Legge di Bilancio 2023: le novità in materia di lavoro

Da una prima lettura della legge di Bilancio per il 2023 – la legge n. 197/2022 – notiamo i punti che interessano il mondo del lavoro.

È primo luogo ridotto il prelievo fiscale per i lavoratori con un reddito inferiore ai 35 mila euro annui.

Per questa categoria di lavoratori è previsto un abbattimento del cuneo fiscale pari al 2% se la retribuzione imponibile non eccede l’importo mensile di 2.692 euro (35.000 euro annui) e pari al 3% cento se la retribuzione non eccede l’importo mensile di 1.923 euro (25.000 euro annui).

Quindi, la legge di Bilancio riduce poi la tassa sulle mance al 5%. La misura è stata pensata per provare a incentivare i lavoratori del settore del turismo.

Inoltre, la legge di Bilancio stabilisce la riduzione al 5% dell’aliquota sostitutiva dell’imposta applicabile alle somme erogate nel 2023 sotto forma di premi di risultato o di partecipazione agli utili d’impresa.

I dipendenti che versano in condizioni di fragilità accertate secondo i criteri del D.M. 4 febbraio 2022, hanno il diritto a rendere la propria prestazione lavorativa in modalità agile fino al 31 marzo 2023.

In materia di prestazioni occasionali, viene aumentato fino a 10.000 euro il limite massimo di compensi che, nel corso di un anno, possono essere corrisposti da ciascun utilizzatore in riferimento alla totalità dei lavoratori mediante prestazione occasionale.

Con specifico riferimento al settore agricolo, è prevista l’introduzione di una disciplina sperimentale, valida per il biennio 2023-2024, che consente il ricorso alle prestazioni occasionali da parte delle imprese agricole per un massimo di 45 giornate lavorative per ciascun lavoratore al fine di agevolare il reperimento di manodopera per attività stagionali.

La disciplina sperimentale introdotta prevede che le prestazioni di lavoro occasionale possono riguardare solo specifiche categorie di lavoratori (disoccupati, percettori di ammortizzatori sociali o del Reddito di cittadinanza, pensionati, studenti fino a 25 anni, detenuti o internati).

Infine, si segnala l’innalzamento della soglia dei compensi per l’accesso e la permanenza nel c.d. regime forfettario per le persone fisiche esercenti attività d’impresa, arti o professioni portando tale limite da 65.000 a 85.000 euro.

Pubblica Amministrazione. I requisiti per gli incarichi esterni.

Il presente scritto riguarda la materia concernente l’affidamento di incarichi a liberi professionisti da parte di enti pubblici, al di fuori delle fattispecie dell’appalto e del lavoro dipendente.

Sarà quindi dato rilievo alla normativa fondamentale che disciplina il conferimento di incarichi da parte della pubblica amministrazione.

Esamineremo innanzitutto l’articolo 7 del DLGS 165/2001 (Testo Unico Pubblico Impiego) che pone le condizioni di legittimità perché una pubblica amministrazione possa instaurare con un soggetto un rapporto di lavoro autonomo.

Come potremo vedere l’articolo 7 è stato oggetto di numerosi interventi restrittivi per eliminare gli abusi ed i reali pericoli di alimentare il precariato.

Il concetto che in primo luogo se ne ricava anche a fissarne la differenziazione dal lavoro subordinato è che debba trattarsi effettivamente di una prestazione individuale i cui termini di prestazione non debbono essere organizzati dalla pubblica amministrazione.

Deve trattarsi inoltre di un estrema ed ultima risorsa per la pubblica amministrazione che normalmente dovrebbe prevedere la presenza delle risorse umane per ogni necessità.

Se almeno all’apparenza ricorrono questi elementi, sarà opportuno confrontarli con la normativa che segue, per un esame di ammissibilità.

  1. Il testo unico del pubblico impiego

L’articolo 7 del DLGS 165/2001 costituisce la base cui riferirsi allorquando deve trattarsi della disciplina del conferimento di incarichi professionali da parte delle pubbliche amministrazioni.

Normalmente l’attività della pubblica amministrazione è svolta per il tramite di lavoratori dipendenti sottoposti a peculiari forme di assunzione e di trattamento contemplate dal DLGS 165/2001 Testo Unico del Pubblico Impiego e contestualmente per gli enti locali dal DLGS 267/2000 Testo Unico dell’ordinamento degli enti locali.

Per incarichi professionali invece intendiamo delle prestazioni che si pongono al di fuori del lavoro dipendente in un contesto di autonomia che va dalle prestazioni coordinate continuative, al lavoro organizzato dal committente e quindi assimilato in quanto al trattamento giuridico al lavoro dipendente sino alle vere e proprie forme di lavoro autonomo e professionale, anche regolamentato dalle norme ordinistiche.

Nell’ultimo periodo, abbiamo assistito al varo di normative volte a diminuire la spesa pubblica e d’altro canto a ridurre in favore della tipologia della subordinazione le varie forme di lavoro para subordinato spesso al limite della legalità.

Da una parte, interveniva in funzione di razionalizzare la Pubblica Amministrazione e contenerne i costi, il decreto Madia DLGS 75/2017 e dall’altra a ridurre le diverse alternative al lavoro subordinato il  il Jobs Act Dlgs 81/2015.

Ne ha risentito anche la materia degli incarichi professionali, laddove l’articolo 7 imponeva restrizioni alla materia degli incarichi professionali esterni.

Quando i contratti di collaborazione con le pubbiche amministrazioni sono vietati.

Il Testo Unico del Pubblico Impiego, D. Lgs. n. 165/2001, all’art. 7, comma 5-bis, prevede il divieto – a far data dal 1 luglio 2019 – per le amministrazioni pubbliche di stipulare contratti di collaborazione che si concretino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.

Pertanto, da tale data non sono più utilizzabili nelle pubbliche amministrazioni i contratti di collaborazione coordinata e continuativa.

