Coronavirus

Tutela del consumatore, scrive l’avvocato Laura Aramini del Centro Studi Viaggi annullati per coronavirus: il settore turistico in bilico tra richieste di rimborsi e voucher Avv. Laura Aramini (Konsumer): “Il vettore deve procedere al rimborso o emettere un voucher, ma si tratta di una misura che tutela il venditore, non certo il consumatore”

Tra i primi effetti dell’emergenza da covid-19 sull’economia italiana va indubbiamente segnalata la cancellazione di viaggi e vacanze. L’impossibilità di spostarsi, ma anche la paura di entrare in contatto con estranei e focolai, ha portato migliaia di persone a disdire le prenotazioni nel breve periodo, ma anche quelle effettuate per i mesi estivi.

Molti turisti hanno lamentato la difficoltà di ottenere il rimborso da parte dell’agenzia o del portale presso il quale avevano effettuato l’acquisto, che avevano offerto soltanto di posticipare le date o di emettere un voucher. In effetti, ci troviamo oggi a vivere in una situazione che non si era mai verificata prima e, per questo, genera incertezza in diversi campi.

Con il decreto-legge del 2 marzo 2020, è stato stabilito all’art. 28 il diritto al rimborso in favore di chi abbia acquistato un biglietto o un pacchetto turistico, senza poter effettuare il viaggio o la vacanza per motivazioni connesse all’epidemia derivante da COVID 19. – Ha dichiarato l’Avvocato Laura Aramini, dell’associazione KonsumerIl vettore, dunque, entro quindici giorni dalla comunicazione effettuata dal cliente, dovrà procedere al rimborso del corrispettivo versato o emettere un voucher di pari importo,utilizzabile entro un anno dall’emissione. Questo, dunque, non dovrebbe lasciare spazio ad equivoci, ma la questione dei voucher sembrerebbe, di fatto, tutelare solo il venditore e non certo l’acquirente.”

Secondo Konsumer, questa norma, contenuta in un decreto-legge della cui legittimità secondo diversi costituzionalisti c’è da dubitare, impedisce ai consumatori di poter recuperare il denaro speso, consistente  talvolta in i somme ingenti, obbligandoli a fruire di viaggi in tempi da loro non scelti che, magari, non si sposano con i loro impegni o con il desiderio di restare a casa in un momento così particolare.

Dopo aver attentamente studiato la disposizione,Konsumer ha deciso di mettere le sue sedi a disposizione di tutti i passeggeri e turisti che vogliono ottenere l’immediato rimborso del prezzo pagato, in quanto crede che siano casi in cui  il cliente abbia diritto a ricevere la restituzione di quanto versato, senza dover attendere  un voucher.

Coronavirus

CORONA VIRUS E SICUREZZA SUL LAVORO – SE LAVORO E CONTRAGGO IL VIRUS.

CORONA VIRUS E SICUREZZA SUL LAVORO.

Commento al protocollo condiviso di regolamentazione delle misure 

per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro e brevi osservazioni in tema di sicurezza e responsabilità del datore di lavoro

In data 14 marzo 2020, è stato sottoscritto da Governo, sindacati ed associazioni datoriali un “Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”, in attuazione della misura, contenuta all’articolo 1, comma primo, numero 9), del DPCM 11 marzo 2020, che – in relazione alle attività professionali e alle attività produttive – raccomanda intese tra organizzazioni datoriali e sindacali. 

Nella premessa del Protocollo viene precisato che il documento contiene le linee guida condivise tra le Parti per agevolare le imprese nell’adozione di protocolli di sicurezza anti-contagio, considerato che la prosecuzione delle attività produttive può avvenire esclusivamente solo in presenza di condizioni che assicurino ai lavoratori adeguati livelli di protezione.

Il testo del documento si suddivide in n. 13 punti, che analizzeremo partitamente.

