna preposta (tanto di numero di ticket registrato), mentre il lavoro lo facevamo, per loro, noi funzionari. Quando, polemicamente, scrissi una mail chiedendo copia del contratto al fine di capire se stavo, in quei momenti, lavorando per il mio ente o per una società esterna che non era in grado di far fronte ai sui compiti, visto che le richieste di “collaborazione” erano diventate pressanti e quotidiane, scoppiò il finimondo e il risultato fu che a me non telefonarono più preferendo rivolgersi esclusivamente ad altri collega giudicati più malleabili. A quel punto promossi un’inversione di rotta: invitai i colleghi amministrativi a non comporre più il numero di Roma, ma a rivolgersi nuovamente al CED, insegnai a molti di loro come risolvere i problemi più comuni e feci calare drasticamente il numero dei ticket aperti, se non altro per onorare un principio di realtà.
LA “SPENDING REWIEW” E IL NUOVO MODELLO ORGANIZZATIVO
Il sottotitolo potrebbe essere “cornuti e mazziati”.
Quando il governo Monti, con la “spending review” impose alla amministrazioni dei tagli alla spesa, il nostro ente sempre zelante nei confronti del potere, decise di eliminare gli informatici periferici e di chiudere i CED lasciando solo un “processo informatico” a livello di direzione regionale. Particolarmente zelante e attivo e attento (fino alla petulanza) nel perseguire il nobile obiettivo fu un personaggio di estrazione sindacale pervenuto alle vette dell’ente.
Se dal punto di vista sindacale la chiusura dei CED periferici poteva costituire un problema (risolvibile con i pensionamenti grazie al saggio attendismo strategico dei sindacati e di parte della dirigenza centrale), in una prospettiva di seria riorganizzazione aziendale risponde indiscutibilmente ad una logica di razionalizzazione. Le procedure di lavoro stavano migrando su piattaforma “web”, i server sparivano dai CED e venivano accentrati e “virtualizzati” e i “client” si “alleggerivano”.
Con una buona politica di investimento e riqualificazione delle risorse umane residue, con una esternalizzazione puntuale che prevedesse un rapporto diretto, tramite call center tra utenti amministrativi e società esterne, si sarebbe potuto progettare un percorso virtuoso per conferire agli informatici periferici un ruolo di coordinamento, studio, elaborazione di soluzioni organizzative, funzioni di auditing per orientare la platea degli utenti ad un corretto uso delle risorse informatiche, soprattutto in collaborazione con il professionista della CIT (presente in ogni direzione regionale ma dipendente direttamente da un coordinatore “romano”), sgravandoli del “lavoro di merda”. Si è preferito invece puntare sui “sopravvissuti” per colmare la sommarietà con cui venivano licenziate le novità tecnologiche. E’ come se Una casa automobilistica rilasciasse delle vetture difettose scaricando consapevolmente i problemi su un concessionario privo di mezzi. Insomma, funzionari apicali trasformati in ordinari sbrigafaccende privi di strumenti a disposizione di chiunque per risolvere i problemi più disparati all’interno di una catastrofe organizzativa ormai endemica sulla quale sarebbe opportuno accendere dei potenti riflettori a vari livelli.

Coronavirus

CORONA VIRUS E SICUREZZA SUL LAVORO – SE LAVORO E CONTRAGGO IL VIRUS.

CORONA VIRUS E SICUREZZA SUL LAVORO.

Commento al protocollo condiviso di regolamentazione delle misure 

per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro e brevi osservazioni in tema di sicurezza e responsabilità del datore di lavoro

In data 14 marzo 2020, è stato sottoscritto da Governo, sindacati ed associazioni datoriali un “Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”, in attuazione della misura, contenuta all’articolo 1, comma primo, numero 9), del DPCM 11 marzo 2020, che – in relazione alle attività professionali e alle attività produttive – raccomanda intese tra organizzazioni datoriali e sindacali. 

Nella premessa del Protocollo viene precisato che il documento contiene le linee guida condivise tra le Parti per agevolare le imprese nell’adozione di protocolli di sicurezza anti-contagio, considerato che la prosecuzione delle attività produttive può avvenire esclusivamente solo in presenza di condizioni che assicurino ai lavoratori adeguati livelli di protezione.

