Concorsi pubblici 2025: cosa cambia?

Il Decreto-Legge PA, che dovrebbe recare disposizioni urgenti in materia di reclutamento, organizzazione e funzionamento delle pubbliche amministrazioni, dovrebbe essere approvato nel corso del mese di febbraio 2025.

Attualmente, la bozza del decreto contiene al proprio interno l’intenzione di procedere ad una centralizzazione dei concorsi pubblici: a gestire tutti, o quasi, i concorsi dello Stato centrale dovrebbe essere il Dipartimento della Funzione pubblica attraverso la Commissione Ripam (Commissione per l’attuazione del Progetto di Riqualificazione delle Pubbliche Amministrazioni).

Pertanto, non dovrebbero essere più autonomamente le singole amministrazioni a gestire le selezioni e/o le graduatorie autonomamente, dovendosi invece riconoscere tale competenza alla Commissione Ripam.

Pertanto, al fine di garantire maggiore operatività alla Commissione Ripam, la bozza di decreto prevede altresì specifiche disposizioni per il rafforzamento di detta Commissione.

Nel dettaglio, sarebbe prevista l’istituzione di un ufficio dirigenziale di livello generale, articolato due servizi di livello dirigenziale non generale, con conseguente incremento della dotazione organica della Presidenza del Consiglio dei ministri, nonché di un contingente costituito da non più di trenta unità di personale che possono essere scelte nell’ambito del personale appartenente ai ruoli della Presidenza del Consiglio dei ministri o di altre pubbliche amministrazioni.

Ancora, al fine di garantire il ricambio generazionale, la bozza di decreto prevede il reclutamento di soggetti in possesso del diploma di specializzazione per le tecnologie applicate, ovvero del diploma di specializzazione superiore per le tecnologie applicate rilasciato dagli Istituti tecnologici superiori (ITS Academy), nonché appositi percorsi di formazione per il personale eventualmente reclutato.

Dovrebbero inoltre essere introdotte specifiche disposizioni per garantire la stabilizzazione dei lavoratori e quindi superare il fenomeno del precariato dei giovani nella pubblica amministrazione.

Alberto Tarlao

Giudici di pace e diritti dei Magistrati, cosa ne pensa l’Europa

Il Centro Studi di CIU UNIONQUADRI che sempre si occupa delle normative concernenti professionisti ed alte professionali prende in esame l’attuale situazione dei giudici onorari che salve le (poco) minori competenze di legge svolgono sostanzialmente lo stesso lavoro dei giudici ordinari con un trattamento notevolmente inferiore al limite dei valori costituzionali e comunitari.

Attualmente il rapporto dei giudici di pace ivi compresi tutti i magistrati onorari è disciplinato dal DLGS n.116/2017 che stabilisce come l’incarico di magistrato ordinario abbia la durata di quattro anni e come alla scadenza esso possa essere confermato a domanda per un secondo quadriennio con la durata massima di otto anni complessivi indipendentemente dalle funzioni svolte, con automatica cessazione al compimento del sessantacinquesimo anno di età.

Stabilisce inoltre l’articolo 23 della medesima disposizione di legge come l’indennità spettante ai magistrati onorari si compone di una parte fissa e di una parte variabile di risultato.

Inoltre ai magistrati onorari che esercitano funzioni giudiziarie è corrisposta, con cadenza trimestrale, un’indennità annuale lorda in misura fissa, pari ad euro 16.140,00, comprensiva degli oneri previdenziali ed assistenziali.

Per quanto riguarda i periodi di riposo, il successivo articolo 24 stabilisce che i magistrati onorari non prestano attività durante il periodo feriale di cui all’articolo 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742, salvo che ricorrano specifiche esigenze d’ufficio; in tal caso, è riconosciuto il diritto di non prestare attività nel periodo ordinario per un corrispondente numero di giorni. L’indennità prevista dall’articolo 23 è corrisposta anche durante il periodo di cui al presente articolo.

In proposito, La Corte costituzionale, con sentenza 11 gennaio – 3 febbraio 2022, n. 31 (Gazz. Uff. 9 febbraio 2022, n. 6, 1ª Serie speciale), ha dichiarato, fra l’altro, la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. da 1 a 33 sollevate, con riferimento agli istituti in questione.

A suo tempo però la Commissione Europea segnalava all’Italia il mancato allineamento al diritto comunitario per quanto atteneva la prestazione dei magistrati ordinari.

In particolare la Commissione riteneva che il rapporto instaurato tra lo Stato Italiano ed i magistrati onorari (giudici di pace, vice procuratori onorari e giudici onorari di tribunale) non rispettasse i principi comunitari in tema di diritto alle ferie, lavoro a tempo determinato.

Poiché lo Stato italiano non provvedeva in merito, interveniva la Corte di Giustizia UE con la sentenza n.73 del 27 giugno 2024.

Ha ritenuto la Corte di Giustizia che la normativa nazionale in materia di giudici di pace che la mancata previsione per questa categoria di un diritto a beneficiare di 30 giorni di ferie annuali retribuite né di un regime assistenziale e previdenziale come quello previsto per i magistrati, nonché la mancata previsione di un termine massimo di tre rinnovi successivi per i contratti a termie, era da considerarsi in violazione delle normative comunitarie in materia.

Fabio Petracci

Alte professionalità

Ceto Medio, Lavoro, Economia.

Il sindacato CIU Unionquadri come noto, opera nel campo del lavoro e della sicurezza sociale, nell’interesse delle professionalità medio al fine di veder loro riconosciuto il ruolo e la posizione sociale ed economica.

Il tema in maniera più ampia politica e sociologica involve il ceto medio italiano.

Partiremo nell’inquadrare l’argomento da una recente ricerca del CENSIS (Il valore del ceto medio per l’economia e la società Rapporto finale Roma, 20 maggio 2024 FONDAZIONE CENSIS 2).