Il punto 1) è dedicato all’informazione; ciascuna azienda, attraverso le modalità più idonee ed efficaci, informa tutti i lavoratori e chiunque entri in azienda circa le disposizioni delle Autorità, consegnando e/o affiggendo all’ingresso e nei luoghi maggiormente visibili dei locali aziendali appositi depliantinformativi, con particolare riferimento:

  • All’obbligo di rimanere al proprio domicilio in presenza di febbre (oltre 37.5°) o altri sintomi influenzali e di chiamare il proprio medico di famiglia e l’autorità sanitaria;
  • Alla consapevolezza e all’accettazione del fatto di non poter fare ingresso o di poter permanere in azienda e di doverlo dichiarare tempestivamente laddove, anche successivamente all’ingresso, sussistano le condizioni di pericolo
  • All’impegno a rispettare tutte le disposizioni delle Autorità e del datore di lavoro nel fare accesso in azienda.
  • All’impegno ad informare tempestivamente e responsabilmente il datore di lavoro della presenza di qualsiasi sintomo influenzale durante l’espletamento della prestazione lavorativa, avendo cura di rimanere ad adeguata distanza dalle persone presenti.

Il successivo punto 2) riguardale modalità d’ingresso in azienda. Il personale, prima dell’accesso al luogo di lavoro potrà – seppur nel rispetto della disciplina vigente in materia di trattamento dei dati personali – essere sottoposto al controllo della temperatura corporea. Nel caso di controllo e rilevazione di temperatura corporea superiore ai 37,5°, non sarà consentito l’accesso ai luoghi di lavoro.

Ancora, il datore di lavoro deve informare preventivamente sia il personale sia chi intende fare ingresso in azienda, della preclusione dell’accesso a chi, negli ultimi 14 giorni, abbia avuto contatti con soggetti risultati positivi al COVID-19 o provenga da zone a rischio secondo le indicazioni dell’OMS.

Il punto 3) è relativo alle modalità di accesso in azienda dei fornitori esterni. Per l’accesso di questi ultimi è necessario individuare apposite procedure di ingresso, transito e uscita, mediante modalità, percorsi e tempistiche predefinite, al fine di ridurre le occasioni di contatto con il personale in forza nei reparti/uffici coinvolti.

Ancora, gli autisti dei mezzi di trasporto dovranno preferibilmente rimanere a bordo dei propri mezzi; a costoro non è consentito l’accesso agli uffici aziendali per nessun motivo. Per le necessarie attività di approntamento delle attività di carico e scarico, il trasportatore dovrà in ogni caso attenersi alla rigorosa distanza di un metro.

Per fornitori/trasportatori e/o altro personale esterno l’azienda dovrà individuare/installare servizi igienici dedicati, prevedendo contestualmente il divieto di utilizzo dei servizi igienici a disposizione del personale dipendente oltre a garantire una adeguata pulizia giornaliera dei medesimi.

Va ridotto l’accesso ai visitatori esterni e, qualora l’ingresso fosse necessario (es. ditte di pulizia) questi lavoratori esterni dovranno sottostare a tutte le regole aziendali, ivi comprese quelle per l’accesso ai locali aziendali.

Nel caso sia presente un servizio di trasporto organizzato dall’azienda va garantita e rispettata la sicurezza dei lavoratori lungo ogni spostamento.

Viene altresì specificato che le norme del Protocollo si estendono anche alle aziende in appalto.

Al punto 4) si tratta della pulizia e sanificazione in azienda. In particolare, l’azienda assicura la pulizia giornaliera e la sanificazione periodica dei locali, degli ambienti, delle postazioni di lavoro e delle aree comuni e di svago. Nel caso di presenza di una persona con COVID-19 all’interno dei locali aziendali, si procede alla pulizia e sanificazione ed alla ventilazione dei locali.

Viene richiesto di garantire la pulizia a fine turno e la sanificazione periodica di tastiere, schermi touch, mouse con adeguati detergenti, sia negli uffici, sia nei reparti produttivi 

Ancora, l’azienda, in ottemperanza alle indicazioni del Ministero della Salute e secondo le modalità ritenute più opportune, può organizzare interventi particolari/periodici di pulizia ricorrendo agli ammortizzatori sociali (anche in deroga).

Il punto 5) è dedicato alle precauzioni igieniche personali da adottare. È obbligatorio che le persone presenti in azienda adottino tutte le precauzioni igieniche, in particolare per le mani; in tal senso, è raccomandata la frequente pulizia delle mani con acqua e sapone. In tal senso, l’azienda mette a disposizione idonei mezzi detergenti.