Il testo del documento si suddivide in n. 13 punti, che analizzeremo partitamente.

Il punto 1) è dedicato all’informazione; ciascuna azienda, attraverso le modalità più idonee ed efficaci, informa tutti i lavoratori e chiunque entri in azienda circa le disposizioni delle Autorità, consegnando e/o affiggendo all’ingresso e nei luoghi maggiormente visibili dei locali aziendali appositi depliantinformativi, con particolare riferimento:

  • All’obbligo di rimanere al proprio domicilio in presenza di febbre (oltre 37.5°) o altri sintomi influenzali e di chiamare il proprio medico di famiglia e l’autorità sanitaria;
  • Alla consapevolezza e all’accettazione del fatto di non poter fare ingresso o di poter permanere in azienda e di doverlo dichiarare tempestivamente laddove, anche successivamente all’ingresso, sussistano le condizioni di pericolo
  • All’impegno a rispettare tutte le disposizioni delle Autorità e del datore di lavoro nel fare accesso in azienda.
  • All’impegno ad informare tempestivamente e responsabilmente il datore di lavoro della presenza di qualsiasi sintomo influenzale durante l’espletamento della prestazione lavorativa, avendo cura di rimanere ad adeguata distanza dalle persone presenti.

Il successivo punto 2) riguardale modalità d’ingresso in azienda. Il personale, prima dell’accesso al luogo di lavoro potrà – seppur nel rispetto della disciplina vigente in materia di trattamento dei dati personali – essere sottoposto al controllo della temperatura corporea. Nel caso di controllo e rilevazione di temperatura corporea superiore ai 37,5°, non sarà consentito l’accesso ai luoghi di lavoro.

Ancora, il datore di lavoro deve informare preventivamente sia il personale sia chi intende fare ingresso in azienda, della preclusione dell’accesso a chi, negli ultimi 14 giorni, abbia avuto contatti con soggetti risultati positivi al COVID-19 o provenga da zone a rischio secondo le indicazioni dell’OMS.

Il punto 3) è relativo alle modalità di accesso in azienda dei fornitori esterni. Per l’accesso di questi ultimi è necessario individuare apposite procedure di ingresso, transito e uscita, mediante modalità, percorsi e tempistiche predefinite, al fine di ridurre le occasioni di contatto con il personale in forza nei reparti/uffici coinvolti.

Ancora, gli autisti dei mezzi di trasporto dovranno preferibilmente rimanere a bordo dei propri mezzi; a costoro non è consentito l’accesso agli uffici aziendali per nessun motivo. Per le necessarie attività di approntamento delle attività di carico e scarico, il trasportatore dovrà in ogni caso attenersi alla rigorosa distanza di un metro.

Per fornitori/trasportatori e/o altro personale esterno l’azienda dovrà individuare/installare servizi igienici dedicati, prevedendo contestualmente il divieto di utilizzo dei servizi igienici a disposizione del personale dipendente oltre a garantire una adeguata pulizia giornaliera dei medesimi.

Va ridotto l’accesso ai visitatori esterni e, qualora l’ingresso fosse necessario (es. ditte di pulizia) questi lavoratori esterni dovranno sottostare a tutte le regole aziendali, ivi comprese quelle per l’accesso ai locali aziendali.

Nel caso sia presente un servizio di trasporto organizzato dall’azienda va garantita e rispettata la sicurezza dei lavoratori lungo ogni spostamento.

Viene altresì specificato che le norme del Protocollo si estendono anche alle aziende in appalto.

Al punto 4) si tratta della pulizia e sanificazione in azienda. In particolare, l’azienda assicura la pulizia giornaliera e la sanificazione periodica dei locali, degli ambienti, delle postazioni di lavoro e delle aree comuni e di svago. Nel caso di presenza di una persona con COVID-19 all’interno dei locali aziendali, si procede alla pulizia e sanificazione ed alla ventilazione dei locali.

Viene richiesto di garantire la pulizia a fine turno e la sanificazione periodica di tastiere, schermi touch, mouse con adeguati detergenti, sia negli uffici, sia nei reparti produttivi 

Ancora, l’azienda, in ottemperanza alle indicazioni del Ministero della Salute e secondo le modalità ritenute più opportune, può organizzare interventi particolari/periodici di pulizia ricorrendo agli ammortizzatori sociali (anche in deroga).