I limitati casi di ammissibilità

Il successivo comma 6 dell’art. 7 prevede tuttavia che per specifiche esigenze cui non possano far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire esclusivamente incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo (artt. 2222 e ss. del codice civile), ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, in presenza dei seguenti presupposti di legittimità:

“a) l’oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall’ordinamento all’amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell’amministrazione conferente;

  1. b) l’amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;
  2. c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata;
  3. d) devono essere preventivamente determinati durata, oggetto e compenso della collaborazione; non è ammesso il rinnovo; l’eventuale proroga dell’incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell’incarico, oggetto e compenso della collaborazione.”

E’ possibile prescindere dal requisito della comprovata specializzazione universitaria, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore, nel caso di conferimento di incarichi per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell’arte, dello spettacolo dei mestieri artigianali o dell’attività informatica nonché a supporto dell’attività didattica e di ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione dei contratti di lavoro.

Ancora, l’eventuale ricorso ai contratti di lavoro autonomo (c.d. incarichi) per lo svolgimento di funzioni ordinarie dell’Amministrazione e l’eventuale utilizzo dei soggetti incaricati con modalità tali da costituire lavoro subordinato sono cause di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti.

In sostanza, lo scopo dell’attribuzione degli incarichi è quello di reperire all’esterno dell’organizzazione dell’Amministrazione risorse che permettano di soddisfare esigenze dell’Ente connotate da carattere temporaneo e per le quali è necessaria un’elevata professionalità, senza dover ricorrere ad assunzioni di personale di ruolo.

L’opportunità di creare un apposito regolamento

Infine, il comma 6-bis dell’art. 7 D. Lgs. n. 165/2001 prevede che le amministrazioni pubbliche debbano disciplinare e rendere pubbliche, secondo i propri ordinamenti, le procedure comparative per il conferimento degli incarichi.

Il divieto di instaurare CO.CO.CO come e da quando opera

Scatta così il divieto di instaurare nell’ambito del pubblico impiego le prestazioni coordinate e continuative.

Dopo alcune proroghe, dal 1 luglio 2019, gli enti pubblici non potranno più stipulare collaborazioni coordinate e continuative, l’ultima proroga era stata prevista dall’articolo 1, comma 131 della legge 145/2018.

In realtà, l’articolo 7 del DLGS 165/2001 al comma 5 bis fa divieto alle pubbliche amministrazioni di stipulare collaborazioni coordinate continuative o a progetto, ma qualsiasi forma di collaborazione non genuinamente autonoma e dove intervenga l’organizzazione della stessa da parte dell’ente anche in relazione al tempo ed al luogo di lavoro.

In sostanza l’ente pubblico può ricorrere a liberi professionisti, laddove le risorse interne non permettano di sopperire a talune esigenze istituzionali dell’ente medesimo.

Le sanzioni

Sanzioni sono previste per il mancato rispetto della norma.

In primo luogo, il contratto stipulato in violazione di legge dovrà considerarsi nullo e naturalmente il dipendente non potrà pretendere il riconoscimento della subordinazione e la stabilizzazione del rapporto. Di conseguenza esso verrà meno, il dipendente non sarà tenuto in forza dell’articolo 2126 del codice civile a restituire quanto percepito ed otterrà comunque se il periodo sarà riconosciuto come subordinato il pagamento dei contributi. Nel caso sia invece instaurato un rapporto di lavoro autonomo comunque in violazione dell’articolo 7 del DLGS 165/2001 ad esempio in quanto nell’ambito dell’ente sussistevano le professionalità necessarie, il professionista potrà agire per il risarcimento del danno ex articolo 2043 del codice civile. Le conseguenti spese andranno quindi a carico del dirigente che ha instaurato indebitamente il rapporto.

Altre sanzioni di natura aministrativa contabile e disciplinare attendono inoltre il dirigente che abbia operato in violazione dell’articolo 7 del DLGS 165/2001 .

I casi che legittimano l’instaurazione di contratti di lavoro autonomo – le ipotesi tassative

Ma quando allora le pubbliche amministrazioni possono ricorrere alle collaborazioni esterne, tenuto presente il divieto di instaurare collaborazioni continuative ed organizzate dall’ente datore di lavoro?

Le collaborazioni lecite debbono rispondere ai seguenti requisiti:

  • Il collaboratore esterno deve identificarsi in un esperto di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria e l’incarico deve essere in linea con la specializzazione del soggetto e corrispondere o servire all’oggetto delle competenze istituzionali dell’amministrazione;
  • L’amministrazione deve quindi aver preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare per lo scopo propri dipendenti;
  • La prestazione deve essere di natura temporanea;
  • Devono essere preventivamente determinati la durata l’oggetto ed i compensi.

Si fa presente che si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria per le prestazioni da effettuarsi da professionisti iscritti ad ordini o albi e per soggetti che operino nel campo dell’arte e dello spettacolo, per mestieri artigianali, per l’attività informatica  e per i servizi di orientamento e collocamento.

Ciò in concreto significa che ogni affidamento di incarico professionale nelle amministrazioni pubbliche andrà preceduto da uno delibera che evidenzi il sussistere di tutti i requisiti di liceità dell’affidamento.

Nella successiva lezione, evidenzieremo specificamente il ricorrere di tutte le condizioni di ammissibilità cui ora abbiamo fatto cenno.

  1. Il Codice degli Appalti

 Nel 2016 è entrato in vigore il D. Lgs. n. 50/2016, c.d. Codice degli Appalti o dei contratti pubblici, che disciplina i contratti di appalto e di concessione delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori aventi ad oggetto l’acquisizione di servizi, forniture, lavori e opere, nonché i concorsi pubblici di progettazione.

