Novità in arrivo ed in progetto per la Pubblica Amministrazione

Sono recenti due provvedimenti in tema di pubblica amministrazione. Da una parte, il decreto legge 14 marzo 2025 n.25 che apporta alcune modifiche in tema di assunzioni e accesso al pubblico impiego, oltre ad altre specifiche disposizioni che potremmo considerare di dettaglio, dall’altra parte il recente decreto del Ministro Zangrillo appena approvato dal Governo.

L’accesso di giovani tecnici qualificati

Partiremo dal decreto PA 2025 che interviene in primo luogo in merito all’apprendistato riservato a giovani laureati o provenienti dagli ITS Academy nelle posizioni concernenti il titolo acquisito consentendo una ulteriore percentuale del 10% di assunzioni con contratti di apprendistato, destinato a seguito del buon esito del rapporto e delle disponibilità assunzionali a trasformarsi in rapporto a tempo indeterminato.

In sostanza, i giovani diplomati degli ITS Academy avranno la possibilità di essere assunti come funzionari, nelle regioni e nelle città metropolitane.

L’accesso alla dirigenza

Innovazioni sono così apportate in tema di accesso alla dirigenza.

Quivi, una percentuale pari al 50% è riservata come in precedenza al Corso Concorso , l’assunzione del restante personale dirigenziale è invece affidata a procedure concorsuali attuate da RIPAM (Commissione Attuazione Progetto Riqualificazione Pubblica Amministrazione),  previa ricognizione del bisogno presso le amministrazioni interessate.

L’organizzazione dei concorsi

E’ così attribuita da parte del Dipartimento della Funzione Pubblica a RIPAM la competenza esclusiva in tema di organizzazione dei concorsi pubblici, avvalendosi anche di esperti in psicologia del lavoro e risorse umane

In ogni caso, il Dipartimento della Funzione Pubblica potrà autorizzare specifiche rd autonome procedure per la ricerca di specifiche professionalità.

Con le medesime modalità sopraindicate è previsto il reclutamento delle figure non dirigenziali e delle elevate professionalità.

Ulteriori novità sono introdotte in merito alle graduatorie dei concorsi pubblici.

E’ sospesa per il 2024 – 2025 la norma che limitava al 20% dei posti a concorso l’utilizzo delle graduatorie. (norma cosiddetta taglia idonei).

In tema di mobilità

Un altro punto toccato dal Decreto PA 2025 riguarda le procedure di mobilità.

In primo luogo è dato alle amministrazioni di inquadrare nel proprio organico coloro che in posizione di comando, distacco o fuori ruolo abbiano maturato almeno 36 mesi in tale posizione e che abbiano ottenuto una valutazione positiva della performance.

I dipendenti in questione se nell’amministrazione destinataria ci siano posti vacanti, saranno assegnati ai relativi ruoli con lo stipendio goduto presso l’amministrazione di provenienza.

Secondo il nuovo testo dell’articolo 30, comma 2 bis, le amministrazioni sono tenute a destinare alle procedure di mobilità almeno il 15% delle facoltà assunzionali. Solo le posizioni non destinate alla mobilità sono destinate ai concorsi.

Ulteriori novità in arrivo in tema di accesso alla dirigenza

Oltre a quanto previsto dall’appena citato decreto, il Ministro Zangrillo ha anticipato ulteriori novità di più ampio respiro, in merito alla Pubblica Amministrazione con un progetto di legge già approvato dal Governo, toccando principalmente i meccanismi di carriera e favorendo i funzionari con un quinquennio di buon servizio alle spalle nell’accesso alla dirigenza, costruendo un nesso di carriera tra livelli apicali e dirigenza.

Si prevede in questo caso che sia il dirigente a proporre il funzionario per la promozione.

In tal caso, il dirigente dovrà proporre la promozione innanzi ad apposita commissione presieduta da un componente esterno all’amministrazione e da un ulteriore membro esterno.

Il neo dirigente sarà quindi sottoposto ad un periodo di osservazione di durata quadriennale che lo porterà all’eccesso definitivo alla dirigenza dopo un giudizio finale da parte di una diversa commissione.

Nell’ambito della riforma, ci sarebbe anche una modifica degli Organismi Interni di Valutazione OIV che dovranno garantire giudizi maggiormente effettivi, siccome ad oggi il 98% dei dipendenti pubblici è valutato come eccellente.

di Fabio Petracci

Partecipazione dei lavoratori all’impresa – la proposta di legge

La proposta di legge popolare La partecipazione al lavoro. Per una governance d’impresa partecipata dai lavoratori” presentata in data 27 novembre 2023, dopo un lungo iter in Commissione (iniziato il 18 gennaio 2024 e concluso il 23 gennaio 2025) è finalmente approdata all’Assemblea della Camera dei Deputati.

La discussione è iniziata in data 27 gennaio 2025 ed il testo ed i lavori parlamentari sono consultabili al seguente link: https://www.camera.it/leg19/126?pdl=1573

Il testo uscito dai lavori della Commissione intende disciplinare la partecipazione gestionale, economica e finanziaria, organizzativa e consultiva dei lavoratori alla gestione, all’organizzazione, ai profitti e ai risultati nonché alla proprietà delle aziende e individua le modalità di promozione e incentivazione delle suddette forme di partecipazione.

Si tratterebbe dunque dell’attuazione dell’articolo 46 della Costituzione, nel rispetto dei princìpi e dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea e internazionale, al fine di rafforzare la collaborazione tra i datori di lavoro e i lavoratori, di preservare e incrementare i livelli occupazionali e di valorizzare il lavoro sul piano economico e sociale.