Il punto 5) è dedicato alle precauzioni igieniche personali da adottare. È obbligatorio che le persone presenti in azienda adottino tutte le precauzioni igieniche, in particolare per le mani; in tal senso, è raccomandata la frequente pulizia delle mani con acqua e sapone. In tal senso, l’azienda mette a disposizione idonei mezzi detergenti.

Al punto 6) sono contenute le prescrizioni per i DPI (Dispositivi di Protezione Individuale). L’adozione delle misure di igiene e dei dispositivi di protezione individuale è fondamentale e, vista l’attuale situazione di emergenza, è evidentemente legata alla disponibilità in commercio. Pertanto, le mascherine dovranno essere utilizzate in conformità a quanto previsto dalle indicazioni dell’OMS. In caso di difficoltà di approvvigionamento e alla sola finalità di evitare la diffusione del virus, potranno essere utilizzate mascherine la cui tipologia corrisponda alle indicazioni dall’autorità sanitaria.

Peraltro, qualora il lavoro imponga di lavorare a distanza interpersonale minore di un metro e non siano possibili altre soluzioni organizzative è comunque necessario l’uso delle mascherine e di altri dispositivi di protezione (guanti, occhiali, tute, cuffie, camici, ecc…) conformi alle disposizioni delle autorità scientifiche e sanitarie. 

Considerata la situazione, è favorita la preparazione da parte dell’azienda del liquido detergente secondo le indicazioni dell’OMS. 

Il punto 7) è relativo alla gestione degli spazi comuni in azienda. In tal senso, l’accesso agli spazi comuni, è contingentato, con la previsione di una ventilazione continua dei locali, di un tempo ridotto di sosta all’interno di tali spazi e con il mantenimento della distanza di sicurezza di 1 metro tra le persone che li occupano. 

Inoltre, occorre provvedere alla organizzazione degli spazi e alla sanificazione degli spogliatoi per lasciare nella disponibilità dei lavoratori luoghi per il deposito degli indumenti da lavoro e garantire loro idonee condizioni igieniche sanitarie ed occorre garantire la sanificazione periodica e la pulizia giornaliera, con appositi detergenti dei locali mensa, delle tastiere dei distributori di bevande e snack. 

Il punto 8) è dedicato all’organizzazione aziendale. Per il periodo d’emergenza, le imprese potranno, avendo a riferimento quanto previsto dai CCNL e favorendo così le intese con le rappresentanze sindacali aziendali, disporre la chiusura di tutti i reparti diversi dalla produzione o, comunque, di quelli dei quali è possibile il funzionamento mediante il ricorso allo smart working, o comunque a distanza nonché procedere ad una rimodulazione dei livelli produttivi ed assicurare un piano di turnazione dei dipendenti dedicati alla produzione con l’obiettivo di diminuire al massimo i contatti e di creare gruppi autonomi, distinti e riconoscibili. 

Con riguardo a tutte quelle attività che possono essere svolte presso il domicilio o a distanza viene raccomandato di utilizzare lo smart working. Nel caso vengano utilizzati ammortizzatori sociali, anche in deroga, deve sempre essere valutata la possibilità di assicurare che gli stessi riguardino l’intera compagine aziendale, se del caso anche con opportune rotazioni.

Viene raccomandato di utilizzare in via prioritaria gli ammortizzatori sociali disponibili nel rispetto degli istituti contrattuali (par, rol, banca ore) generalmente finalizzati a consentire l’astensione dal lavoro senza perdita della retribuzione e, nel caso l’utilizzo dei predetti istituti non risulti sufficiente, si utilizzeranno i periodi di ferie arretrati e non ancora fruiti.

Da ultimo, sono sospese e annullate tutte le trasferte/viaggi di lavoro nazionali e internazionali, anche se già concordate o organizzate 

Il punto 9) riguarda la gestione dell’ingresso e uscita dei dipendenti. Sono favoriti orari di ingresso/uscita scaglionati in modo da evitare il più possibile contatti nelle zone comuni e, se possibile, occorre dedicare una porta di entrata e una porta di uscita dalle predette zone comuni e garantire la presenza di detergenti segnalati da apposite indicazioni.