Si ritiene che di fronte all’erosione del benessere economico, il ceto medio che sin qui ha svolto un ruolo fondamentale nel progresso del paese e nelle aspettative di ascesa sociale stia subendo un profondo declassamento economico e sociale, anche se un reponderante maggioranza di italiani ritiene ancora di appartenere al ceto medio, come collocazione più sociale che economica.

La percezione è pero quella di chi si rende conto come ormai, nella scala sociale, sia molto difficile salire, ma molto facile scivolare in basso. Assistiamo quindi alla fragilizzazione della condizione del ceto medio italiano.

Del resto molti dei processi globali ed internazionali che generano la ricchezza, appaiono quanto mai lontani ed impenetrabili. Le conseguenti azioni dei governi sono sempre più interdipendenti da contesti internazionali non sempre allineati con le aspirazioni dei cittadini appartenenti al ceto medio.

Vi concorre inoltre a livello nazionale un fisco non sempre orientato a premiare impegno e capacità ed un welfare volto quasi esclusivamente a favore dei redditi più bassi e per nulla orientato ad una copertua anche parziale dei redditi medi.

L’impoverimento della classe media certamente è dovuto sia blocco dell’ascensore sociale  ma anche alla precarizzazione del lavoro non solo quello operaio ma anche quello intellettuale, inoltre la globalizzazione  con la ricerca del massimo profitto senza conoscenza ed innovazione ha determinato l’allontanamneto di parte della produzione industriale dai paesi occidentali ai paesi in via di sviluppo senza che si sia bilanciatà questa scelta nefasta e pseudo colonialista, con lo sviluppo dei settori ITC e di centri di ricerca ed innovazione tecnologica.

Non facilita la creazone e l’incremento di una classe manageriale una scuola altamente burocratizzata con un corpo insegnante non sempre adeguatamente selezionato. Questo perdita di ruolo della scuola sia valoriale che di contenuto tende a far percepire l’istruzione come diplomificio necessario per lavorare ma poi alla fine del ciclo anche i ragazzi/e si rendono consapevoli dello itao tra istruzione emondo del lavoro.

Si accompagna a tali considerazioni, la condizione di pensionati anche longevi e di buon reddito che vedono realizzarsi una costante diminuzione del potere d’acquisto e la riduzione di ogni forma di indicizzazione.

La stessa rigidità delle opzioni pensionistiche non tiene affatto conto di chi, come spesso gli appartenenti al ceto medio, vuole e può ancora lavorare.

Aspetto non secondario che manca nel dibattito politico-sindacale è la problematica sociale determinata dall’inflazione, si ipotiza ingenuamente che baterebbe aumentare i salari  e questo automaticamente  determinerebbe un recupero di potere di acquisto e di ruolo sociale dei ceti medi oggi fortemente penalizzati, ma ciò è falso e ci fa comprendere che la globalizzazione ha fatto e fa credere che l’economia sia un fenomeno determinatistico. L’aspetto principe non è il salario in sè ma il suo potere di acquisto dunque il rapporto salario prezzi senza creare falsi automatismi. Per controllare l’inflazione non si può lasciare al libero mercato tout court visto le storture determinalte dalla globalizzazione.  Serve un intervento dello stato e delle parti sociali  nel determinare il controllo dei prezzi e dunque norme a tutela di tali accordi con una burocrazia che se da un lato dovrebbe snellirsi dall’altro deve aumentare le competenze rigurdo i controlli anche in questo settore dove la speculazione parissatiria è alta.

Sotto l’aspetto culturale e sociologico, notiamo la caduta di valori tradizionali, ma non superati, come il merito il talento, l’ascesa sociale ed il lavoro in genere, sta determinando giovani demotivati per una rottura di quei valori che determinano il senso di appartenza e di saqudra che valorizzano quei sentimenti umani di solidarietà e di appartenenza e che sono parte integrante del bisogno umano di sentirsi utili per se e per gli altri, coloro che hanno queste sensibilità purtroppo si  allontanano dal nostro paese in cerca di fortuna altrove. Il dinamismo sociale ancora presente tra i giovani non trova risposte adegute nel nostro paese.

Lo stesso concetto di ricchezza è spesso demonizzato, collegato al malaffare, mentre dovrebbe costituire un obiettivo legittimo dentro regole condivise.

L’ossessione per il ritorno al passato sempre ritenuto migliore ed osannato da certi media (non sempre disinteressati), crea diffidenza per la scienza e per progetti di innovazione dovuto anche ad un fenomeno oggettivo che i figli oggi stanno peggio dei padri

Un diverso orientamento socio – culturale potrebbe assumere un ruolo fondamentale per motivare le persone in grado di guidare il rilancio del paese.

Un rilancio della pubblica amministrazione e della managerialità e non solo a livello di dirigenza, potrebbe contribuire a superare almeno certi vincoli burocratici ed a favorire le nuove tecnologie che spesso diventano solo oggetto di occhiuta regolamentazione.

Secondo la ricerca che abbiamo citato in fase di introduzione, la fase di declino del ceto medio che viene segnalata inizia con la crisi economica del 2007 / 2012 ed ha mutato spesso a livello non adeguatamente percepito gli stili di vita di coloro che ancora in maggioranza si sentono ceto medio.

Va evidenziato in proposito come l’asse della creazione del reddito che interessava in primo luogo il ceto medio ed i lavoratori altamente professionalizzati, con la rivoluzione digitale si sia spostato fuori dai confini nazionali ed addirittura europei.

Contestualmente, avviene una rilevante dislocazione dei processi di creazione della ricchezza fuori dall’Italia e dalla UE verso economie di recente sviluppo che vedono specularmente dei processi di formazione di un ceto medio, simili a quelli che a suo tempo si sono verificati in Italia.

Nel nostro paese, si verifica una rapida concentrazione della ricchezza che amplia le disparità sociali.

Le misure comunitarie imposte dalla necessità di un governo sovranazionale dei processi globali come ad esempio la lotta al riscaldamento globale e la relativa transizione energetica ha posto ulteriori problemi ad un ceto medio già impoverito e non in grado economicamente di assecondare queste scelte.