Pare opportuno segnalare che, rispetto al progetto di legge inizialmente presentato, le disposizioni della proposta di legge, si applicano anche alle società cooperative in quanto compatibili.

avv. Alberto Tarlao

 

Permessi legge 104 ed attività accessorie all’assistenza

Con l’ordinanza n. 1227/2025 la Suprema Corte si pronuncia sul caso di un dipendente licenziato per aver fruito dei permessi ex legge n. 104/1992 in 5 diverse giornate ed aver dedicato al beneficiario soltanto un’ora al giorno, impiegando tutto il resto della giornata in attività personali sulla base delle risultanze di apposita attività investigativa.

Il lavoratore valorizzava lo svolgimento nel corso della giornata di incombenze esterne come l’acquisto di medicinali e di altri generi di prima necessità e che comunque era rimasto presso l’abitazione del beneficiario anche dopo che l’attività investigativa era terminata.

La Suprema Corte precisa che ai fini dell’interpretazione dell’art. 33, co. 3, L. n. 104/1992 va evidenziato che la nozione di diritto al permesso per assistenza a familiare disabile (e quella correlativa di “uso distorto” o “abuso del diritto” al permesso) implica un profilo non soltanto quantitativo, bensì anche – e soprattutto – qualitativo.

Sotto il profilo quantitativo va tenuto conto non soltanto delle prestazioni di assistenza diretta alla persona disabile, ma anche di tutte le attività complementari ed accessorie, comunque necessarie per rendere l’assistenza fruttuosa ed utile, nel prevalente interesse del disabile.

In questo senso devono rilevare le attività (e i relativi tempi necessari) finalizzate ad esempio all’acquisto di medicinali, al conseguimento delle relative prescrizioni dal medico di famiglia, all’acquisto di generi alimentari e di altri prodotti per l’igiene, la cura della persona e il decoro della vita del disabile, o infine alla possibile partecipazione di quest’ultimo ad eventi di relazione sociale, sportiva, religiosa etc.

Sotto il profilo qualitativo vanno valutate portata e finalità dell’intervento assistenziale (da parte del dipendente) in favore del familiare disabile, tenuto conto del complessivo contesto, anche relazionale, rispetto ad eventuali strutture sanitarie, pubbliche o private, presso le quali sia necessario espletare accertamenti o effettuare ricoveri.

Dunque deve essere accertato se la condotta contestata in via disciplinare al lavoratore abbia comunque preservato le finalità primarie dell’intervento assistenziale voluto dal legislatore, perché in tal caso il fatto contestato in termini di “uso distorto” o di “abuso del diritto” si rivelerebbe insussistente.

Nell’ambito di questa imprescindibile verifica non sono sufficienti meri dati quantitativi, ma occorre compiere una valutazione complessiva, sia quantitativa che qualitativa, della condotta tenuta dal lavoratore, tenendo altresì conto del contesto in cui quella condotta è stata tenuta.

Ne consegue che il c.d. abuso del diritto potrà configurarsi soltanto quando l’assistenza al disabile sia mancata del tutto, oppure sia avvenuta per tempi così irrisori oppure con modalità talmente insignificanti, da far ritenere vanificate le finalità primarie dell’intervento assistenziale voluto dal legislatore, in vista delle quali viene sacrificato il diritto del datore di lavoro ad ottenere l’adempimento della prestazione lavorativa.

avv. Alberto Tarlao

 

Discriminazione e danno non patrimoniale

Nella pronuncia n. 3488/2025 la Suprema Corte di Cassazione affronta il caso di un lavoratore assunto con contratto a tempo determinato che si era visto negare il diritto alla precedenza nell’assunzione in quanto si era rifiutato di sottoscrivere un verbale di conciliazione con la datrice di lavoro.

Nel corso dell’istruttoria dei giudizi di merito emergeva la chiara circostanza che la datrice di lavoro aveva posto come condizione dalla quale la stabilizzazione non poteva prescindere, la sottoscrizione del verbale di conciliazione.

Risultava dunque accertata la discriminazione nei confronti del lavoratore precario, derivante dalle convinzioni personali manifestate nella resistenza alla sottoscrizione del verbale.

Nella categoria delle convinzioni personali infatti non rientrano solo quelle religiose o politiche ma anche ogni altro pensiero che sia espressione di libertà personale.

La Suprema Corte osserva che il rimedio alle discriminazioni deve rispondere ai requisiti stabiliti dal diritto dell’Unione Europea e deve essere effettivo, proporzionale, dissuasivo.

Pertanto, in tema di discriminazione, il risarcimento del danno non patrimoniale deve essere caratterizzato anche da una connotazione dissuasiva, tanto che può essere riconosciuto nei casi di discriminazione collettiva, anche in assenza di un soggetto immediatamente identificabile.

La non-patrimonialità del diritto leso – per non avere il bene persona un prezzo – comporta che, diversamente da quello patrimoniale, il ristoro pecuniario del danno non patrimoniale non può mai corrispondere alla relativa esatta commisurazione, imponendosene di conseguenza una valutazione equitativa.

Infatti, l’atto discriminatorio è lesivo della dignità umana ed è intrinsecamente umiliante per il destinatario e ciò sorregge adeguatamente l’esercizio del potere discrezionale di valutazione equitativa.

avv. Alberto Tarlao

 

Novità legge di bilancio 2025

Tra gli obiettivi della legge di Bilancio 2025 entrato in vigore il 30 dicembre 2024 L. n. 207, rivestono particolare importanza le numerose novità che impattano sulla tassazione del reddito da lavoro dipendente che decorrono dal periodo d’imposta anno 2025, come di seguito cerco di riepilogare.