Al punto 6) sono contenute le prescrizioni per i DPI (Dispositivi di Protezione Individuale). L’adozione delle misure di igiene e dei dispositivi di protezione individuale è fondamentale e, vista l’attuale situazione di emergenza, è evidentemente legata alla disponibilità in commercio. Pertanto, le mascherine dovranno essere utilizzate in conformità a quanto previsto dalle indicazioni dell’OMS. In caso di difficoltà di approvvigionamento e alla sola finalità di evitare la diffusione del virus, potranno essere utilizzate mascherine la cui tipologia corrisponda alle indicazioni dall’autorità sanitaria.

Peraltro, qualora il lavoro imponga di lavorare a distanza interpersonale minore di un metro e non siano possibili altre soluzioni organizzative è comunque necessario l’uso delle mascherine e di altri dispositivi di protezione (guanti, occhiali, tute, cuffie, camici, ecc…) conformi alle disposizioni delle autorità scientifiche e sanitarie. 

Considerata la situazione, è favorita la preparazione da parte dell’azienda del liquido detergente secondo le indicazioni dell’OMS. 

Il punto 7) è relativo alla gestione degli spazi comuni in azienda. In tal senso, l’accesso agli spazi comuni, è contingentato, con la previsione di una ventilazione continua dei locali, di un tempo ridotto di sosta all’interno di tali spazi e con il mantenimento della distanza di sicurezza di 1 metro tra le persone che li occupano. 

Inoltre, occorre provvedere alla organizzazione degli spazi e alla sanificazione degli spogliatoi per lasciare nella disponibilità dei lavoratori luoghi per il deposito degli indumenti da lavoro e garantire loro idonee condizioni igieniche sanitarie ed occorre garantire la sanificazione periodica e la pulizia giornaliera, con appositi detergenti dei locali mensa, delle tastiere dei distributori di bevande e snack. 

Il punto 8) è dedicato all’organizzazione aziendale. Per il periodo d’emergenza, le imprese potranno, avendo a riferimento quanto previsto dai CCNL e favorendo così le intese con le rappresentanze sindacali aziendali, disporre la chiusura di tutti i reparti diversi dalla produzione o, comunque, di quelli dei quali è possibile il funzionamento mediante il ricorso allo smart working, o comunque a distanza nonché procedere ad una rimodulazione dei livelli produttivi ed assicurare un piano di turnazione dei dipendenti dedicati alla produzione con l’obiettivo di diminuire al massimo i contatti e di creare gruppi autonomi, distinti e riconoscibili. 

Con riguardo a tutte quelle attività che possono essere svolte presso il domicilio o a distanza viene raccomandato di utilizzare lo smart working. Nel caso vengano utilizzati ammortizzatori sociali, anche in deroga, deve sempre essere valutata la possibilità di assicurare che gli stessi riguardino l’intera compagine aziendale, se del caso anche con opportune rotazioni.

Viene raccomandato di utilizzare in via prioritaria gli ammortizzatori sociali disponibili nel rispetto degli istituti contrattuali (par, rol, banca ore) generalmente finalizzati a consentire l’astensione dal lavoro senza perdita della retribuzione e, nel caso l’utilizzo dei predetti istituti non risulti sufficiente, si utilizzeranno i periodi di ferie arretrati e non ancora fruiti.

Da ultimo, sono sospese e annullate tutte le trasferte/viaggi di lavoro nazionali e internazionali, anche se già concordate o organizzate 

Il punto 9) riguarda la gestione dell’ingresso e uscita dei dipendenti. Sono favoriti orari di ingresso/uscita scaglionati in modo da evitare il più possibile contatti nelle zone comuni e, se possibile, occorre dedicare una porta di entrata e una porta di uscita dalle predette zone comuni e garantire la presenza di detergenti segnalati da apposite indicazioni.

Il punto 10) è relativo alla gestione degli spostamenti interni, riunioni, eventi interni e formazione.