Il punto 10) è relativo alla gestione degli spostamenti interni, riunioni, eventi interni e formazione.

Gli spostamenti all’interno del sito aziendale devono essere limitati al minimo indispensabile e nel rispetto delle indicazioni aziendali e non sono consentite le riunioni in presenza. Laddove le stesse fossero connotate dal carattere della necessità e urgenza, nell’impossibilità di collegamento a distanza, dovrà essere ridotta al minimo la partecipazione necessaria e, comunque, dovranno essere garantiti il distanziamento interpersonale e un’adeguata pulizia/areazione dei locali.

Di conseguenza, sono sospesi e annullati tutti gli eventi interni e ogni attività di formazione in modalità in aula, anche obbligatoria, anche se già organizzati; qualora l’organizzazione aziendale lo permetta, è possibile effettuare la formazione a distanza, anche per i lavoratori in smart working. 

In ogni caso, il mancato completamento dell’aggiornamento della formazione professionale e/o abilitante entro i termini previsti per tutti i ruoli/funzioni aziendali in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, dovuto all’emergenza in corso e quindi per causa di forza maggiore, non comporta l’impossibilità a continuare lo svolgimento dello specifico ruolo/funzione.

Quindi il punto 11) prevede le indicazioni per la gestione di una persona sintomatica in azienda. 

Nel caso in cui una persona presente in azienda sviluppi febbre e sintomi di infezione respiratoria quali la tosse, lo deve dichiarare immediatamente all’ufficio del personale e si dovrà immediatamente procedere al suo isolamento in base alle disposizioni dell’autorità sanitaria. L’azienda procede immediatamente ad avvertire le autorità sanitarie competenti e i numeri di emergenza dedicati.

Ciascuna azienda collabora con le Autorità sanitarie per la definizione degli eventuali “contatti stretti” di una persona presente in azienda che sia stata riscontrata positiva al tampone COVID-19. Ciò al fine di permettere alle autorità di applicare le necessarie e opportune misure di quarantena. Nel periodo dell’indagine, l’azienda potrà chiedere che le persone che siano state in contatto stretto lascino cautelativamente lo stabilimento, secondo le indicazioni dell’Autorità sanitaria.

Il punto 12) prende in considerazione la sorveglianza sanitaria, che deve proseguire rispettando le misure igieniche contenute nelle indicazioni (cd. decalogo) del Ministero della Salute. Vanno privilegiate le visite preventive, le visite a richiesta e le visite da rientro da malattia.

La sorveglianza sanitaria periodica non va interrotta, perché rappresenta un’ulteriore misura di prevenzione di carattere generale sia perché può intercettare possibili casi e sintomi sospetti del contagio, sia per l’informazione e la formazione che il medico competente può fornire ai lavoratori per evitare la diffusione del contagio 

Pertanto, nell’integrare e proporre tutte le misure di regolamentazione legate al COVID-19 il medico competente collabora con il datore di lavoro e le RLS/RLST. 

Ancora, il medico competente segnala all’azienda situazioni di particolare fragilità e patologie attuali o pregresse dei dipendenti e l’azienda provvede alla loro tutela nel rispetto della privacy.

L’ultimo punto del protocollo, il punto 13),è relativo all’aggiornamento del protocollo di regolamentazione. A tal fine, è costituito in azienda un Comitato per l’applicazione e la verifica delle regole del protocollo di regolamentazione con la partecipazione delle rappresentanze sindacali aziendali e del RLS.

Oltre al protocollo in esame, vanno richiamati gli obblighi generali che incombono in tema di sicurezza sul datore di lavoro.

Si parte dall’articolo 2087 del codice civile che impone a quest’ultimo l’adozione di ogni possibile misura atta a garantire non solo la sicurezza ma anche il benessere fisico e psichico del lavoratore.

E’ una norma a portata generale atta a prevenire qualunque tipo di pregiudizio alla salute del lavoratore ed idonea quindi ad adattarsi ad ogni evenienza.

