In sintesi approssimativa, potremmo definire l’intelligenza artificiale come la facoltà e l’abilità di delegare ad una macchina le capacità umane di apprendimento, ragionamento, creatività.
In concreto e grazie all’acquisizione di queste doti, l’intelligenza artificiale riesce a pianificare ragionamenti e azioni adattandovi il relativo comportamento.
In maggior dettaglio, l’intelligenza artificiale consente non solo l’acquisizione di dati e informazioni, ma anche l’interazione con l’esterno mediante il raggiungimento di obiettivi ed il rispetto di vincoli anche al fine di appropriate decisioni, realizzando l’intelligenza artificiale veri e propri processi decisionali.
Come si confronta una simile evoluzione con il mondo del lavoro?
L’attuale mondo del lavoro è segmentato per categorie (articolo 2095 del codice civile – contrattazione collettiva) che rispecchiano il livello di professionalità di ciascun soggetto.
Partiremo dalla rivoluzione informatica che in qualche modo è intervenuta principalmente sulle professionalità medio – basse, permettendo l’immagazzinamento di ogni tipologia di dati e la loro diffusione per preconizzare gli effetti dell’intelligenza artificiale destinata a gestire e sostituire l’azione intellettuale.
Come è destinata a rapportarsi con il mondo del lavoro?
Da quanto si qui esposto, gli effetti dell’intelligenza artificiale paiono destinati a ripercuotersi su ogni tipo di professionalità, ma in particolare su quelle medio – alte, quali quadri, dirigenti, professionisti con tutta una serie di opportunità e rischi che andremo ad esaminare.
Il primo aspetto che prende corpo è quello della sostituzione robotica che potrebbe coinvolgere molti soggetti anche qualificati del mondo del lavoro.
Ma, anche altre problematiche sono indotte dal cambio degli schemi e delle metodologie del lavoro.
Ci riferiamo a quel fenomeno che viene definito quale tecno stress, diritto alla disconnessione, invasività delle forme di lavoro a distanza, ma soprattutto dalla necessità per il lavoratore di doversi misurare e di dover seguire nuove impostazioni attuate dalla macchina.
Questa sfida non può naturalmente risolversi in un rifiuto del nuovo o magari in una iper regolamentazione delle attività.
Alcune correnti di pensiero come Ichino (relazione presentata al convegno promosso dall’Associazione Giuslavoristi Italiani, Torino, 15 settembre 2017) presentano una visione sostanzialmente ottimistica degli effetti del progresso tecnologico sul lavoro.
Afferma testualmente lo studioso “Sono portato a dar credito alla visione della “corsa tra automazione e creazione di nuovi mestieri” come un fenomeno ciclico: ogni ventata di innovazione tecnologica determina una riduzione del costo del lavoro che a sua volta incentiva l’invenzione di nuove funzioni da attribuire al lavoro umano, donde un freno ai nuovi investimenti in innovazione tecnologica”.
Si ravvisa invece la necessità di modificare il contesto lavorativo per evitare la spersonalizzazione dello stesso ed attuare misure idonee a sviluppare la potenzialità del capitale umano, quali la formazione continua, il benessere lavorativo, la specifica attenzione al lavoro intellettuale e soprattutto alle professionalità medio alte.
Grande importanza è attribuita dagli studiosi ed in particolare dal già citato Ichino al Welfare aziendale soprattutto sotto l’aspetto della formazione continua dei dipendenti atta ad evitare l’obsolescenza delle professionalità se non addirittura il riposizionamento del lavoratore nell’ambito del contratto di lavoro, favorendone l’evoluzione verso un contratto ibrido formato da due parti, una collettiva deputata alla tutela ed alla sicurezza ed un’altra di natura individuale attenta all’evolversi della professionalità ed ai relativi mutamenti.
Nel trarre queste conclusioni si ritiene che alla fine la tecnologia sia destinata a supportare il lavoro umano anziché a sostituirlo.
Viene così citata la telemedicina, i controlli che assistono un pilota d’aereo o di automobile mediante il computer, la possibilità di lavoro, grazie alle nuove tecnologie, di entrare nel mondo del lavoro anche per i disabili.
In sostanza, qualsiasi conclusioni si vogliano trarre non si può negare il ruolo di propulsione verso il nuovo e di salvaguardia della professionalità rappresentato dal Lifelong Learning come da raccomandazione del Consiglio d’Europa del 22 maggio 2018 (2018/C 189/01).
Fabio Petracci