Quivi, l’art. 17 precisa a quali appalti e concessioni di servizi non si applicano le disposizioni del Codice agli appalti ed alle concessioni di servizi, ovvero quelli:

“a) aventi ad oggetto l’acquisto o la locazione, quali che siano le relative modalità finanziarie, di terreni, fabbricati esistenti o altri beni immobili o riguardanti diritti su tali beni;

  1. b) aventi ad oggetto l’acquisto, lo sviluppo, la produzione o coproduzione di programmi destinati ai servizi di media audiovisivi o radiofonici che sono aggiudicati da fornitori di servizi di media audiovisivi o radiofonici, ovvero gli appalti, anche nei settori speciali, e le concessioni concernenti il tempo di trasmissione o la fornitura di programmi aggiudicati ai fornitori di servizi di media audiovisivi o radiofonici. Ai fini della presente disposizione il termine «materiale associato ai programmi» ha lo stesso significato di «programma»;
  2. c) concernenti i servizi d’arbitrato e di conciliazione;
  3. d) concernenti uno qualsiasi dei seguenti servizi legali:

1) rappresentanza legale di un cliente da parte di un avvocato ai sensi dell’articolo 1 della legge 9 febbraio 1982, n. 31, e successive modificazioni:

1.1) in un arbitrato o in una conciliazione tenuti in uno Stato membro dell’Unione europea, un paese terzo o dinanzi a un’istanza arbitrale o conciliativa internazionale;

1.2) in procedimenti giudiziari dinanzi a organi giurisdizionali o autorità pubbliche di uno Stato membro dell’Unione europea o un Paese terzo o dinanzi a organi giurisdizionali o istituzioni internazionali;

2) consulenza legale fornita in preparazione di uno dei procedimenti di cui al punto 1), o qualora vi sia un indizio concreto e una probabilità elevata che la questione su cui verte la consulenza divenga oggetto del procedimento, sempre che la consulenza sia fornita da un avvocato ai sensi dell’articolo 1 della legge 9 febbraio 1982, n. 31, e successive modificazioni;

3) servizi di certificazione e autenticazione di documenti che devono essere prestati da notai;

4) servizi legali prestati da fiduciari o tutori designati o altri servizi legali i cui fornitori sono designati da un organo giurisdizionale dello Stato o sono designati per legge per svolgere specifici compiti sotto la vigilanza di detti organi giurisdizionali;

5) altri servizi legali che sono connessi, anche occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri;

  1. e) concernenti servizi finanziari relativi all’emissione, all’acquisto, alla vendita e al trasferimento di titoli o di altri strumenti finanziari ai sensi del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, servizi forniti da banche centrali e operazioni concluse con il Fondo europeo di stabilità finanziaria e il meccanismo europeo di stabilità;
  2. f) concernenti i prestiti, a prescindere dal fatto che siano correlati all’emissione, alla vendita, all’acquisto o al trasferimento di titoli o di altri strumenti finanziari;
  3. g) concernenti i contratti di lavoro;
  4. h) concernenti servizi di difesa civile, di protezione civile e di prevenzione contro i pericoli forniti da organizzazioni e associazioni senza scopo di lucro identificati con i codici CPV 75250000-3, 75251000-0, 75251100-1, 75251110- 4, 75251120-7, 75252000-7, 75222000-8; 98113100-9 e 85143000-3 ad eccezione dei servizi di trasporto dei pazienti in ambulanza;
  5. i) concernenti i servizi di trasporto pubblico di passeggeri per ferrovia o metropolitana;
  6. l) concernenti servizi connessi a campagne politiche, identificati con i codici CPV 79341400-0, 92111230-3 e 92111240-6, se aggiudicati da un partito politico nel contesto di una campagna elettorale per gli appalti relativi ai settori ordinari e alle concessioni”.

Con specifico riferimento al settore dei servizi legali, sono state approvate dall’ANAC (Autorità Nazionale Anti Corruzione) le Linee Guida n. 12, con delibera n. 907 del 24/10/2018.

Quando l’affidamento di servizi legali deve essere trattato come appalto?

Nelle citate Linee Guida viene precisato che l’affidamento dei servizi legali costituisce appalto qualora la stazione appaltante affidi la gestione del contenzioso in modo continuativo o periodico al fornitore nell’unità di tempo considerata (di regola il triennio); il singolo incarico conferito ad hoc costituisce invece un contratto d’opera professionale, consistendo nella trattazione della singola controversia o questione, ed è sottoposto al regime di cui all’articolo 17 del D. Lgs. n. 50/2016 (contratti esclusi dall’applicazione del Codice degli Appalti).

Con riferimento ai contratti esclusi dall’applicazione delle disposizioni previste dal Codice degli Appalti, l’art. 4 del D. Lgs. n. 50/2016 precisa che l’affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture debba in ogni caso avvenire nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità e tutela dell’ambiente ed efficienza energetica.

La differenza tra appalto di servizi e contratto d’opera

Resta intesa, come rilevante la differenziazione tra appalto di servizi e contratto d’opera.

La Corte dei Conti Sezione Regionale di Controllo per la Lombardia con deliberazione n.178 del 15 maggio 2014 in un parere reso ad un Comune della Provincia di Milano, delimita il confine tra la fattispecie dell’appalto di servizi e l’affidamento di un incarico professionale – contratto d’opera.

La Corte dei Conti, richiamando anche la sentenza n.2730/2012 del Consiglio di Stato ritiene che l’elemento qualificante dell’appalto di servizi sia dato dal fatto che l’affidatario di un appalto di servizi necessiti per l’espletamento dello stesso, di apprestare una specifica organizzazione finalizzata a soddisfare i bisogni dell’ente.

Conclude la Corte dei Conti che il codice dei contratti pubblici adotti una nozione più ampia di appalto di servizi, ma solo al fine di individuare l’applicabilità della disciplina di affidamento.

Rimane ferma però, a detta della Corte dei Conti, la nozione di appalto di servizi  così come delineata dal codice civile, che presuppone che la prestazione oggetto dell’obbligazione sia caratterizzata dalla sussistenza di una specifica organizzazione che possa garantire l’adempimento di una prestazione caratterizzata dalla complessità dell’oggetto e dalla predeterminazione della durata”.