Quindi oggi, il 65% degli italiani si sente ceto medio, ma più nominalmente che economicamente. ( trattasi infatti di redditi che vanno dai 15.000 euro annui  ai 34 milae dai 35.000 euro ai 50.000.

In questi gruppi rilevante è la presenza di anziani (over 65) e di persone in possesso di diploma o laurea.

Del resto gli ultra sessantacinquenni in possesso di titolo di studio superiore hanno avuto un ruolo da protagonisti nella fase alta dello sviluppo economico sociale del nostro paese.

Nella fase attuale, prevale nell’ambito del ceto medio la propensione a difendersi dai rischi di caduta in basso, piuttosto che a migliorare il proprio status.

Di fronte a questa realtà, è quanto mai necessario modificare l’assetto professionale e retributivo nei contratti di lavoro e prima ancora migliorare gli assetti scolastici ed universitari, incrementando le fasce di lavoratori che, anche se non dirigenti, sono portatori di professionalità come i quadri, i professionisti sia liberi che dipendenti, i ricercatori.

Fabio Petracci

Roberto Giuliano

Il dipendente vi lascia, quali cautele adottare?

Il dipendente vi lascia, quali cautele adottare? 

  1. Obbligo di fedeltà e patto di non concorrenza nell’ambito del rapporto di lavoro.

Tra le diverse obbligazioni che connotano il rapporto di lavoro e meglio definiscono il concetto di subordinazione, vi è l’obbligo di fedeltà.

Stabilisce l’articolo 2105 del codice civile che il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio.

L’obbligo è un corollario che completa e meglio definisce la generalità degli obblighi che incombono sul lavoratore nell’ambito del rapporto di lavoro dipendente.

Stabilisce l’articolo 2094 del codice civile che è lavoratore subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore.

Il successivo articolo 2104 del codice civile stabilisce poi che il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale.

L’obbligo di fedeltà che include il dovere di non concorrenza e di riservatezza si inserisce in questo quadro giuridico.

Anche per questo motivo, tale obbligazione è immanente al rapporto in essere e quindi cessa con il venir meno del rapporto di lavoro per qualunque causa.

  1. E quando cessa il rapporto di lavoro?

La cessazione del rapporto comporta la naturale cessazione di questi obblighi.

Ciò però non significa che alcuni possano permanere in forma limitata ed altri sulla base della volontà delle parti.

In sostanza, il lavoratore anche se libero dal vincolo contrattuale, è tenuto ad astenersi da forme di concorrenza sleale o illecita, e, su base volontaria può aderire ad un patto di riservatezza o addirittura ad un patto di non concorrenza.

Esamineremo partitamente queste ipotesi, soffermandoci in particolare sul patto di non concorrenza.

  1. La concorrenza sleale o illecita.

Una volta cessato il rapporto di lavoro con i conseguenti obblighi, il lavoratore salvo patto contrario, potrà svolgere un’attività in concorrenza con il precedente datore di lavoro sia come imprenditore che come lavoratore dipendente.

I limiti che comunque gli si pongono sono quelli valevoli per qualunque altro soggetto.

Egli quindi non potrà mettere in atto condotte che possano integrare l’ipotesi della concorrenza sleale, individuati dall’articolo 2598 del codice civile e di seguito indicati:

a) uso di nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imitazione servile dei prodotti di un concorrente, o compimento con qualsiasi altro mezzo di atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente;

b) diffusione di notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito, o appropriazione di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente;

c) danneggiamento dell’azienda concorrente utilizzando qualsiasi mezzo atto a violare i presupposti della correttezza professionale.

  1. Il patto di riservatezza o di non divulgazione.

Con il patto di riservatezza o di non divulgazione (conosciuto anche come N.D.A. o “Non Disclosure Agreement”), il lavoratore si obbliga a non divulgare il contenuto di talune informazioni riservate apprese nell’ambito della vita lavorativa.

In caso di violazione, sorge per l’obbligato l’obbligo risarcitorio.

Il patto di riservatezza può essere stipulato anche con un lavoratore autonomo o fornitore e può avere una durata indeterminata. Anche in questo caso, la violazione del patto può comportare il risarcimento del danno o il pagamento di una penale stabilita al momento della stipula del patto.

  1. Il Patto di non concorrenza.

È disciplinato dall’articolo 2125 del codice civile e serve ad impedire al lavoratore condotte di per sé lecite, come ad esempio impiegarsi presso un’impresa concorrente, o svolgere lui stesso attività imprenditoriale in concorrenza, una volta venuto meno il rapporto di lavoro. Per questo motivo notevoli sono i limiti ad un tale patto che potrebbe impedire il diritto al lavoro ed alla retribuzione garantiti costituzionalmente.

In base all’articolo 2125 del codice civile, il patto di non concorrenza è legittimo se rispetta i seguenti requisiti:

  1. Stipulazione per iscritto;
  2. Indicazione di un oggetto specifico indicante l’attività svolta dal lavoratore;
  3. Indicazione di un ben definito raggio territoriale di azione;
  4. Un compenso adeguato rispetto alla retribuzione in essere.

In sostanza deve essere ben identificata e precisata l’attività che il dipendente una volta risolto il rapporto di lavoro, non potrà svolgere.

Con altrettanta precisione, va individuata e limitata in ambiti ragionevoli la zona dove il patto avrà vigore.

Inoltre, il patto dovrà prevedere compenso adeguato rispetto alla retribuzione in essere. Sul punto la giurisprudenza ritiene congruo un compenso minimo determinato nella misura 10% al 30% della retribuzione in essere.

Il patto di non concorrenza è inoltre soggetto a rigorosi limiti temporali:

  • Tre anni per i normali lavoratori.
  • Cinque anni per i dirigenti.
  • Due anni per gli agenti di commercio.

Naturalmente il patto dovrà essere stipulato per iscritto.