In maggior dettaglio, gli obblighi in capo al datore di lavoro in materia di sicurezza sono identificati dal DLGS 81/2008 (Testo Unici Sulla Salute e la Sicurezza sui Luoghi di Lavoro).

Il punto focale per l’identificazione degli obblighi inerenti gli ambienti di lavoro ed i relativi adempimenti è dato dal documenti di valutazione dei rischi.

L’articolo 28 fa riferimento al precedente articolo 17 che vi include testualmente il termine “valutazione di tutti i rischi” senza altro indicare.

Lo stesso articolo 28 poi meglio specifica:

tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004, e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nonché quelli connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro e i rischi derivanti dal possibile rinvenimento di ordigni bellici inesplosi nei cantieri temporanei o mobili, come definiti dall’articolo 89, comma 1, lettera a), del presente decreto, interessati da attività di scavo.

E’ da ritenere che il rischio COVID non obblighi i datori di lavoro ad aggiornare il documento di valutazione dei rischi (DVR) almeno per ora, a patto che il rischio non diventi endemico.

Esso però potrebbe costituire occasione di lavoro soprattutto nel caso di decesso o di grosse complicanze per il lavoratore o chi per lui richiedesse il riconoscimento dei propri diritti all’INAIL o in caso di responsabilità al datore di lavoro.

Per la realizzazione dell’indennizzo INAIL o della responsabilità del datore di lavoro deve sussistere il requisito della “occasione di lavoro” che si verifica allorquando sussiste un rapporto non occasionale di causa – effetto tra la prestazione resa e l‘evento malattia.

In sostanza la prestazione di lavoro deve essere rispetto all’evento realmente causale e non semplicemente casuale!

Nel caso di specie, l’essere addetto ad un attività ritenuta essenziale come il commercio di alimentari o di altri generi potrebbe configurare tale eventualità, per non dire di medici ed infermieri dove il nesso appare ancora più evidente.

Ciò significa anche che i datori di lavoro costretti a tenere aperte le loro serrande nonchè fabbriche ed uffici qualora costretti a lavorare, sono tenuti non solo a rispettare le direttive che ormai provengono puntualmente, ma anche ad adottare d’iniziativa ogni protezione utile e possibile, potendo in caso contrario sussistere la responsabilità contrattuale del datore di lavoro.

Centro Studi Corrado Rossitto – CIU Unionquadri.

Trieste – Roma 16 marzo 2019

Avvocato Fabio Petracci

Avvocato Alberto Tarlao.

Corona Virus e rapporto di lavoro. Approfondimento del centro Studi. Il rapporto di lavoro di fronte ai provvedimenti atti a prevenire il contagio del Corona Virus. Il lavoro agile, un’occasione positiva nel marasma di fatti negativi.

La presente situazione.

Normalmente le assenze che determinano l’impossibilità della prestazione con il diritto alla conservazione del posto di lavoro si identificano in quelle dovute alla malattia.

Di fronte all’attuale situazione del contagio da Corona Virus, la malattia è però solo un aspetto ed il più grave della situazione che viene a crearsi e che comporta per diverse ragioni l’impossibilità di lavorare con gravi ricadute per i lavoratori, le aziende, l’economia.

La normativa dell’emergenza.

In questi giorni, è stato adottato il DL 23.2.2020 per affrontare questa emergenza.

Il provvedimento, tra le altre cose, decreta la sospensione delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale, stabilisce la possibilità di chiusura di attività commerciali ed uffici pubblici e la possibilità di ordinare la sospensione e la limitazione delle attività lavorative nelle aree interessate al contagio.

In maggior dettaglio, il conseguente DPCM 25.2.2000, introduce la possibilità nel caso di aziende site nelle zone di crisi ( Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Liguria) o di lavoratori ivi residenti o domiciliati, la possibilità di introdurre il lavoro agile, anche in assenza di accordo tra le parti , con possibilità di assolvere gli obblighi di informativa in via telematica.

Esamineremo il verificarsi e le conseguenze di quanto sin qui sommariamente esposto, verificando diverse ipotesi.

Assenza imposta dalla pubblica autorità.

La prima ipotesi di assenza dal lavoro può avvenire in quanto l’autorità emette degli ordini che impediscono al lavoratore di uscire da casa o raggiungere la zona dove ha sede il datore di lavoro.