In ogni caso, a prescindere da tali differenze la stipula di un contratto d’opera da parte della pubblica amministrazione, va preceduta dai seguenti requisiti:

  • l’affidamento dell’incarico deve essere preceduto da un accertamento reale sull’assenza di servizi o di professionalità, interne all’ente, in grado di adempiere l’incarico;
  • Va espletata una procedura di selezione comparativa, adeguatamente pubblicizzata, finalizzata ad assicurare alla P.A. la migliore offerta da un punto di vista qualitativo e quantitativo;
  • Deve essere acquisito il parere obbligatorio del Collegio dei revisori dell’ente ai sensi dell’art. 1, comma 42 della L. n. 311/2004;
  • Vanno  rispettati gli obblighi di comunicazione e pubblicità: il conferimento dell’incarico va comunicato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica ai sensi dell’articolo 53, comma 14, secondo periodo, del d.lgs. 165/2001 e ne deve essere curata la pubblicazione sul sito web ai sensi dall’art. 15, comma 2 del d.lgs. 33/2013.
  1. Le ultime novità dal punto di vista giurisprudenziale

La Corte dei Conti Sezione Campania, con la sentenza n.88/2018, ha ritenuto che l’Amministrazione, pur seguendo le procedure in materia di appalti, nel caso di specie avesse in realtà conferito un incarico individuale ai sensi dell’art. 7 del D. Lgs. n. 165/2001.

Nello specifico, un tanto era affermato in quanto risultava evidente che nella fattispecie oggetto d’esame fosse prevalente il “carattere personale o intellettuale della prestazione” nella persona del professionista di riferimento, anziché quello imprenditoriale in cui assume rilievo, assieme al requisito della gestione a proprio rischio, la qualità di imprenditore commerciale (art. 2195 cod. civ.), ovvero l’organizzazione dei mezzi necessari.

Ne conseguiva che la dichiarazione ai fini fiscali di aver fornito “servizi di impresa” risultava del tutto irrilevante rispetto alla fattispecie lavorativa prestata e alle sue caratteristiche oggettive che doveva invece essere qualificata come affidamento di incarico di un contratto d’opera intellettuale (artt. 2222 e 2229 c.c.). Invero, anche la necessità di utilizzare, da parte di un professionista, mezzi compresi tra gli ordinari strumenti cognitivi ed operativi a disposizione di qualunque lavoratore del settore, non può essere sufficiente a far ritenere che il contratto debba essere inquadrato nell’appalto di servizi.

Quindi, la Corte dei Conti confermava che la fattispecie in esame rientrasse nell’ipotesi dei c.d. “servizi esclusi” del codice dei contratti pubblici, trovando applicazione in ogni caso i principi dettati dall’art. 4 del D. Lgs. n. 50/2016.

Quanto invece alla distinzione tra incarico legale ed appalto di servizi legali, già la Sentenza del Consiglio di Stato n. 2730/2012 aveva delineato che l’appalto costituisce qualcosa in più rispetto ad un singolo incarico di patrocinio legale: l’appalto è configurabile quando il servizio legale viene prestato per un determinato arco temporale ed in ragione di un predeterminato corrispettivo.

Ciò appare peraltro confermato dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 6 giugno 2019 (C264/2018). La Corte di Giustizia ha infatti ribadito che gli incarichi legali sono esclusi dalla normativa generale sugli appalti in quanto diversi da ogni altro contratto, perché le relative prestazioni possono essere rese solo in ragione di un ambito fiduciario tra l’avvocato ed il cliente, peraltro caratterizzato dalla massima riservatezza.

In ogni caso, ciascuna amministrazione ben può organizzare, se lo ritiene opportuno, una apposita procedura selettiva tesa a comparare tra loro più professionisti per individuare lo specifico professionista da incaricare.

In merito, anche con riferimento ai principi generali del codice dei contratti pubblici, l’ANAC ha suggerito – senza obbligo alcuno di conformazione – alle amministrazioni di predisporre degli “elenchi” di avvocati ai quali eventualmente attingere per affidare eventuali incarichi.

Ancora, la Corte dei Conti, sezione d’Appello, con sentenza n. 155/2019, ha riformato la sentenza di condanna in primo grado per alcuni dirigenti di un Ente per aver dato luogo a rapporti di collaborazione esterna con alcuni professionisti senza aver svolto un effettivo e concreto accertamento sul personale interno da eventualmente utilizzare per rendere il servizio oggetto di incarico esterno.

Le motivazioni degli appellanti sono state accolte in quanto è stato ritenuto che i dirigenti fossero esenti da responsabilità per mancanza della colpa grave, in considerazione non solo delle gravi carenze degli organici, ma soprattutto della tempestiva attivazione di concorsi pubblici per la dotazione delle professionalità richieste per l’Ente.

Da ultimo, risulta opportuno ricordare anche la recente sentenza n. 11410/2019 del TAR Lazio, relativa alla legittimità di un avviso pubblico del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che intendeva ricercare un supporto tecnico ad elevato contenuto specialistico di professionalità altamente qualificate per svolgere consulenze a titolo gratuito.

Il TAR ha valutato che, date le caratteristiche indicate dall’avviso – che riguardava una consulenza eventuale ed occasionale nell’arco temporale di due anni – la consulenza non poteva essere qualificata come contratto di lavoro autonomo, ex art. 7, commi 6 e 6 bis, del D. Lgs n. 165/2001 e che non si trattava neppure di servizio il cui affidamento sarebbe stato sottoposto alla disciplina del Codice degli Appalti, considerata l’assenza della previsione del numero ben definito di incarichi da conferire, dell’individuazione puntuale dell’oggetto e della consistenza di ciascun incarico, nonché di una selezione per l’aggiudicazione.

Per tali ragioni, il carattere gratuito della consulenza è stato ritenuto legittimo, in quanto nel nostro ordinamento non si rinviene alcun divieto in tal senso.

Da ultimo, la legge delega 21.6.2022 n.78 in tema di contratti pubblici , esclude la gratuità degli stessi salvo motivate eccezioni.

Fabio Petracci

Contratto di logistica e responsabilità solidale del committente nei confronti dei dipendenti dall’appaltatore.

Contratto di logistica e tutela del personale

Nell’ambito del decentramento produttivo, la normativa del lavoro prevede forme di responsabilizzazione dei soggetti interessati nei confronti dei lavoratori e di tutela di questi ultimi.

In proposito, la legge vuole evitare che il trasferimento a cascata dei processi produttivi finisca per pregiudicare le ragioni creditorie dei dipendenti che rischiano di affidarsi a controparti via via meno solvibili e consistente.

E’ quanto accade nell’ambito dell’appalto che ad oggi appare come la forma principale di decentramento produttivo.

In tal senso, la normativa agisce su di un duplice piano.