Fabio Petracci

Staff leasing: rinviata alla CGUE la questione del requisito di temporaneità

Il DLGS 81/2015 (Jobs Act) agli articoli da 30 a 40 disciplina la Somministrazione di Lavoro (lavoro interinale) definito dall’articolo 30 come il contratto a tempo indeterminato o determinato con il quale un’agenzia di somministrazione autorizzata dalla legge, mette a disposizione di un utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti, i quali, per tutta la durata della missione svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione ed il controllo dell’utilizzatore.

Come dato a vedere, la somministrazione può avvenire a tempo determinato o a tempo indeterminato (cosiddetto staff leasing).

Limiti percentuali pari al 20% della forza lavoro sono imposti dalla legge per quanto riguarda la somministrazione a tempo determinato ed un limite maggiore del 30% per la somministrazione a tempo determinato.

I lavoratori somministrati a tempo indeterminato debbono essere stati assunti a tempo indeterminato dal somministratore.

La somministrazione a tempo determinato è soggetta inoltre al limite di utilizzo di 24 mesi per ciascun lavoratore, anche non continuativi, potendo superare detto limite senza che si costituisca un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’utilizzatore, ma esclusivamente con la conseguenza della costituzione di un rapporto a tempo indeterminato con l’utilizzatore. Detta disposizione per espressa previsione di legge è destinata ad avere vigore sino al 30 giugno 2025.

Precisa la legge come il contratto di somministrazione sia vietato per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero,  presso unità produttive nelle quali si è proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi, presso unità produttive nelle quali sono operanti una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario in regime di cassa integrazione guadagni, che interessano lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione di lavoro; da parte di datori di lavoro che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.

Mentre il contratto di lavoro intercorre tra il somministratore ed il dipendente somministrato, il rapporto tra somministratore ed utilizzatore è disciplinato dal contratto di somministrazione vero e proprio contratto commerciale che deve contenere tutta una serie di requisiti formali stabiliti dalla legge.

Il contratto di somministrazione va pertanto stipulato in forma scritta e deve contenere una serie di dati essenziali per la sua validità quali: gli estremi dell’autorizzazione rilasciata al somministratore; il numero dei lavoratori da somministrare;)  l’indicazione di eventuali rischi per la salute e la sicurezza del lavoratore e le misure di prevenzione adottate; la data di inizio e la durata prevista della somministrazione di lavoro; le mansioni alle quali saranno adibiti i lavoratori e l’inquadramento dei medesimi; il luogo, l’orario di lavoro e il trattamento economico e normativo dei lavoratori.

Con il medesimo contratto l’utilizzatore assume l’obbligo di comunicare al somministratore il trattamento economico e normativo applicabile ai lavoratori suoi dipendenti che svolgono le medesime mansioni dei lavoratori da somministrare e a rimborsare al somministratore gli oneri retributivi e previdenziali da questo effettivamente sostenuti in favore dei lavoratori.

Somministrazione a tempo indeterminato e somministrazione a tempo determinato.

L’agenzia di somministrazione può assumere il lavoratore in entrambe le forme di cui sopra.

Nel caso di assunzione a tempo indeterminato il contratto con l’agenzia avrà tutte le caratteristiche del contratto a tempo indeterminato e nei periodi nel corso dei quali il lavoratore non sarà inviato in missione presso l’utilizzatore, gli dovrà essere corrisposta un’indennità di disponibilità.

Per quanto invece riguarda l’assunzione a tempo determinato, la legge stabilisce l’applicabilità della normativa sui contratti a termine.

Si ribadisce rispetto ai contratti a termine, l’applicazione del termine massimo di durata del contratto a termine, le ipotesi del limite totale di 24 mesi per le assunzioni a termine, la disciplina delle proroghe e della sanzione consistente nella trasformazione del contratto in tempo indeterminato, si esclude il limite degli intervalli tra un contratto a termine e l’altro ed il diritto di precedenza.

Per quanto riguarda la retribuzione dei lavoratori somministrati durante la missione, a parità di mansione, essa non può essere nel suo complesso inferiore a quella dei dipendenti dell’utilizzatore di pari livello.   Inoltre, l’utilizzatore è obbligato in solido con il somministratore a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e a versare i relativi contributi previdenziali, salvo il diritto di rivalsa verso il somministratore.

Da quanto sin qui emerso dal dato testuale della legge, si ricava che il contratto di somministrazione a tempo indeterminato non presenta limiti di durata.

Dunque il somministrante può inviare in missione presso l’utilizzatore un dipendente che intrattenga con il somministrante un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Di recente però, il Tribunale di Reggio Emilia, Sezione Lavoro, con l’ordinanza del 7 novembre 2024 ha disposto il rinvio alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea della questione pregiudiziale per verificare se la normativa nazionale si ponga in violazione della Direttiva 2008/104/CE che impone il requisito della temporaneità al contratto di somministrazione lavoro.

Fabio Petracci

Assunzioni PA e riduzione turnover

Anche a seguito delle osservazioni formulate da CIU UNIONQUADRI nel corso dell’audizione dell’11 novembre 2024 da parte del Consiglio dei Ministri, nell’approvazione della legge Finanziaria per il 2025, il taglio del turn over nella pubblica amministrazione, ha subito rilevanti eccezioni e delimitazioni.

Grazie alle modifiche apportate alla legge di Bilancio per il 2025, per numerose pubbliche amministrazioni, sarà possibile sostituire il 100% dei dipendenti che lasciano il servizio.

È stato così modificato l’articolo 110 della Legge di Bilancio 2025, rivedendo in maniera rilevante il taglio del turn over nelle pubbliche amministrazioni.

Potranno così assumere nella misura del 100% dei posti liberi, gran parte degli Enti Locali, comprese le Regioni, le Camere di Commercio, i Corpi di Polizia, i Vigili del Fuoco, le Università per quanto attiene i ricercatori, Il Ministero di Giustizia per il personale togato della Magistratura.

Trascriviamo in parte il testo del documento redatto da CIU UNIONQUADRI sul punto in occasione della consultazione:

“Sui punti che riguardano il Pubblico Impiego, il nostro sindacato non può non guardare che con favore quelle misure che consentono al lavoratore la libertà nel determinare il momento di cessazione del rapporto di lavoro.