 

RIFORMA IRPEF  2025

Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 31 dicembre n.305 del provvedimento in attuazione della legge delega fiscale, viene resa strutturale la rimodulazione degli scaglioni IRPEF cosi come già introdotta in via sperimentale nel corso del 2024.

Pertanto nello specifico sul reddito imponibile si applicano le seguenti aliquote IRPEF, progressive per scaglioni di reddito:

  • Fino a € 28.000 aliquota IRPEF al 23%;
  • Oltre € 28.000 e fino a € 50.000 aliquota IRPEF al 35%;
  • Oltre € 50.000 aliquota IRPEF al 43%.

 

DETRAZIONE LAVORO DIPENDENTE:

Viene reso strutturale quanto già previsto nella Legge di bilancio 2024 in merito all’innalzamento   a 1.955 euro della detrazione per lavoro dipendente per coloro che hanno redditi fino a 15.000 euro.  Le detrazioni fiscali per lavoro dipendente e assimilati previste dal Testo unico sulle imposte sui redditi (art. 13 del D.P.R. 917/1986) consentono ai lavoratori dipendenti (ma anche ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinate e continuativa co.co.co. ed ai percettori di altri redditi assimilati come ad esempio l’indennità di disoccupazione Naspi) di ridurre la pressione fiscale sul loro reddito semplicemente con lo status di lavoratore dipendente. L’ammontare della detrazione per lavoro dipendente spettante ai lavoratori ogni mese in busta paga viene calcolato in rapporto ai giorni di detrazioni spettanti nel mese (compreso sabato e domenica).

RIEPILOGO DETRAZIONI PER LAVORO DIPENDENTE

  • Reddito fino a € 15.000,00

Detrazione annua € 1.955,00 mentre contratto a tempo determinato € 1.380,00

  • Superiore a € 15.000,00 e fino a 28.000,00

Calcolo € 1.910,00 + € 1.190,00*(28.000,00 – redd. complessivo) / (28.000,00-15.000,00)

  • Superiore a € 28.000,00 e fino a 50.000,00

Calcolo € 1.910,00 *(50.000,00 – redd. complessivo) / (50.000,00-28.000,00)

 

NUOVE MISURE DI RIDUZIONE DEL CUNEO FISCALE

Ai fini della riduzione del cuneo fiscale, a fronte della mancata conferma per l’anno 2025 dell’esonero parziale dei contributi a carico dei lavoratori dipendenti (esonero IVS 6% e 7%) viene introdotta una misura fiscale che assume due forme quella di BONUS e di DETRAZIONE.

 

BONUS FISCALE

Consiste in una somma integrativa, che non concorre alla formazione del reddito, riconosciuta ai lavoratori dipendenti, con reddito complessivo non superiore a € 20.000

L’ammontare del bonus si determina applicando al reddito di lavoro dipendente le seguenti percentuali

  • Reddito fino a € 8.500,00  aliquota 7,1%
  • Superiore a € 8.500,00 e fino a 15.000,00  aliquota 5,3%
  • Superiore a € 15.000,00 e fino a 20.000,00 aliquota 4,8%

 

ULTERIORE DETRAZIONE FISCALE

Si tratta di una detrazione fiscale aggiuntiva per i soli titolari di reddito da lavoro dipendente (esclusi quindi i titolari di redditi assimilati) cha hanno un reddito complessivo superiore a € 20.000 ma inferiore a € 40.000 rapportata al periodo di lavoro pari a:

  • 000 € Reddito superiore a € 20.000 ma non a € 32.000
  • Oltre i 32.000 € è ridotta in proporzione all’incremento del reddito, fino ad azzerarsi una volta raggiunta la soglia dei 40.000 €

Il bonus e le detrazioni sono riconosciute in via automatica all’atto dell’erogazione delle retribuzioni rimandando in sede di conguaglio fiscale di fine anno, la spettanza delle stesse. Vengono riconosciute dal datore di lavoro senza preventiva indicazione da parte del lavoratore. Nel caso in cui in sede di conguaglio le somme erogate risultassero non spettanti verranno recuperate nel cedolino in unica soluzione se inferiore a € 60,00 o in 10 rate se l’importo supera € 60,00

 

TRATTAMENTO INTEGRATIVO

Con riferimento al trattamento integrativo D.L. 3/2020 (EX BONUS RENZI) rimangono invariate le condizioni di applicazione nella misura di € 1200 per i soggetti con reddito complessivo fino a € 15.000,00

 

SOGLIA ESENZIONE DEI FRINGE BENEFIT

Anche per i periodi d’imposta 2025 2026 e 2027   è stata confermata l’innalzamento della soglia fiscale dei fringe benefit. In base a quanto previsto dalla normativa ordinaria (art. 51 c. 3 TUIR) il valore è fissato nella misura di € 258,23. Come già previsto dal 2024 si passa a un limite di esenzione di € 2.000,00 per lavoratoti dipendenti con figli fiscalmente a carico e, passa a € 1.000,00 per i lavoratori privi di figli fiscalmente a carico. Rientrano in tale gestione:

  • Valore dei beni ceduti e dei servizi prestati ai lavoratori dipendenti;
  • Le somme erogate o rimborsate per il pagamento delle utenze domestiche, per l’affitto dell’abitazione principale o per gli interessi sul mutuo relativo all’abitazione principale.

 

DETASSAZIONE DEI PREMI DI RISULTATO

Viene confermato dalla Legge di Bilancio anche per gli anni 2025 2026 e 2027 una diminuzione dell’imposta sostitutiva Irpef applicabile ai premi di risultato che viene ridotta dal 10% al 5% nel limite massimo di € 3.000,00 a condizione che nell’anno precedente il reddito di lavoro dipendente non sia stato superiore a € 80.000,00. Possono beneficiare del regime fiscale agevolato i premi di ammontare variabile la cui corresponsione sia legata ad incrementi di produttività, qualità efficienza ed innovazione misurabili e verificabili, e somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa corrisposti in forza dei contratti collettivi, territoriali o aziendali depositati.