In primo luogo, si vuole combattere l’elusione, circoscrivendo l’ambito di quello che viene definito coma appalto genuino e quindi quello che possiede tutti i requisiti di cui all’articolo 1655 come l’organizzazione da parte dell’appaltatore di tutti i mezzi per il compimento dell’opera e l’assunzione del relativo rischio economico, rispetto al fenomeno della somministrazione di lavoro che assume carattere fraudolento laddove non autorizzato dalla legge.

In secondo luogo, la legge prevede nell’ambito dell’appalto, forme di responsabilità solidale del nei confronti dei dipendenti.

Quivi troviamo in primo luogo l’articolo 29 comma 2 del DLGS 276/2003 che stabilisce come in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro, è obbligato in solido con l’appaltatore e con altri eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto a corrispondere i trattamenti retributivi e contributivi maturati.

Il committente assume così una posizione di garanzia anche a favore dei dipendenti di terzi come l’appaltatore o gli eventuali subappaltatori.

Sempre a tutela dei crediti dei lavoratori, il codice civile prevede l’azione diretta di cui all’articolo 1676 del codice civile che prevede la possibilità per i dipendenti dall’appaltatore di agire direttamente nei confronti del committente per soddisfarsi sui crediti che l’appaltatore vanta nei confronti di quest’ultimo.

Il contratto di logistica

Sempre nel campo del decentramento produttivo, assume sempre maggiore rilievo il campo della logistica che un tempo si limitava al semplice trasporto ed immagazzinamento.

L’appalto di logistica è divenuta ormai un’importante successione di attività e fasi che poco hanno a che fare con il trasporto. Si parla ormai infatti di logistica integrata.

A disciplinare il fenomeno produttivo è intervenuto l’articolo 1677 del Codice Civile che ha stabilito come qualora l’appalto abbia per oggetto, congiuntamente, la prestazione di due o più servizi di logistica relativi alle attività di ricezione, trasformazione, deposito, custodia, spedizione, trasferimento e distribuzione di beni di un altro soggetto, alle attività di trasferimento di cose da un luogo all’altro, si applicano le norme relative al contratto di trasporto in quanto compatibili.

Dunque, pare chiaro come le attività integrate vengano assimilate all’appalto dove l’articolo 1677 del Codice Civile trova la propria collocazione e la restante attività di trasporto se compatibile troverà l’applicazione della normativa in tema di trasporto.

Dunque, una sostanziale equiparazione della logistica integrata all’appalto almeno como sottotipo della stesa.

Le tutele del lavoro nel contratto di logisticaL’opinione del Ministero del Lavoro

Appurata la riconduzione del contratto di logistica integrata quale sottospecie dell’appalto, ci si chiede se a tale forma di decentramento della produzione, possano applicarsi le forme di tutela dei crediti dei dipendenti previsto per gli appalti.

Il Ministero del Lavoro, con l’interpello 1/2022 – Appalto di Servizi di Logistica; Responsabilità Solidale, richiesto dalle Organizzazioni Sindacali FILT CGIL e FIT CISL, in data 17 ottobre 2022 ha ritenuto come l’appalto di logistica configuri un ipotesi di appalto di servizi tenuto conto della scelta del legislatore di collocarne la disposizione nel titolo III Capo VII del Codice Civile che reca le disposizioni in tema di appalto, sia in base al tenore letterale dell’articolo 1677 del Codice Civile che stabilisce l’applicazione delle norme relative al contratto di trasporto” in quanto compatibili”.

Sulla base di tali ragioni, il Ministero del Lavoro ha ritenuto applicabile al contratto di trasporto il regime di solidarietà di cui all’articolo 29, comma 2 del DLGS 276/2003 e ciò allorquando si accerti il compimento di attività ulteriori rispetto allo schema tipico del traporto, oppure qualora l’attività si configuri come vero e proprio appalto di trasporto che, per come configurato dalla giurisprudenza, si caratterizza per “la predeterminazione e la sistematicità dei servizi, accompagnate dalla pattuizione di un corrispettivo unitario e dall’assunzione dei rischi da parte del trasportatore.” (Cass. n. 6160 del 13 marzo 2009).

Dunque chi affida le attività di trasporto e logistica a terzi deve tener conto della responsabilità che sullo stesso incombe per il pagamento dei dipendenti degli affidatari dei servizi.

Fabio Petracci

Alte professionalità

CONVEGNO: Quadri ed elevate professionalità nel pubblico impiego e nella contrattazione dopo il D.L. 80/2021

Venerdì 20 gennaio 2023  presso l’Hotel Coppe di via Mazzini n.24 a Trieste si terrà il convegno “Quadri ed elevate professionalità nel pubblico impiego e nella contrattazione delle funzioni centrali e degli enti locali dopo il D.L. 80/2021”.

Il convegno segue l’inaugurazione della nuova sede CIU UNUONQUADRI per il Friuli Venezia Giulia sita a Trieste in via Coroneo n.5.

PROGRAMMA DEL CONVEGNO

SALUTI ISTITUZIONALI
Dott.ssa Gabriella ANCORA
Presidente CIU UNIONQUADRI

RELATORI
Prof. Nicola de MARINIS
Consigliere della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione

Dott. Fulvio CARLI
Segretario Regionale Friuli-Venezia Giulia di CIU UNIONQUADRI

Dott. Liano CAPICOTTO
Docente Link Campus

MODERA
Avv. Fabio PETRACCI
Vicepresidente CIU UNIONQUADRI

 

DIBATTITO

Seguirà Cocktail

Inaugurazione della sede regionale FVG di CIU UNIONQUADRI

Venerdì 20 gennaio 2023 alle ore 16.00 verrà inaugurata la nuova sede CIU UNUONQUADRI per il Friuli Venezia Giulia a Trieste, in via Coroneo n.5 all’interno della galleria pedonale.

A breve verrà comunicato l’orario di apertura anche al fine di fornire aiuto e consulenza ai quadri del pubblico e del privato ed ai lavoratori apicali in genere.

Presso l’ufficio avrà pure sede il Centro Studi di Unionquadri – Corrado Rossitto.