Ancor più favorevolmente è da noi vista la possibilità di trattenimento volontario in servizio per attività di tutoraggio ed accompagnamento dei nuovi assunti.

Resta irrisolto il problema di voler conciliare questa normativa con la riduzione del turn over al 75% delle risorse.

La riduzione del turn over acuisce il proprio effetto con il trattenimento in servizio di una parte del personale.

Temiamo in questo modo, possa essere compromessa l’immissione di giovani generazioni nella pubblica amministrazione e l’assunzione di personale da inserire nell’area delle elevate professionalità (EP).”

Fabio Petracci

Attività Centro Studi a supporto a CIU UNIONQUADRI

In data 13 febbraio 2025, CIU UNIONQUADRI supportata dal proprio Centro Studi presenterà presso TPER Azienda per i Trasporti Locali dell’Emilia Romagna dove è organizzata una propria rappresentanza un programma di servizi assistenziali, pensionistici, fiscali e legali.

L’attività è il frutto della collaborazione con i rappresentanti aziendali e le realtà locali.

In data 14 febbraio 2025, CIU UNIONQUADRI unitamente alla propria delegazione del FVG e dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale sottoscriverà apposito accordo aziendale unitamente ad altri sindacati a suggello della propria rappresentatività in azienda.

La partecipazione dei lavoratori all’impresa

L’art. 46 della Costituzione cita testualmente “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”.

Ogni forma di partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende si fonda sull’idea e sulla valorizzazione dell’interesse comune tra i lavoratori e l’imprenditore alla prosperità dell’impresa stessa.

Nel tempo tuttavia vi sono stati forti resistenze alla diffusione delle forme partecipative e pertanto l’art. 46 della Carta Costituzionale deve considerarsi come una norma rimasta sostanzialmente inapplicata.

Ciclicamente, soprattutto nei periodi di crisi economica, si è tornati spesso ad insistere sulla necessità di promuovere la partecipazione dei lavoratori, con la presentazione di diverse iniziative e la costituzione di appositi gruppi di lavoro, senza tuttavia ottenere risultati concreti.

In particolare, deve essere ricordato il tentativo operato dalla c.d. “Riforma Fornero”, legge n. 92/2012, la quale aveva delegato il governo ad adottare uno o più decreti finalizzati a favorire le forme di coinvolgimento dei lavoratori nell’impresa, attivate attraverso la stipulazione di un contratto collettivo aziendale, nel rispetto di principi e criteri direttivi previsti dalla legge (art. 4 c. 62 legge n. 92/2012).

Tuttavia, anche tale intervento non ha trovato concreta e capillare attuazione.

Oggi, anche grazie alle nuove sfide della digitalizzazione ed i recenti sviluppi dell’economia, con un passaggio a quella che è stata definita l’era della “condivisione” (sharing economy), potrebbero essere state gettate le basi per la revisione del modello conflittuale su cui, storicamente, si sono rette le relazioni industriali e dunque vi sarebbero concrete possibilità di un recupero dello strumento della partecipazione dei lavoratori all’impresa.

In effetti, con l’avvento della c.d. quarta rivoluzione industriale, uno degli effetti più rilevanti è stato quello di considerare non più la prestazione lavorativa nella sua mera esecuzione materiale, quindi come mera collaborazione passiva, strettamente legata alle mansioni assegnate al lavoratore bensì la necessità di una vera e propria partecipazione attiva da parte dei lavoratori nella generazione dei valori aziendali.

In effetti, il modello storico delle relazioni industriali è principalmente basato sulla forte asimmetria tra potere direttivo e dovere di collaborazione, fondato sulla prerogativa dell’imprenditore di dirigere l’azienda in coerenza al principio di libertà di iniziativa economica privata, considerando i rischi assunti esclusivamente a carico dell’impresa stessa.

Oggi, la possibilità di partecipazione dei lavoratori alle vicende d’impresa potrebbe da un lato attenuare gli effetti del disequilibrio in termini di condizioni di lavoro e, dall’altro, essere ulteriore strumento di eventuale modifica dell’esercizio del potere direttivo in una chiave maggiormente collaborativa, tenuto dovuto conto altresì dell’evoluzione ed attenuazione del concetto di subordinazione registratosi negli ultimi anni.

Per chiarezza, si possono individuare almeno quattro differenti tipologie di possibile partecipazione dei lavoratori all’azienda:

  • quella di tipo “organizzativo/gestionale”, da intendersi come presenza di una rappresentanza dei lavoratori all’interno degli organi di controllo e decisionali dell’azienda (es. presenza di un rappresentante indicato o eletto dai lavoratori all’interno del Consiglio di Amministrazione);
  • quella di tipo “informativo/consultivo”, che può essere considerata come il diritto dei lavoratori (o meglio, dei loro rappresentanti) alla conoscenza dei piani aziendali passati, presenti e futuri, anche come condizione vincolante rispetto alle decisioni da assumere, con altresì possibilità di elaborare suggerimenti e controproposte;
  • quella di tipo “economico”, che mira a far partecipare i lavoratori meritevoli dei risultati e del benessere dell’azienda, promuovendo una parziale redistribuzione degli utili aziendali sulla base delle prestazioni effettivamente svolte dagli stessi lavoratori, rendendoli partecipi del successo dell’azienda;
  • quella di tipo “finanziario”, con la possibilità di accedere ad un azionariato diretto dei dipendenti delle aziende per cui lavorano, in modo da indirizzarle anche verso un assetto proprietario più condiviso, con forte responsabilizzazione e creazione di spirito d’appartenenza in capo ai singoli lavoratori.

Rimane allora da registrare che altri paesi europei hanno già adottato modelli partecipativi dei lavoratori all’impresa: ad esempio Francia e Germania che, sin dagli inizi del secolo scorso, hanno realizzato forme di partecipazione economica fondate sui piani aziendali di risparmio e sull’azionariato dei dipendenti (anche attraverso il fenomeno del c.d. workers buy-out, vale a dire l’azione di salvataggio dell’azienda, o di una sua parte, realizzata dai dipendenti che subentrano nella proprietà).