 

DEDUCIBILITA’ SPESE TRASFERTE

Fermo restando la disciplina generale in materia di trattamento fiscale delle trasferte al di fuori del comune o all’interno dello stesso, la legge di Bilancio 2025 dispone che a far data dal periodo d’imposta 2025 i rimborsi analitici delle spese di vitto, alloggio, viaggio e trasporto effettuati mediante autoservizi pubblici non di linea (es. taxi servizio noleggio) che vengono sostenute dal lavoratore per le trasferte, non concorrono a formare reddito solo se i pagamenti di tali spese, vengano effettuati con metodi tracciabili tipo carte di debito, di credito e prepagate, assegni bancari e circolari. I rimborsi effettuati in contanti determinano l’assoggettamento fiscale e previdenziale. Sono esclusi da tale diposizione, le spese relative ai trasporti mediante autoservizi di linea per le quali il rimborso può continuare ad essere effettuato anche in contanti.

STUDIO CONSULENZA LAVORO
Cdl Paolo Grimaldi

 

Risoluzione del rapporto di lavoro per assenza ingiustificata

Le dimissioni per fatti concludenti derivanti da assenze ingiustificate del prestatore di lavoro sono le novità previste nell’art. 19 della legge 203/2024 che ha come obiettivo quello di arginare il fenomeno delle assenze strategiche, che costringono il datore di lavoro ad attivare la procedura disciplinare (art. 7 legge 300/70) per arrivare al licenziamento disciplinare. Nell’art. 19 con riferimento alla risoluzione del rapporto di lavoro in caso di assenza ingiustificata che si protrae oltre il termine previsto dal ccnl o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a 15 giorni, comporta la risoluzione del rapporto di lavoro per volontà del lavoratore senza che si necessario applicare la disciplina delle dimissioni telematiche.

E’ opportuno ricordare le disposizioni previste nell’art. 26 del D. Lgs 151/2015 che al fine di arginare l’annosa questione delle dimissioni in “bianco”  ha introdotto nel nostro ordinamento la procedura telematica a cura del lavoratore  sia delle dimissioni, che della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, pena l’inefficacia delle stesse,  attraverso il portale del Ministero del Lavoro.

Conseguenza di questa norma che tutela il lavoratore , ha  purtroppo generato un sistema molto sfruttato negli ultimi tempi a vantaggio degli stessi lavoratori che, maturando l’idea di lasciare il posto di lavoro, in alternativa alle “dimissioni”  che non danno diritto alla percezione della NASPI,  ricorrono  al loro licenziamento, attraverso “l’assenza ingiustificata”  che essendo contestata dal datore di lavoro ricorrendo alle procedure disciplinari previste dal CCNL applicato, generano la sanzione del licenziamento, con il conseguente diritto alla NASPI.

Al fine di evitare questo sistema elusivo, l’art.19 del Collegato del Lavoro ha introdotto una novella a quanto regolato dall’art. 26 del D.LGS 151/2015, dove si precisa che in caso di assenza ingiustificata del lavoratore che si protrae oltre il termine previsto dal CCNL o in mancanza di previsione contrattuale oltre i 15 giorni , il datore deve darne comunicazione all’Ispettorato Nazionale del Lavoro territorialmente competente utilizzando la modulistica presente sul relativo sito INL, che a sua volta verifica la veridicità della stessa comunicazione.

Con riguardo la questione inerente il conteggio delle giornate utili (15 giorni) per l’attuazione delle dimissioni per fatti concludenti, se sono giornate di calendario o di effettivo lavoro, poiché ad oggi non vi è una disposizione da parte del legislatore, si devono considerare necessariamente i giorni lavorabili   come logica di fatto che nelle giornate di calendario in cui non vi è richiesta prestazione lavorativa non si crea “assenza” .

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) con una nota pubblicata il 22 gennaio c.a. ha fornito le istruzioni circa le modalità che il datore di lavoro deve seguire per la comunicazione del modello dimissioni volontarie per assenze ingiustificate da inviare tramite pec. Nella comunicazione si dovranno riportare tutte le informazioni di cui è a conoscenza il datore del lavoro relative al dipendente. Sulla base di tale comunicazione l’ITL avvia una verifica, riservandosi la possibilità di contattare sia il lavoratore interessato che altro personale dell’azienda che possano fornire informazioni utili per accertare le assenze e la loro natura. Questa verifica verrà effettuata entro 30 giorni della ricezione della comunicazione inviata dal datore di lavoro. Sulla base del perdurare dell’assenza ingiustificata e della comunicazione inviata dal datore di lavoro, il rapporto di lavoro si considera risolto per dimissioni volontarie   con conseguente perdita del diritto alle tutele previste per legge in caso di licenziamento.

STUDIO CONSULENZA LAVORO
Cdl Paolo Grimaldi
(Consulente SIASO)

Il lavoro domenicale deve sempre essere specificamente compensato

La Suprema Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 31712/2024 del 10 dicembre 2024, si è espressa sul caso di un gruppo di lavoratori inquadrati come pulitori turnisti con applicazione del CCNL Multiservizi, che richiedevano in giudizio il pagamento a titolo di maggiorazione del 30% dell’ordinaria retribuzione con riferimento al lavoro prestato nel corso delle giornate coincidenti con la domenica.

Il CCNL Multiservizi non indennizza in alcun modo il lavoro domenicale, limitandosi a prevedere un diritto al riposo compensativo per i lavoratori che prestano attività nel corso di tale giornata.