Presso l’Hotel Coppe di via Mazzini n.24 a Trieste seguirà il convegno dal titoloQuadri ed elevate professionalità nel pubblico impiego e nella contrattazione delle funzioni centrali e degli enti locali dopo il D.L.80/2021″.

Al termine del dibattito seguirà un cocktail di benvenuto.

Il lavoro intermittente e l’obbligo della comunicazione precedente alla prestazione

  1. Il lavoro intermittente, caratteri distintivi

Il lavoro intermittente rientra nella categoria delle tipologie di lavoro flessibile previste dalla Sezione II del Capo II, rubricato “Lavoro ridotto e flessibile” del D.lgs. 81/2015, il quale contiene una disciplina organica dei contratti di lavoro.

Si tratta del contratto, a tempo determinato o indeterminato, in forza del quale il datore di lavoro “chiama” il lavoratore ad effettuare la prestazione pattuita quando lo ritiene opportuno sulla base delle proprie esigenze. Proprio per questo motivo il contratto viene anche definito “a chiamata”.

La prestazione lavorativa viene, pertanto, svolta in modo discontinuo o intermittente.

Vi è un limite massimo di fruizione rappresentato da quattrocento giornate di effettivo lavoro con il medesimo datore di lavoro, nell’arco di tre anni solari. In caso di superamento è prevista la “sanzione” per il datore della trasformazione del rapporto a tempo pieno e indeterminato.

Tale limite orario non si applica ai settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo.

In forza del principio di non discriminazione, <<il lavoratore intermittente non deve ricevere, per i periodi lavorati e a parità di mansioni svolte, un trattamento economico e normativo complessivamente meno favorevole rispetto al lavoratore di pari livello>> (art. 17).

Si sottolinea che il lavoratore intermittente matura il trattamento economico e normativo solo con riferimento alle giornate in cui svolge effettivamente la prestazione lavorativa.

Nei periodi, però, di sua reperibilità, nei quali, cioè, egli garantisce la propria disponibilità a rispondere alle chiamate ma non è detto che lavori, gli spetta l’indennità di disponibilità (art. 13, comma 4), come prevista dai contratti collettivi o dall’accordo delle parti.

  1. L’ obbligo di comunicazione ex art. 15, comma 3 Dlgs. 81/2015

Il presente punto intende rappresentare una guida all’ottemperanza dell’obbligo previsto dal comma 3 dell’art. 15 del D.lgs. 81/2015, il quale costituisce un onere ulteriore in capo al datore di lavoro, rispetto a quello di comunicazione obbligatoria di assunzione, cessazione e trasformazione del rapporto (UNILAV), previsto per qualsiasi tipologia di lavoro subordinato.

Oltre all’UNILAV il datore deve, infatti, provvedere alla comunicazione alla Direzione territoriale del lavoro competente per territorio, prima dell’inizio della prestazione lavorativa intermittente o di un ciclo integrato di prestazioni intermittenti di durata non superiore a 30 giorni (art. 15, comma 3).

  • Le modalità di trasmissione della comunicazione

Le modalità operative, attualmente in vigore, per eseguire tale comunicazione sono state definite dal Decreto Interministeriale del 27 marzo 2013 e dalla Circolare MLPS n. 27/2013.

La Circolare MLPS del 12 febbraio 2020 fornisce, inoltre, alcuni chiarimenti sulle modalità di comunicazione con riferimento ai lavoratori dello spettacolo.

Si riportano di seguente le modalità e i contenuti di tale ulteriore comunicazione, come individuate dai sopra menzionati decreto interministeriale e circolare esplicativa.

Dal punto di vista soggettivo, i soggetti abilitati ad effettuare la comunicazione sono il datore di lavoro o i “soggetti obbligati”, ossia coloro i quali, ai sensi della normativa vigente possono effettuare le comunicazioni in loro nome e per conto, come, per esempio, i consulenti del lavoro.

Le modalità di trasmissione della comunicazione sono esclusivamente le seguenti:

  1. a) via email all’indirizzo di posta certificata intermittenti@mailcert.lavoro.gov.it;
  2. b) per il tramite del servizio informatico attraverso il portale cliclavoro (www.cliclavoro.gov.it).
  3. c) via sms al numero 339-9942256.

Per quanto concerne la modalità sub a), per utilizzare tale canale, dovrà essere inviato in allegato alla mail, il modello “UNI_Intermittente” compilato in ogni sua parte.

Ai fini dell’adempimento dell’obbligo verranno prese in considerazione esclusivamente le e-mail contenenti il modello “UNI-Intermittente” debitamente compilato.

Tale modello richiede l’inserimento dei seguenti dati:

– codice fiscale e indirizzo di posta elettronica del datore di lavoro;

– codice fiscale del lavoratore interessato;

– codice di comunicazione del modello UNILAV cui la chiamata si riferisce (campo non obbligatorio);

– data inizio e data fine della prestazione per la quale si sta effettuando la comunicazione.

Non sono previste mail di conferma di ricezione e, ai fini di dimostrare l’esatto adempimento dell’obbligo, il datore di lavoro dovrà consegnare copia del modello compilato e allegato alla e-mail inviata. A tal fine il modello contiene in basso due opzioni: una di “stampa” che permette di stampare il modello e una “Genera xml e invia via e-mail” necessaria per adempiere all’obbligo, inviando il modello così generato all’indirizzo di posta elettronica certificata già indicata.

Si evidenzia che per utilizzare tale modalità di comunicazione non è necessario che l’indirizzo e-mail del mittente sia un indirizzo di posta elettronica certificata. La casella intermittenti@mailcert.lavoro.gov.it è infatti abilitata a ricevere comunicazioni anche da indirizzi di posta non certificata.

La modalità sub b), si attua mediante la registrazione e poi l’accesso al portale “cliclavoro” (www.cliclavoro.gov.it).

Anche in questo caso, il portale richiede la compilazione di un apposito modulo, con le modalità evidenziate nell’apposita sezione.

Per facilitare l’inserimento delle informazioni, non appena indicato il codice fiscale del lavoratore interessato alla chiamata, saranno proposte, se presenti, l’elenco delle comunicazioni obbligatorie di tipo intermittente aperte e il datore di lavoro dovrà semplicemente indicare il relativo codice di comunicazione.