In particolare, il modello tedesco, noto come Mitbestimmung, è una vera e propria parte caratterizzante del sistema di relazioni industriali del paese.

Mitbestimmung potrebbe essere tradotto come “co-determinazione” e si riferisce ad una partecipazione paritaria di dipendenti, azionisti e dirigenti alla gestione della politica aziendale ed alle conseguenti decisioni.

In effetti, il modello tedesco prevede che l’economia e le strutture produttive non costituiscano luogo di scontro di interessi configgenti tra capitale e lavoro ma anche una vera e propria “Gemeinschaft”, una “comunità” avente il fine comune di garantire benessere e prosperità per i suoi componenti.

La partecipazione dei lavoratori in Germania si compone di due livelli:

  • la “betriebliche Mitbestimmung”, partecipazione a livello di unità produttiva, che in Italia si potrebbe tradurre o intendere come “partecipazione o cogestione aziendale”;
  • la “unternehmerische Mitbestimmung”, partecipazione a livello di organi societari d’impresa, che indica la parte gestionale che è adibita all’impiego delle risorse prodotte dalla parte produttiva, traducibile come “partecipazione o cogestione societaria”.

A sottolineare il valore e l’importanza della partecipazione dei lavoratori, lo stesso art. 9 del GrundGesetz, la Carta costituzionale varata nel 1949, dispone l’ordinamento e la pacificazione del mondo del lavoro mettendo sullo stesso piano sia la contrapposizione degli interessi sia la volontà comune di collaborazione.

Per tale motivo, le società in Germania sono soggette alla Mitbestimmung (co-determinazione) se impiegano più di 500 dipendenti.

I lavoratori partecipano alle decisioni della società attraverso due organi: il c.d. Consiglio di Fabbrica ed il c.d. Consiglio di Sorveglianza.

Se il primo rappresenta i lavoratori nelle singole sedi aziendali ed è formato interamente da dipendenti, il secondo è invece un organo aziendale che fa capo alla sede centrale, composto per metà dai rappresentanti dei lavoratori e per metà dagli azionisti.

Il più noto modello di partecipazione dei lavoratori all’impresa è quello del Gruppo Volkswagen.

Uno dei punti di forza del modello Volkswagen è sicuramente l’elevato grado di percentuale di lavoratori iscritti al sindacato IG METALL, che rappresenta buona parte dei dipendenti.

Il modello di relazioni industriali del Gruppo Volkswagen è improntato sulla Carta dei diritti dei lavoratori che la multinazionale tedesca ha sottoscritto a livello globale e che prevede forme intense di coinvolgimento partecipativo in tutte le aziende che fanno capo al gruppo, anche nei paesi diversi dalla Germania.

Detta Carta definisce i diritti d’informazione e di partecipazione e si pone come obiettivo quello di instaurare un rapporto di reciproca fiducia e rispetto tra le parti.

Tra i molti principi contenuti nella Carta, che richiama nei contenuti e nei principi gran parte delle Convenzioni OIL stipulate, è interessante leggere come il Gruppo Volkswagen riconosca espressamente il diritto di contrattazione collettiva e che di conseguenza il Gruppo Volkswagen e i sindacati o le rappresentanze dei lavoratori conducano insieme un dialogo sociale, di cui le contrattazioni collettive rappresentano una particolare forma.

Avv. Alberto Tarlao

Alte professionalità

Legge di bilancio 2024 e nuovo CCNL Funzioni Centrali. Le novità per il pubblico impiego. Cancellati gli incarichi per le Elevate Professionalità?

  1. In generale il tema delle elevate professionalità e dei quadri nella Pubblica Amministrazione.

Collegata al tema del rinnovamento della nostra Pubblica Amministrazione è l’individuazione di un’area di dipendenti caratterizzata da una spiccata professionale e di un altrettanto spiccata specializzazione.

La riforma cosiddetta “privatizzazione” avviata agli inizi degli anni 90 aveva riposto le proprie aspettative nell’area ben individuata della dirigenza cui faceva da contraltare una vasta e generica area non dirigenziale suddivisa in tre aree professionali e disciplinata da un unico contratto collettivo.

  1. Il DL 80/2021.

Con la pandemia e con la necessità di ottemperare agli importanti impegni connessi all’ attuazione del PNRR, era sentita la necessità di una Pubblica Amministrazione ampliamente professionalizzata non solo nei vertici e pronta a recepire le nuove tecnologie.

Era così emanato il DL 44/2021 poi convertito in legge che arrecava notevoli innovazioni anche in funzione emergenziale connessa alla pandemia e che introduceva, innovando la materia concorsuale,  dei principi di selezione in funzione di accrescimento e rinnovamento della professionalità di fronte ai rilevanti impegni connessi all’attuazione del PNRR.

Successivamente con l’emanazione del DL 9.6.2021 n.80, titolato   “Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l’efficienza della giustizia.” Era messa mano proprio all’obiettivo della professionalizzazione della Pubblica Amministrazione.

A differenza del precedente DL 44/2021, questa volta lo spunto all’efficienza non veniva dall’emergenza pandemica, ma dal piano nazionale PNRR che per essere attuato abbisogna di risorse oggetto di particolare selezione, destinate quindi ad inserirsi una volta compiuta la missione assegnata, nell’organico della pubblica amministrazione, in un ambito apicale destinato a prendere corpo per dar vita ad una classe di pubblici dipendenti non dirigenti, ma ad alta qualificazione.

Il provvedimento avviava numerosi interventi in materia di assunzioni innovando in tema di contratti di formazione e lavoro, apprendistato, rilievo nelle procedure assuntive del dottorato di ricerca, assunzioni specifiche di personale ad elevata specializzazione.

Ma, per quanto qui d’interesse, importanti interventi riguardano l’inquadramento del personale pubblico e le progressioni di carriera con significative modifiche all’articolo 52 del DLGS 165/2001.