In questo caso, si verifica un’impossibilità della prestazione non imputabile al lavoratore che, in quanto tale, deve essere retribuita.

Sospensione dell’attività a causa del contagio.

Anche in questo caso, l’impossibilità della prestazione non sarà imputabile al datore di lavoro che manterrà il diritto alla retribuzione, anche in assenza di prestazione.

Quarantena obbligatoria per il lavoratore.

Può accadere che il lavoratore sia posto in quarantena dall’autorità per sintomi afferenti il virus.

In tal caso, la situazione è riconducibile al trattamento per malattia che dovrà essere riconosciuto al lavoratore.

Quarantena volontaria.

Può accadere sospettando un contagio o in base a prescrizioni dell’autorità adotti un comportamento di quarantena volontaria.

Anche in tal caso, l’assenza è collegata ad un ipotesi di malattia e quindi potrà essere assimilata all’assenza per tale causale.

Assenza volontaria per timore del contagio.

Si tratta di una condotta non coperta dalla legge.

In questi casi, prima di procedere disciplinarmente, andrà attentamente valutata la fondatezza del timore e solo in casi di manifesta infondatezza dello stesso, si potrà ricorrere alle sanzioni disciplinari ivi compreso nei casi estremi,  il licenziamento.

Altre norme che interessano la situazione delineata.

In tema di sicurezza sul lavoro.

Al datore di lavoro, sia pubblico che privato è imposto di garantire a quanti operano in ambito aziendale il maggior benessere fisico e psichico in ragione dell’articolo 2087 del codice civile, adottando ogni possibile cautela.

Quindi, al di fuori di queste ipotesi tassative introdotte da specifiche e recenti norme di legge, egli deve controllare la situazione, intervenire ove possibile e segnalare pericoli per le persone al lavoro. Ciò significa che in caso di sospetto contagio dovrà provvedere a tempestiva segnalazione, alle prime misure di sanificazione ricorrendo anche all’intervento del medico competente e di quanti delegati alla sicurezza. Analoghi poteri ed oneri competono ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza.

Va tenuto presente che il rischio biologico è pure presente nel DLGS 81/2008 testo Unico Sicurezza sul Lavoro agli articoli 266 e seguenti.

Di recente, il rischio medesimo è stato contemplato nella circolare n.3190 del 3 febbraio 2020.

Utilizzo delle ferie in caso di chiusura o inattività dell’azienda.

Il ricorso alle ferie collettive normalmente è disciplinato dai contratti collettivi.

La giurisprudenza pur avendo sancito il potere unilaterale del datore di lavoro alla concessione delle ferie, ritiene che una parte debba essere programmata con i lavoratori.

Stante in ogni caso, l’incompatibilità tra la malattia ed il godimento delle ferie, non sarà possibile collocare in ferie i dipendenti in quarantena.

Il cosiddetto lavoro agile, una risorsa da utilizzare.

La Cassa Integrazione.

Il decreto legge cui già si è fatto cenno prevede pure lo sblocco della Cassa Integrazione in Deroga per i territori colpiti dal contagio.

Lavoro Agile – Smart Working.

Come accennato l’articolo 2 DPCM 25.2.2020 considera in via straordinaria possibile il ricorso al lavoro agile.

Questa tipologia di lavoro è stata introdotta con il DLGS 81/2017, articolo 81. Quivi l’articolo 1 ne affida la realizzazione alla volontà delle parti, con apposite procedure ed eseguibilità della prestazione parte in azienda e parte da remoto.

Nel caso di specie, l’urgenza determina l’applicabilità diretta ed immediata di una simile organizzazione del lavoro.

E’ chiaro che al rientro dall’emergenza, la misura sarà destinata a cessare. Non è detto però che nel marasma di eventi negativi, questa disposizione possa costituire un’occasione di innovazione del modo di lavorare al passo con le nuove tecnologie.

Trieste, 1 marzo 2020.

Fabio Petracci.

Passaggio da società partecipata a controllo pubblico ad ente pubblico.