Ad avviso delle Corti di merito non era prevista però alcuna maggiorazione a carattere di ristoro – non necessariamente di ordine economico – ma comunque rappresentante un quid pluris idoneo a compensare la peculiare forma di sacrificio sopportata dai lavoratori occupati la domenica.

La Corte di legittimità, secondo un orientamento costante, ritiene che il lavoro prestato nella giornata di domenica, anche nell’ipotesi di differimento del riposo settimanale in un giorno diverso, deve essere in ogni caso compensato con un quid pluris che, ove non previsto dalla contrattazione collettiva, può essere determinato dal giudice e può consistere anche in benefici non necessariamente economici, salva restando l’applicabilità della disciplina contrattuale collettiva più favorevole ai lavoratori.

Dunque, il lavoratore che presti la propria attività nella giornata di domenica, ha diritto, anche nell’ipotesi di differimento del riposo settimanale in un giorno diverso, ad essere in ogni caso compensato, per la particolare penosità della prestazione lavorativa coincidente con la domenica, con uno specifico quid pluris.

Del resto, il fatto che la contrattazione collettiva non abbia previsto espressamente alcuna maggiorazione in forma indennitaria o salariale per i pulitori turnisti non è qualificabile come conseguenza di una volontà delle parti collettive diretta ad escludere la possibilità di attribuire i vantaggi suppletivi previsti in via generale dall’ordinamento ai lavoratori domenicali.

La prospettazione da parte dei lavoratori interessati di una serie di disagi e sacrifici incidenti su interessi umani e familiari compromessi dal lavoro domenicale, ha portato i giudici di merito al riconoscimento di maggiorazione del 30% della retribuzione giornaliera per le giornate di lavoro domenicale, essendo emersi, in fatto, la percezione della medesima retribuzione oraria spettante ai lavoratori non turnisti e il godimento del medesimo numero di giorni di riposo settimanale per tutti i dipendenti, turnisti e non, rimanendo così il riposo compensativo, di per sé solo, insufficiente a compensare il disagio dovuto alla prestazione lavorativa in giorno festivo domenicale.

avv. Alberto Tarlao

No all’utilizzo del whistleblowing per fini personali

La pronuncia n. 1880/2025 della Suprema Corte tratta del caso di un lavoratore che aveva inviato due esposti alla Procura della Repubblica, rappresentando uno scenario privo di fondamento e abusando del proprio ufficio al fine di ledere l’onorabilità professionale della dirigenza dell’Ente pubblico di appartenenza.

Per quanto di interesse, la difesa del dipendente invocava la disciplina in materia di whistleblowing, per cui il dipendente che abbia segnalato condotte illecite delle quali sia venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto al altra misura organizzativa avente effetti negativi diretti o indiretti sulle condizioni di lavoro, in ragione della segnalazione effettuata.

La Cassazione osserva che l’istituto del whistleblowing risponde ad una duplice ratio, consistente da un lato nel delineare un particolare status giuslavoristico in favore del soggetto che segnala illeciti e, dall’altro, nel favorire l’emersione, dall’interno delle organizzazioni pubbliche, di fatti illeciti, promuovendo forme più incisive di contrasto alla corruzione.

Il dipendente virtuoso non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto a misure discriminatorie, dirette o indirette, aventi effetti sulle condizioni di lavoro, per motivi collegati alla segnalazione effettuata, che deve avere ad oggetto una condotta illecita, non necessariamente penalmente rilevante.

Nel corso del giudizio, veniva accertato un interesse personale del dipendente alla presentazione delle denunce, in quanto l’Ente aveva gestito un contenzioso in contrasto con le indicazioni che il lavoratore in qualità di responsabile del procedimento aveva fornito all’Amministrazione.

Si era rivelata, dunque, la presenza di un interesse personale che portava ad escludere l’applicazione del citato art. 54-bis del d.lgs. n. 165/2001.

Non si è in presenza di una segnalazione ex art. 54-bis, D.Lgs. 165 del 2001, scriminante, allorquando il segnalante agisca per scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti di superiori (in tal senso vi è anche giurisprudenza amministrativa).

L’istituto del whistleblowing non è utilizzabile per scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti di superiori.

In materia, è stato chiarito inoltre che le segnalazioni whistleblowing non possono riguardare lamentele di carattere personale del segnalante o richieste che attengono alla disciplina del rapporto di lavoro o ai rapporti con superiori gerarchici o colleghi, disciplinate da altre procedure.

avv. Alberto Tarlao

L’interesse dei quadri ad un sistema di coinvolgimento dei lavoratori nella gestione delle aziende

Qualche novità nella legge di bilancio 2025.

L’articolo 1, comma 457 della legge di bilancio per il 2025 stanzia 70 milioni di euro per il 2025 e 7 milioni per il 2026 per la costituzione di un fondo per il finanziamento della partecipazione dei lavoratori al capitale alla gestione ed ai risultati di impresa.

Lo stanziamento viene incontro al progetto di legge già presentato dalla CISL nonché alle osservazioni formulate dal sindacato Unionquadri nel corso dell’audizione in tema di legge di bilancio tenutasi l’11 dicembre 2024.

Testualmente riportava il documento di Unionquadri presentato all’incontro con il Governo:

“In merito al coinvolgimento dei lavoratori nella gestione aziendale, ricordiamo come l’articolo 45 della Costituzione stabilisca il principio della partecipazione dei lavoratori alla gestione aziendale.

Ricordiamo come l’articolo 4 della legge 92/2012 conteneva una delega per il governo a realizzare un tanto. La delega in realtà decadde per il mancato intervento del Governo.”