Circa l’opzione sub c), questa è una modalità eccezionale prevista dall’articolo 4, comma 2 del decreto ministeriale del 27 marzo 2013.

Essa va utilizzata, infatti, esclusivamente per le prestazioni che hanno inizio non oltre le 12 ore dal momento della comunicazione (e che quindi possono terminare anche dopo le 12 ore dalla comunicazione), avendo cura di indicare almeno il codice fiscale del lavoratore utilizzato.

Al fine di identificare il datore di lavoro che sta inviando l’SMS è necessario che lo stesso si sia precedentemente registrato al portale cliclavoro, avendo cura di indicare nel form di registrazione il numero di telefono cellulare che sarà utilizzato per l’invio del modello. Solo in questo modo gli organi di vigilanza potranno verificare l’esatto adempimento dell’obbligo.

Non verranno prese in considerazione le comunicazioni inviate con un SMS che non contiene le informazioni sopra indicate ovvero provenienti da un numero di cellulare non registrato.

Come sopra accennato, le modalità appena delineate sono esclusive, pertanto non vengono prese in considerazione dagli organi ispettivi comunicazioni effettuate per vie diverse.

  • Cosa succede in caso di malfunzionamento del servizio informatico?

Il Decreto Ministeriale 27 marzo 2013 al comma 6 dell’articolo 4 prevede che in caso di malfunzionamento del servizio informatico di cui alla precedente lettera c), i soggetti abilitati possano adempiere agli obblighi inviando, nei termini previsti dalla legge, il Modello “UNI-intermittente” al numero di fax della competente Direzione territoriale del lavoro.

In tal caso, il datore di lavoro dovrà conservare la copia del fax unitamente alla ricevuta di malfunzionamento rilasciata direttamente dal servizio informatico.

Questa comunicazione serve esclusivamente per attestare agli organi di vigilanza la buona fede del datore di lavoro e la circostanza che l’inosservanza dei termini è stata determinata da un oggettivo impedimento.

  • È possibile annullare la comunicazione?

Le comunicazioni effettuate con le modalità precedentemente descritte possono essere annullate secondo quanto chiarito con circ. n. 20/2012.

L’annullamento può essere effettuato esclusivamente tramite e-mail da indirizzare all’indirizzo PEC di cui alla precedente lettera a) ovvero riprendendo il modello on line precedentemente inviato, avendo cura di selezionare le prestazioni già comunicate da annullare nonché il tasto “annullamento”.

  • Disciplina speciale per i lavoratori dello spettacolo

Le aziende che intendono utilizzare con contratto di lavoro intermittente i lavoratori di cui al Decreto Legislativo del Capo provvisorio dello Stato 16 luglio 1947, n. 708 adempiono all’obbligo in esame con la presentazione del c.d. “certificato di agibilità” di cui all’articolo 10 dello stesso decreto provvisorio del capo dello stato del 1947. Utilizzando la cooperazione applicativa già funzionante tra Enpals e il Ministero del lavoro tali comunicazioni vengono rese disponibili altresì agli uffici del predetto Ministero.

  • Trasferimento dei dati

Il Ministero riceve la comunicazione e mette a disposizione le informazioni relative alle chiamate di lavoro intermittente, effettuate con le modalità descritte nei paragrafi precedenti, alle Direzioni territoriali del lavoro attraverso i propri servizi di rete interna nonché agli ispettorati del lavoro ubicati presso le Regioni e Province Autonome che hanno “regionalizzato” tali funzioni, attraverso il sistema di cooperazione applicativa.

  • Sanzioni

In caso di violazione dell’obbligo di comunicazione si applica la sanzione amministrativa da euro 400 ad euro 2.400 in relazione a ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione.

Si tenga presente che non si applica la procedura di diffida di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124.

Sul punto va altresì evidenziato che il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con la circolare del 22 aprile 2013, ha chiarito che “la sanzione in esame trova applicazione con riferimento ad ogni lavoratore e non invece per ciascuna giornata di lavoro per la quale risulti inadempiuto l’obbligo comunicazionale. In sostanza, per ogni ciclo di 30 giornate che individuano la condotta del trasgressore, trova applicazione una sola sanzione per ciascun lavoratore”.

Dottoressa Anna Chiara Monti

CASSAZIONE – Superamento del comporto e discriminatorietà del licenziamento

Con la pronuncia n. 2414/2022 la Corte di Cassazione precisa come sia comunque possibile ravvisare una finalità discriminatoria anche nel caso di un licenziamento basato su quello che a tutti gli effetti può essere considerato un motivo legittimo (come l’effettivo e non contestato superamento del periodo di comporto).

Nel dettaglio, si tratta di una pronuncia resa in un giudizio nel quale il lavoratore aveva dedotto l’illegittimità del licenziamento, formalmente intimato per superamento del periodo di comporto, argomentando dal fatto che la malattia era causalmente da collegare alla illegittima condotta datoriale, che il recesso era stato determinato da un intento ritorsivo e che era discriminatorio in quanto collegato all’attività sindacale svolta.

Secondo consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, la prova della unicità e determinatezza del motivo non rileva nel caso di licenziamento discriminatorio, che ben può accompagnarsi ad altro motivo legittimo ed essere comunque nullo (Cass. n. 28453 del 2018, Cass. n. 6575 del 2016).

Devono quindi essere tenuti il profilo in cui si assuma un motivo ritorsivo e quello in cui si denunzi il carattere discriminatorio del licenziamento, in relazione al quale l’esistenza di un motivo legittimo alla base del recesso datoriale non esclude la nullità del provvedimento ove venga accertata la finalità discriminatoria dello stesso.

Invero, solo nel caso di allegazione da parte del lavoratore del carattere ritorsivo del licenziamento e quindi di una domanda di accertamento della nullità del provvedimento datoriale per motivo illecito ai sensi dell’articolo 1345 c.c., occorre che l’intento ritorsivo del datore di lavoro, la cui prova è a carico del lavoratore, sia determinante, cioè tale costituire l’unica effettiva ragione di recesso, ed esclusivo, nel senso che il motivo lecito formalmente addotto risulti insussistente nel riscontro giudiziale.