Erano infatti codificate nell’ambito dell’articolo 52 del DLGS 165/2001 (inquadramento e mansioni) le aree di inquadramento del personale che ammontano a tre, oltre ad una quarta area da definirsi per il tramite della contrattazione collettiva e che riguarderà il personale ad alta professionalità non dirigente, quello che potrebbe intendersi un’area quadri.

  1. Nella contrattazione collettiva.

La contrattazione collettiva della Amministrazioni Centrali faceva propri questi principi.

Quivi, l’articolo 13 articolava l’inquadramento del personale in quattro aree, riservando la quarta area alle elevate professionalità.

Il successivo allegato A conteneva la definizione professionale (declaratoria) dell’area delle Elevate Professionalità.

Al successivo articolo 15 (Posizioni organizzative e professionali) era previsto come nell’ambito dell’area dei funzionari potevano essere conferiti incarichi di natura organizzativa e professionale che, pur rientrando nell’ambito delle funzioni di appartenenza, richiedessero lo svolgimento di compiti di maggiore responsabilità e professionalità, anche implicanti iscrizione ad albi professionali, per i quali è attribuita una specifica indennità di posizione organizzativa.

Il successivo articolo 16 (Incarichi al personale dell’area EP) prevedeva invece l’attribuzione generale di specifici incarichi al personale dell’area EP ad elevato contenuto professionale ed autonomia decisionale con durata minima di un anno e massima di tre anni.

Con il nuovo CCNL 2022/2024 è introdotto l’articolo 17 che modifica ed espressamente abroga il predetto articolo 15 innovando taluni punti in tema di posizioni organizzative da conferire agli appartenenti all’area dei funzionari.

Sparisce invece nel testo redatto dall’ARAN e definito “Ipotesi di Contratto Collettivo di Lavoro del Comparto Funzioni Centrali Triennio 2022 – 2024 il testo del menzionato articolo 16 (Incarichi al personale dell’area EP) contratto collettivo 2019 – 2021.

Ci si chiede a questo punto, se si tratti di un semplice problema di redazione e coordinamento del nuovo contratto o se, invece, l’articolo 16 sia stato tacitamente abrogato, riconducendo così l’area delle Elevate Professionalità al regime delle Posizioni Organizzative di cui al nuovo articolo 17.

  1. Nella legge di bilancio 2025.

Sul punto si impone qualche riflessione volta a chiarire i dubbi in merito ad un eventuale “depotenziamento” all’introduzione dell’area delle Elevate Professionalità.

In tema, la legge di bilancio per il 2025 che impone un limite al turn over pari al 75% della spesa del personale di ruolo cessato nell’anno precedente, oltre alla possibilità di trattenimento in servizio del personale che lo richieda sino al settantesimo anno di età, inducono a ritenere compromessa l’immissione di giovani generazioni nella pubblica amministrazione e l’assunzione di personale da inserire nell’area delle elevate professionalità (EP).

Per reperire in tale ambito le risorse al fine di implementare l’area delle Elevate Professionalità, sarebbe opportuna la riduzione di una parte delle posizioni dei posti vacanti dei dirigenti di seconda fascia, indirizzando così le risorse reperite verso l’area delle elevate professionalità. In tal modo, per ogni dirigente in meno, si potrebbero assumere due super esperti da inserire nella quarta area.

Inoltre tale misura contenuta nella legge di bilancio 2025 e relativa alla capacità assunzionale viene ad interferire sulla programmazione delle assunzioni in corso (PIAO) stante anche l’assenza di un diritto transitorio.

La norma non presenta collegamento alcuno con la programmazione del personale ed inoltre numerosi concorsi indetti nel 2024 sono destinati a concludersi nel 2025. In tal senso andrebbe comunque adottata una disciplina transitoria.

Fabio Petracci

Legge di bilancio 2025: luci ed ombre oltre che zone grigie.

Il DDL è entrato in Commissione Bilancio alla Camera.

Come CIU UNIONQUADRI, data anche la vastità del provvedimento, toccheremo quegli aspetti che involgono l’interesse dei lavoratori intesi in primo luogo come quadri, alte professionalità e ceto medio.

  1. Taglio del cuneo fiscale

Toccheremo in primo luogo la misura fiscale di carattere generale che riguarda il taglio del cuneo fiscale.

Notiamo con favore che essa è destinata a trasformarsi in misura strutturale.

Essa ora è stata estesa ai redditi sino ai 40.000 euro , ma con delle percentuali destinate a calare in funzione dei redditi superiori.

Compatibilmente con l’andamento dei conti pubblici ed altre forme di risparmio, vediamo con favore ogni estensione di questa misura.

Diventa strutturale anche l’accorpamento su tre scaglioni delle aliquote IRPEF.

Quivi è prevista una tassazione pari al 23% fino a 28.000 euro, 28.000-50.000 euro 35%, oltre 50.000 euro siamo al 43%.

La riduzione al 43% per i redditi medio alti è compensata dall’esclusioni di questi redditi da talune detrazioni.

Quindi, diviene strutturale l’accorpamento su tre scaglioni come elemento non trascurabile di semplificazione con pochi altri mutamenti di nostro interesse.

Altre misure riguardano ulteriori strette sulle detrazioni per chi supera i 75 mila euro destinate ad attenuarsi secondo il numero di figli.

In sostanza favorevoli al mantenimento strutturale della misura, auspichiamo ogni ulteriore misura atta ad attenuare la pressione fiscale sul ceto medio, senza naturalmente penalizzare le categorie più basse.

Riteniamo inoltre che provvedimenti di riduzione fiscale (detrazioni) dovrebbero riguardare non solo le famiglie in relazione al numero dei figli, ma anche i genitori anche singoli monoreddito con figli a carico (a prescindere dal numero degli stessi).

  1. Misure concernenti le retribuzioni.

E’ prorogata la riduzione al 5% dell’aliquota dell’imposta sostitutiva sulle somme erogate sotto forma di premi di risultato o di partecipazione agli utili di impresa.