L’interesse sindacale per tale tema proviene in primo luogo da quelle parti sindacali che non intendono ricorrere a mere strategie di contrapposizione, favorendo anche momenti di collaborazione.

Per quanto riguarda Unionquadri, interesse di è anche dato dalla particolare collocazione professionale della categoria spesso vicina e quindi più sensibile alle vicende aziendali e spesso in grado di supportarne la gestione.

Non va peraltro dimenticato come nel nostro ordinamento l’articolo 46 della Costituzione riporti testualmente “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”.

Il principio non è mai stato attuato.

Non va dimenticato come in diversi periodi di crisi economica, si sia tornato a riproporre il tema per promuovere la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese senza però ottenere risultati concreti.

Il principio della Cogestione.

Per affrontare in maniera anche sommaria il tema è innanzitutto necessario chiarire i termini con i quali vengono individuate diverse forme di partecipazione dei lavoratori alle vicende aziendali.

In primo luogo, ricordiamo la cosiddetta partecipazione agli utili (Gains Sharing) che consiste nella distribuzione degli utili ai lavoratori in base ad una quota individuale di partecipazione.

Questo istituto, a differenza di quello che definiremo Cogestione non prevede normalmente una partecipazione organizzata alla direzione dell’impresa.

Diverso, anche perché sviluppato in un contesto politico molto diverso da quello attuale è il concetto di autogestione delle aziende proposto nel dopoguerra nell’allora Jugoslavia da Milovan Djilas Edvard Kardelj e Boris Kidric e fatta propria dal governo di quel paese.

Il sistema in quest’ultimo caso, non presupponeva una reale democratizzazione del sistema politico ed economico nel persistere di un sistema a partito unico che ignorava la libertà economica e d’impresa e dunque, non pare rapportabile alle attuali esigenze.

Attualmente ed in sintesi, si possono individuare almeno quattro differenti tipologie di partecipazione dei lavoratori all’azienda:

  • quella di tipo “organizzativo/gestionale”, da intendersi come presenza di una rappresentanza dei lavoratori all’interno degli organi di controllo e decisionali dell’azienda (es. presenza di un rappresentante indicato o eletto dai lavoratori all’interno del Consiglio di Amministrazione);
  • quella di tipo “informativo/consultivo”, che può essere considerata come il diritto dei lavoratori (o meglio, dei loro rappresentanti) alla conoscenza dei piani aziendali passati, presenti e futuri, anche come condizione vincolante rispetto alle decisioni da assumere, con altresì possibilità di elaborare suggerimenti e controproposte;
  • quella di tipo “economico”, che mira a far partecipare i lavoratori meritevoli dei risultati e del benessere dell’azienda, promuovendo una parziale redistribuzione degli utili aziendali sulla base delle prestazioni effettivamente svolte dagli stessi lavoratori, rendendoli partecipi del successo dell’azienda;
  • quella di tipo “finanziario”, con la possibilità di accedere ad un azionariato diretto dei dipendenti delle aziende per cui lavorano, in modo da indirizzarle anche verso un assetto proprietario più condiviso, con forte responsabilizzazione e creazione di spirito d’appartenenza in capo ai singoli lavoratori.

La prima, di cui parleremo, da intendersi quale cogestione, è la forma più attiva e significativa di partecipazione dei lavoratori all’azienda.

Il modello tedesco.

Il sistema di partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese trova le proprie origini nelle economie occidentali e principalmente in Germania.

Esso fonda le proprie radici nella Repubblica di Weimar (1919 – 1933) dove si cercò di realizzare l’eguaglianza capitale – lavoro sulla base di un patto sociale.

Era così riconosciuto ai lavoratori un ruolo centrale nell’ambito dei processi economici imprenditoriali mediante la possibilità di istituire “una rappresentanza legale nei consigli operai, nei consigli di distretto, nonché nel consiglio operaio nazionale.”

Su tale base, si instaurava un sistema a doppio canale di cui uno rappresentativo, sindacale e rivendicativo e l’altro partecipativo e gestionale soprattutto nelle grandi imprese definito “Mitbestimmung”.

Il sistema destinato a cadere con l’avvento del Nazionalsocialismo e con il secondo conflitto mondiale, riapparve e si stabilizzò alla fine della guerra attraverso l’approvazione di una serie di leggi federali.

Si evolvevano ed in parte confluivano parallelamente in tal modo il diritto societario, il diritto d’impresa e quello sindacale e del lavoro.

In tal modo tramite un doppio canale, i lavoratori partecipano alle decisioni della società attraverso due organi: il c.d. Consiglio di Fabbrica ed il c.d. Consiglio di Sorveglianza.

In particolare, il modello tedesco, noto come Mitbestimmung, è una vera e propria parte caratterizzante del sistema di relazioni industriali del paese.

Mitbestimmung può essere tradotto come “codeterminazione” e si riferisce ad una partecipazione paritaria di dipendenti, azionisti e dirigenti alla gestione della politica aziendale ed alle conseguenti decisioni.

In effetti, il modello tedesco prevede che l’economia e le strutture produttive lungi dal costituire esclusivamente un luogo di scontro di interessi configgenti tra capitale e lavoro, dessero invece vita ad una vera e propria “Gemeinschaft”, una “comunità” avente il fine comune di garantire benessere e prosperità per i suoi componenti.

La partecipazione dei lavoratori in Germania si compone di due livelli:

  • la “betriebliche Mitbestimmung”, partecipazione a livello di unità produttiva, che in Italia si potrebbe tradurre o intendere come “partecipazione o cogestione aziendale”;
  • la “unternehmerische Mitbestimmung”, partecipazione a livello di organi societari d’impresa, che indica la parte gestionale che è adibita all’impiego delle risorse prodotte dalla parte produttiva, traducibile come “partecipazione o cogestione societaria”.