CASSAZIONE – Non è sempre nullo il patto di non concorrenza con corrispettivo variabile

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 33424/2022, interviene in merito alla previsione di un patto di non concorrenza con un importo variabile a seconda della durata del rapporto di lavoro.

Nel dettaglio, l’importo era pari a € 10.000 all’anno per 3 anni, a fronte di un impegno di non concorrenza per 20 mesi dalla cessazione del rapporto; in caso di cessazione del rapporto di lavoro prima della scadenza del triennio, al dipendente non sarebbe spettato l’intero importo di € 30.000, bensì un importo collegato alla durata del rapporto di lavoro.

La Cassazione ricorda come il corrispettivo stabilito con il patto di non concorrenza, essendo diverso e distinto dalla retribuzione, deve possedere soltanto i requisiti previsti in generale per l’oggetto della prestazione dall’art. 1346 c.c. e, quindi, deve essere “determinato o determinabile”.

La variabilità del corrispettivo rispetto alla durata del rapporto di lavoro non significa che esso non sia determinabile in base a parametri oggettivi: devono quindi essere valutate distintamente la questione della nullità per mancanza del requisito di determinatezza o determinabilità del corrispettivo pattuito tra le parti e, poi, la verifica che il compenso, come determinato o determinabile, non sia simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato, in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore ed alla riduzione delle sue possibilità di guadagno.

La tutela dei lavoratori negli appalti di logistica

Il contratto di appalto è molto usato dalle imprese, specialmente nella forma dell’appalto di servizi. Nell’ordinamento italiano si è scelto di tutelare i crediti – compresi TFR, contributi previdenziali e premi assicurativi – dei lavoratori impiegati nell’appalto attraverso il meccanismo della responsabilità solidale tra appaltante e appaltatore.

In effetti, l’art. 29, comma 2 del d.lgs. 276/2003 stabilisce proprio come “in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi”.

Nel corso degli anni si sono sempre più sviluppati, assumendo particolare importanza, gli appalti nel settore della logistica.

Preso atto del fenomeno, il legislatore è intervenuto con una specifica norma, l’art. 1677 bis c.c., in base al quale: “Se l’appalto ha per oggetto, congiuntamente, la prestazione di due o più servizi di logistica relativi alle attività di ricezione, trasformazione, deposito, custodia, spedizione, trasferimento e distribuzione di beni di un altro soggetto, alle attività di trasferimento di cose da un luogo a un altro si applicano le norme relative al contratto di trasporto, in quanto compatibili”.

Nella pratica era tuttavia sorto il dubbio se detta responsabilità solidale potesse operare con riferimento alle prestazioni lavorative relative alle attività di semplice trasporto di cose, in quanto al contratto di trasporto non trova applicazione la norma sulla responsabilità solidale negli appalti.

Il Ministero del Lavoro è quindi intervenuto con un interpello, il n.1/2022, chiarendo che anche nel caso di appalti di più servizi di logistica come descritti nell’art. 1677-bis c.c. trova applicazione la disciplina della responsabilità solidale prevista dall’art. 29 del d.lgs. 276/2003.

Tale conclusione deriva dalla considerazione secondo la quale la logistica rappresenta una peculiare ipotesi di contratto di appalto di servizi e perciò non risulta possibile escludere il regime di solidarietà sia perché l’esclusione sarebbe incoerente con la disciplina generale dell’appalto, sia perché introdurrebbe una irragionevole riduzione di tutela per il lavoratore impegnato nelle sole attività di trasferimento di cose dedotte in un contratto di appalto.

Sul punto va ricordato come era già intervenuta la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 254/2017, che aveva affermato la necessità di un’interpretazione estensiva e costituzionalmente orientata dell’art. 29, comma 2, d.lgs. 276/2003, con la finalità di garantire ai lavoratori una tutela adeguata, evitando che i meccanismi di decentramento produttivo e di dissociazione fra titolarità del contratto di lavoro e utilizzazione della prestazione vadano a danno dei lavoratori.

CASSAZIONE – La decadenza nel caso dell’azione di accertamento del rapporto di lavoro

La sentenza n. 40652/2021 della Suprema Corte di Cassazione ha statuito che nel caso di azione di accertamento di un rapporto di lavoro alle dipendenze di un soggetto diverso dal datore di lavoro formale non è prevista alcuna decadenza fino al momento in cui il lavoratore non riceve un provvedimento scritto che nega la titolarità del rapporto.

Il caso oggetto della pronuncia è quello relativo ad alcuni dipendenti che avevano agito giudizialmente per ottenere l’accertamento di un rapporto di lavoro alle dipendenze di un soggetto diverso da quello che risultava formalmente titolare del contratto.

Le Corti di merito avevano rigettato le domande dei lavoratori, ritenendole presentate oltre i termini previsti a pena di decadenza dall’art. 32, c. 4, lett. d), l.183/2010.

La Corte di Cassazione rileva come in un’ottica di bilanciamento di interessi costituzionalmente rilevanti, tanto nei casi di richiesta di costituzione (in cui è manifesta la volontà dell’istante di ripristino immediato e/o di stabilizzazione), quanto nei casi di richiesta di accertamento (ove l’azione dichiarativa richieda un accertamento “ora per allora”) dei rapporto di lavoro alle dipendenze di un soggetto diverso dal titolare del contratto, è sempre necessario “un atto o un provvedimento datoriale che renda operativo e certo il termine di decorrenza della decadenza”.

Ne consegue che viene evidenziata la necessità, ai fini della operatività della decadenza, di un provvedimento o di un atto da impugnare ovvero di un tipizzato fatto (scadenza del contratto a tempo determinato).

La Suprema Corte di Cassazione ha quindi enucleato il seguente principio di diritto: “La disposizione di cui alla legge. n. 183/ 2010, art. 32, co. 4, lett. d), relativa al regime di decadenza ivi previsto, non si applica alle ipotesi – in tema di richiesta di costituzione o di accertamento di un rapporto di lavoro, ormai risolto, in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto – nelle quali manchi un provvedimento in forma scritta o un atto equipollente che neghi la titolarità del rapporto stesso”.