La misura viene valutata positivamente.

Sulla partecipazione dei lavoratori agli utili d’impresa ed alla gestione di quest’ultima, auspichiamo più coraggiosi interventi.

Facilitazioni in forma di benefits riguardano i neo assunti con un reddito non superiore a 35.000 euro  dal 1 gennaio 2025 al 31 dicembre 2025 che debbano affrontare trasferimenti superiori ai 100 chilometri con detassazione delle somme pagate a titolo di locazione per un massimo di 5.000 euro annui.

La misura potrebbe garantire un minimo di sostegno alle professionalità interessate anche per loro natura. alla mobilità.

Altre riduzioni seppure in maniera ridotta riguardano la tassazione di benefits per consumi domestici di altri lavoratori.

Si auspica che la misura concernente i neo assunti nell’anno in corso sia destinata a stabilizzarsi sino a ricomprendere tutti i lavoratori interessati a fenomeni di mobilità professionale.

Sul punto, valutiamo positivamente ogni forma di riduzione fiscale sui compensi destinati a premiare la professionalità ed il raggiungimento di obiettivi.

In merito al coinvolgimento dei lavoratori nella gestione aziendale, ricordiamo come l’articolo 45 della Costituzione stabilisca il principio della partecipazione dei lavoratori alla gestione aziendale.

Ricordiamo come l’articolo 4 della legge 92/2012 conteneva una delega per il governo a realizzare un tanto. La delega in realtà decadde per il mancato intervento del Governo.

Auspichiamo altresì che la misura concernente la defiscalizzazione dei benefits destinati ai trasferimenti dei giovani neo assunti possa assumere un carattere più generale idoneo a tutelare le professionalità medio alte che spesso debbono seguire anche in ambito nazionale le domanda della loro prestazione, nonché le categorie dei lavoratori delle aziende in crisi nel riposizionamento per la ricerca di un nuovo lavoro.

  1. Tutela della maternità.

Ulteriori misure vanno ad aggiungersi a quelle di sostegno alle famiglie con figli minori rafforzando la disciplina in materia di congedi parentali elevando all’80% l’indennità durante il congedo di maternità entro il sesto anno del bambino.

E’ prospettata anche la decontribuzione per le lavoratrici madri in termini che saranno definiti dal Ministero per il Lavoro.

E’ riconosciuto per incentivare la natalità un bonus pari a 1000 euro per ogni figlio nato.

Sul punto, riteniamo la generale bontà di queste misure, ma anche nell’interesse delle donne destinate a percorrere obiettivi di carriera, auspichiamo il miglioramento di asili e scuole con agevolazioni anche di orario.

Come sindacato delle professionalità medio alte, riteniamo come debba essere data anche alle donne madri la possibilità in luogo di assentarsi, di continuare il loro percorso lavorativo, incentivando anche con il sistema della leva fiscale soluzioni in grado di facilitare il ricorso a scuole ed asili anche con orario prolungato ed il ricorso a personale domestico di sostegno.

  1. Le misure che riguardano il pubblico impiego.

La manovra torna ad introdurre un limite al turn over nella pubblica amministrazione pari al 75% della spesa del personale di ruolo cessato nell’anno precedente.

Esprimiamo forti perplessità sul punto, stante l’età avanzata del personale della pubblica amministrazione, l’avviamento del PNRR e l’introduzione della quarta area EP che dovrebbe trovare alimentazione anche con nuove risorse.

Riorganizzazione dell’INPS.

Solleva interrogativi anche la misura di riorganizzazione dell’INPS con l’istituzione di nuove figure dirigenziali di livello generale, di fronte alla necessità di rafforzare il middle management anche mediante significativi poteri.

Incentivo al mantenimento in servizio.

E’ prevista la possibilità per i lavoratori in possesso dei requisiti per l’accesso a Quota 103 ( 62 anni di età e 41 di contributi) di optare per rimanere in servizio sino ai 70 anni di età, ricevendo in busta paga una quota dei contributi.

Contestualmente, è altresì previsto che le pubbliche amministrazioni possano avvalersi del trattenimento volontario in servizio di personale dipendente per attività di tutoraggio ed affiancamento ai neo assunti.

Sul punto si nota positivamente come debba essere affermata il principio di una libera scelta, una volta verificatisi i presupposti del pensionamento, in merito alla prosecuzione del servizio.

A maggior ragione anche nell’interesse della formazione delle elevate professionalità può giovare l’attività di affiancamento e tutoraggio.

E’ inoltre abrogata la norma che consente alle pubbliche amministrazioni di risolvere unilateralmente il contratto di lavoro con un preavviso di sei mesi, , a decorrere dalla maturazione del requisito di anzianità contributiva per l’accesso al pensionamento.

Perplessità sul punto possono essere indotte da un ridotto ricambio generazionale soprattutto nell’area delle elevate professionalità (in particolare area EP) dove la riduzione del turn over al 75% e l’esiguità delle risorse possono addirittura paralizzare l’accesso dei giovani laureati e dei dipendenti meritevoli all’area apicale.

Sui punti che riguardano il Pubblico Impiego, il nostro sindacato non può non guardare che con favore quelle misure che consentono al lavoratore la libertà nel determinare il momento di cessazione del rapporto di lavoro.

Ancor più favorevolmente è da noi vista la possibilità di trattenimento volontario in servizio per attività di tutoraggio ed accompagnamento dei nuovi assunti.

Resta irrisolto il problema di voler conciliare questa normativa con la riduzione del turn over al 75% delle risorse.

La riduzione del turn over acuisce il proprio effetto con il trattenimento in servizio di una parte del personale.

Temiamo in questo modo, possa essere compromessa l’immissione di giovani generazioni nella pubblica amministrazione e l’assunzione di personale da inserire nell’area delle elevate professionalità (EP).

Suggeriremo una qualche modifica specifica sul punto alla previsione che limita al 75% il turn over nella pubblica amministrazione, in riferimento al personale adibito a funzioni di tutoraggio e di accompagnamento.