A sottolineare il valore e l’importanza della partecipazione dei lavoratori, lo stesso art. 9 del Grund Gesetz, la Carta costituzionale varata nel 1949, dispone l’ordinamento e la pacificazione del mondo del lavoro mettendo sullo stesso piano sia la contrapposizione degli interessi sia la volontà comune di collaborazione.

Per tale motivo, le società in Germania sono soggette alla Mitbestimmung (co-determinazione) se impiegano più di 500 dipendenti.

Come già accennato i lavoratori partecipano alle decisioni della società attraverso due organi: il c.d. Consiglio di Fabbrica ed il c.d. Consiglio di Sorveglianza.

Se il primo rappresenta i lavoratori nelle singole sedi aziendali ed è formato interamente da dipendenti, il secondo è invece un organo aziendale che fa capo alla sede centrale, composto per metà dai rappresentanti dei lavoratori e per metà dagli azionisti.

Il modello Volkswagen.

Il più noto modello di partecipazione dei lavoratori all’impresa è quello del Gruppo Volkswagen.

Uno dei punti di forza del modello Volkswagen è sicuramente l’elevato grado di percentuale di lavoratori iscritti al sindacato IG METALL, che rappresenta buona parte dei dipendenti.

Il modello di relazioni industriali del Gruppo Volkswagen è improntato sulla Carta dei diritti dei lavoratori che la multinazionale tedesca ha sottoscritto a livello globale e che prevede forme intense di coinvolgimento partecipativo in tutte le aziende che fanno capo al gruppo, anche nei paesi diversi dalla Germania.

Detta Carta definisce i diritti d’informazione e di partecipazione e si pone come obiettivo quello di instaurare un rapporto di reciproca fiducia e rispetto tra le parti.

Tra i molti principi contenuti nella Carta, che richiama nei contenuti e nei principi gran parte delle Convenzioni OIL stipulate, è interessante leggere come il Gruppo Volkswagen riconosca espressamente il diritto di contrattazione collettiva e che di conseguenza il Gruppo Volkswagen e i sindacati o le rappresentanze dei lavoratori conducano insieme un dialogo sociale, di cui le contrattazioni collettive rappresentano una particolare forma.

Il sistema tedesco di cogestione delle aziende ha interessato la Comunità Europea.

La Cogestione nelle politiche comunitarie.

Le istituzioni europee nel corso degli anni 70 pensarono di poter agevolmente introdurre nei singoli stati il modello partecipativo tedesco, ma ben presto si videro costrette a compiere dei passi indietro anche a causa della profonda diversità delle relazioni sindacali nei diversi stati europei.

In ogni caso, le istituzioni comunitarie continuavano nell’obiettivo del coinvolgimento dei lavoratori nella gestione delle imprese, cercando di avviare un processo volto ad uniformare le discipline dei singoli stati dal punto di vista del diritto societario e delle relazioni industriali mediante numerose direttive volte perlomeno ad agevolare l’introduzione del modello partecipativo presente in Germania.

Si arrivò però soltanto ad una serie di direttive volta ad introdurre a livello comunitario obblighi di informazione e consultazione in materia di relazioni industriali finalizzate a favorire la partecipazione del personale alla gestione delle imprese.

Il processo si protrasse sino alle direttive relative alla Società Europea ed ai Comitati Aziendali Europei che consolidarono dei principi minimi di informazione e partecipazione nelle aziende nazionali aventi rilevanza europea.

La Cogestione nell’ordinamento italiano.

Per quanto riguarda invece l’Italia, nel tempo vi sono stati forti resistenze alla diffusione delle forme partecipative e pertanto l’art. 46 della Carta Costituzionale deve considerarsi come una norma rimasta sostanzialmente inapplicata.

Il codice civile all’articolo 2349 prevede l’ipotesi di assegnazione degli utili ai prestatori di lavoro delle società, anche mediante l’emissione di speciali categorie di azioni.

Lo stesso articolo prevede inoltre la possibile attribuzione ai dipendenti di diritti patrimoniali ed amministrativi con esclusione del voto nell’assemblea generale riservato agli azionisti.

In particolare, deve essere ricordato il tentativo operato dalla c.d. “Riforma Fornero”, legge n. 92/2012, la quale aveva delegato il governo ad adottare uno o più decreti finalizzati a favorire le forme di coinvolgimento dei lavoratori nell’impresa, attivate attraverso la stipulazione di un contratto collettivo aziendale, nel rispetto di principi e criteri direttivi previsti dalla legge (art. 4 c. 62 legge n. 92/2012).

Tuttavia, anche tale intervento non ha trovato concreta e capillare attuazione.

A livello legislativo, il DLGS 11/2017 che tratta delle Imprese Sociali, il coinvolgimento dei lavoratori è indicato all’articolo 11 come elemento fondamentale e necessario.

Interessante nel dopoguerra ed anni successivi (1945 – 1971), il cosiddetto modello Olivetti, azienda nella quale era costituito un Consiglio di Gestione coinvolto nei processi industriali e di organizzazione del lavoro in un’azienda tanto radicata sul territorio, quanto proiettata sui mercati internazionali.

Conclusioni.

Oggi, anche grazie alle nuove sfide della digitalizzazione ed i recenti sviluppi dell’economia, con un passaggio a quella che è stata definita l’era della “condivisione” (sharing economy), potrebbero essere state gettate le basi per la revisione del modello conflittuale su cui, storicamente, si sono rette le relazioni industriali e dunque vi sarebbero concrete possibilità di un recupero dello strumento della partecipazione dei lavoratori all’impresa.