I dipendenti di una società partecipata pubblica senza il superamento di un concorso non possono transitare nelle amministrazioni pubbliche. Lo afferma la Corte Costituzionale con la sentenza n.5/2020. La Corte si trova ad esaminare la legge regionale n.38/2018 della Regione Basilicata che al fine di razionalizzare l’impiego del personale a tempo indeterminato dipendente da enti […]

Dalle poco chiare vicende sindacali alla Banca Popolare di Bari ad una diffusa situazione di malessere dei lavoratori e dei quadri nelle banche.

Quello della Banca Popolare di Bari è un caso paradigmatico che conferma come le responsabilità del disastro del sistema bancario italiano siano condivise anche dai lavoratori degli istituti di credito ed anche come il mondo sindacale non sia esente da colpe.

E’ recente un articolo apparso su “Fanpage” del 6 febbraio 2020 Economia, di Vincenzo Imperatore il quale richiamando il testo del provvedimento cautelare del Gip del Tribunale di Bari che ha portato all’arresto dei proprietari della Banca Popolare di Bari e del responsabile dell’Area Basilicata, evidenzia il coinvolgimento di alcuni sindacati che lungi dal tutelare i lavoratori della banca, avrebbero condiviso la situazione di illegalità creatasi, favorendo nomine ed assunzioni non sempre trasparenti.

Altra Stampa, come Libero Quotidianodel 4.8.2017, sottolinea le continue e pesanti pressioni che il personale delle banche subisce per collocare prodotti non sempre all’altezza delle aspettative della clientela.

Da quanto emerge, i lavoratori delle banche, nell’ambito delle crisi aperte, non solo corrono il rischio di perdere il posto di lavoro, ma sono esposti, spesso indifesi, a vessazioni e condizionamenti non sempre leciti. Particolare è la situazione dei quadri degli istituti bancari.

Questa categoria è individuata dalla contrattazione collettiva di settore nei livelli apicali “QD” che vano da 1 a 4.

Il QD 4 è il livello apicale dell’area che ha in parte assorbito la vecchia categoria dei funzionari direttivi solo in parte confluita nella dirigenza.

Prima della creazione dell’area quadri, i funzionari costituivano un’apposita area con un contratto collettivo proprio.

Nell’ambito dell’attuale area quadri, nonostante la differenziazioni in quattro livelli,  le mansioni esigibili da contratto generiche e poco differenziate.

Rimane quindi a favore del datore di lavoro un’ampia discrezionalità nell’attribuzione delle stesse e dei compensi connessi.

Inoltre, il rapporto di lavoro bancario presenta dei notevoli tratti peculiari nel panorama dei contratti di lavoro subordinato.

Esso infatti è caratterizzato da un elevato grado di fiduciarietà.

Connota inoltre il rapporto di lavoro dei dipendenti bancari e soprattutto di quelli con un livello di inquadramento apicale, anche se non dirigenziale, l’affidamento sempre più rilevante da parte dello Stato di funzioni para pubbliche e di controllo.

Accade quindi spesso in situazioni patologiche che il quadro delle banche assommi tra i propri doveri, la fedeltà ai controlli ed alle direttive istituzionali e la fedeltà agli interessi economici della banca.

Tutti questi elementi oltre che ad accrescere il grado di responsabilità dei quadri degli istituti di credito, li rendono molto più esposti di qualunque altra categoria di lavoratori al rischio licenziamento, oggi non più contro bilanciato dal diritto alla reintegra, nel mentre nell’ambito dei chiaroscuri delle situazioni di crisi anche le tutele sindacali spesso si volatilizzano.

Poche tutele accompagnate dall’esposizione alle pressioni degli istituti che puntano al risultato senza badare molto alla qualità dei prodotti da vendere.

Si aggiunge ad un tanto, la modifica dell’articolo 13 dello Statuto dei Lavoratori fortemente voluta dall’ABI che, con il DLGS 81/2015 (Jobs Act) consente a determinate condizioni la dequalificazione del dipendente.

La situazione di scarsa stabilità e determinatezza del quadro lavorativo e delle conseguenti aspettative, favorisce sempre di più il diffondersi del mobbing e dello streaming nell’ambito della categoria.

Serve una presa d’atto di questa situazione favorita da una tutela qualificata dei quadri delle banche che approdi ad una normativa contrattuale che affronti i temi esposti.

Fabio Petracci.