In effetti, con l’avvento della c.d. quarta rivoluzione industriale, uno degli effetti più rilevanti è stato quello di considerare non più la prestazione lavorativa nella sua mera esecuzione materiale, quindi come mera collaborazione passiva, strettamente legata alle mansioni assegnate al lavoratore bensì la necessità di una vera e propria partecipazione attiva da parte dei lavoratori nella generazione dei valori aziendali.

In effetti, il modello storico delle relazioni industriali è principalmente basato sulla forte asimmetria tra potere direttivo e dovere di collaborazione, fondato sulla prerogativa dell’imprenditore di dirigere l’azienda in coerenza al principio di libertà di iniziativa economica privata, considerando i rischi assunti esclusivamente a carico dell’impresa stessa.

Oggi, la possibilità di partecipazione dei lavoratori alle vicende d’impresa potrebbe da un lato attenuare gli effetti del disequilibrio in termini di condizioni di lavoro e, dall’altro, essere ulteriore strumento di eventuale modifica dell’esercizio del potere direttivo in una chiave maggiormente collaborativa, tenuto dovuto conto altresì dell’evoluzione ed attenuazione del concetto di subordinazione registratosi negli ultimi anni.

UNIONQUADRI sindacato dei quadri direttivi, professionisti e ricercatori delle aziende rivolge la propria attenzione agli importanti mutamenti che coinvolgono la tecnologia, l’economia ed il mondo del lavoro e si pone come tramite tra le fasce di lavoratori maggiormente professionalizzate e le direzioni aziendali in un’ottica di collaborazione nell’interesse dell’azienda intesa anche come comunità.

Ne deriva l’interesse di UNIONQUADRI per ogni forma utile di incontro tra interessi del lavoro e dell’impresa.

avv. Fabio Petracci

Lavoro precario

Le principali novità introdotte dal DDL Lavoro

Il disegno di legge recante “Disposizioni in materia di lavoro (A.S. 1264)” è stato approvato dal Senato in data 11 dicembre 2024 ed attende di essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale.

Vediamo di seguito alcune delle principali novità introdotte.

Assenze ingiustificate del lavoratore e risoluzione del rapporto

L’art. 19 del disegno di legge aggiunge il comma 7-bis all’art. 26 del d.lgs. n. 151/2015, stabilendo che in caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni, il datore di lavoro ne dà comunicazione alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, che può verificare la veridicità della comunicazione medesima.

Il rapporto di lavoro si intende quindi risolto per volontà del lavoratore senza che sia necessario formalizzare con modalità telematiche le dimissioni e senza che il lavoratore ottenga l’accesso alla NASpI.

Nel caso in cui il lavoratore dimostri l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza, non trovano applicazione le dimissioni per fatti concludenti.

Periodo di prova

All’articolo 7, comma 2, del d.lgs. n. 104/2022 (c.d. Decreto Trasparenza), dopo il primo periodo sono inseriti i seguenti:

Fatte salve le disposizioni più favorevoli della contrattazione collettiva, la durata del periodo di prova è stabilita in un giorno di effettiva prestazione per ogni quindici giorni di calendario a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro.

In ogni caso la durata del periodo di prova non può essere inferiore a due giorni né superiore a quindici giorni, per i rapporti di lavoro aventi durata non superiore a sei mesi, e a trenta giorni, per quelli aventi durata superiore a sei mesi e inferiore a dodici mesi”.

Vengono dunque stabiliti criteri univoci per la durata del periodo di prova, con un criterio meramente matematico, da applicare indistintamente a tutte le professionalità e mansioni, senza che venga, quindi, prevista alcuna distinzione di inquadramento del lavoratore.

Contratto misto

L’art. 17 del disegno di legge prevede un regime fiscale di vantaggio a fronte della stipulazione di un “contratto di lavoro misto”.

Infatti è prevista una deroga al divieto di applicazione del regime forfetario per le partite IVA previsto per lavoratori che svolgono attività libero-professionali, che siano titolari sia di un rapporto di lavoro subordinato, sia di lavoro autonomo (incluse le collaborazioni esercitate nelle forme di cui all’articolo 409, n. 3 c.p.c.) a favore di datori di lavoro che impiegano più di 250 dipendenti, dai quali sono contestualmente assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo parziale e indeterminato “con orario compreso tra il 40% ed il 50% del tempo pieno previsto dal CCNL.

Dunque, lavoratore e datore di lavoro divengono parte, contemporaneamente, di un contratto di lavoro subordinato e di un contratto di lavoro autonomo.

Il contratto deve tuttavia essere certificato dinanzi agli organismi preposti come condizione di legittimità dell’operazione contrattuale.

L’accertamento qualificato mediante certificazione viene posto come garanzia al fine di evitare che i due rapporti di lavoro finiscano per coincidere, venendo ricondotti di fatto a un unico rapporto di lavoro subordinato.

Conciliazioni a distanza

Con l’obbiettivo di agevolare l’accesso ai servizi di conciliazione e ridurre i costi mantenendo comunque l’affidabilità delle procedure, viene confermata la legittimità del collegamento tramite piattaforme digitali per i procedimenti di conciliazione in materia di lavoro di cui agli articoli 410, 411 e 412-ter c.p.c.

La norma assume particolare rilevanza ai sensi della recente pronuncia della Corte di Cassazione n. 10065/2024, che ha escluso che la sede aziendale possa rappresentare una c.d. “sede protetta” per espletare un tentativo di conciliazione in quanto non avrebbe “il carattere di neutralità indispensabile a garantire, unitamente alla assistenza prestata dal rappresentante sindacale, la libera determinazione della volontà del lavoratore”.

avv. Alberto Tarlao