Gli spostamenti all’interno del sito aziendale devono essere limitati al minimo indispensabile e nel rispetto delle indicazioni aziendali e non sono consentite le riunioni in presenza. Laddove le stesse fossero connotate dal carattere della necessità e urgenza, nell’impossibilità di collegamento a distanza, dovrà essere ridotta al minimo la partecipazione necessaria e, comunque, dovranno essere garantiti il distanziamento interpersonale e un’adeguata pulizia/areazione dei locali.

Di conseguenza, sono sospesi e annullati tutti gli eventi interni e ogni attività di formazione in modalità in aula, anche obbligatoria, anche se già organizzati; qualora l’organizzazione aziendale lo permetta, è possibile effettuare la formazione a distanza, anche per i lavoratori in smart working. 

In ogni caso, il mancato completamento dell’aggiornamento della formazione professionale e/o abilitante entro i termini previsti per tutti i ruoli/funzioni aziendali in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, dovuto all’emergenza in corso e quindi per causa di forza maggiore, non comporta l’impossibilità a continuare lo svolgimento dello specifico ruolo/funzione.

Quindi il punto 11) prevede le indicazioni per la gestione di una persona sintomatica in azienda. 

Nel caso in cui una persona presente in azienda sviluppi febbre e sintomi di infezione respiratoria quali la tosse, lo deve dichiarare immediatamente all’ufficio del personale e si dovrà immediatamente procedere al suo isolamento in base alle disposizioni dell’autorità sanitaria. L’azienda procede immediatamente ad avvertire le autorità sanitarie competenti e i numeri di emergenza dedicati.

Ciascuna azienda collabora con le Autorità sanitarie per la definizione degli eventuali “contatti stretti” di una persona presente in azienda che sia stata riscontrata positiva al tampone COVID-19. Ciò al fine di permettere alle autorità di applicare le necessarie e opportune misure di quarantena. Nel periodo dell’indagine, l’azienda potrà chiedere che le persone che siano state in contatto stretto lascino cautelativamente lo stabilimento, secondo le indicazioni dell’Autorità sanitaria.

Il punto 12) prende in considerazione la sorveglianza sanitaria, che deve proseguire rispettando le misure igieniche contenute nelle indicazioni (cd. decalogo) del Ministero della Salute. Vanno privilegiate le visite preventive, le visite a richiesta e le visite da rientro da malattia.

La sorveglianza sanitaria periodica non va interrotta, perché rappresenta un’ulteriore misura di prevenzione di carattere generale sia perché può intercettare possibili casi e sintomi sospetti del contagio, sia per l’informazione e la formazione che il medico competente può fornire ai lavoratori per evitare la diffusione del contagio 

Pertanto, nell’integrare e proporre tutte le misure di regolamentazione legate al COVID-19 il medico competente collabora con il datore di lavoro e le RLS/RLST. 

Ancora, il medico competente segnala all’azienda situazioni di particolare fragilità e patologie attuali o pregresse dei dipendenti e l’azienda provvede alla loro tutela nel rispetto della privacy.

L’ultimo punto del protocollo, il punto 13),è relativo all’aggiornamento del protocollo di regolamentazione. A tal fine, è costituito in azienda un Comitato per l’applicazione e la verifica delle regole del protocollo di regolamentazione con la partecipazione delle rappresentanze sindacali aziendali e del RLS.

Oltre al protocollo in esame, vanno richiamati gli obblighi generali che incombono in tema di sicurezza sul datore di lavoro.

Si parte dall’articolo 2087 del codice civile che impone a quest’ultimo l’adozione di ogni possibile misura atta a garantire non solo la sicurezza ma anche il benessere fisico e psichico del lavoratore.

E’ una norma a portata generale atta a prevenire qualunque tipo di pregiudizio alla salute del lavoratore ed idonea quindi ad adattarsi ad ogni evenienza.

In maggior dettaglio, gli obblighi in capo al datore di lavoro in materia di sicurezza sono identificati dal DLGS 81/2008 (Testo Unici Sulla Salute e la Sicurezza sui Luoghi di Lavoro).

Il punto focale per l’identificazione degli obblighi inerenti gli ambienti di lavoro ed i relativi adempimenti è dato dal documenti di valutazione dei rischi.

L’articolo 28 fa riferimento al precedente articolo 17 che vi include testualmente il termine “valutazione di tutti i rischi” senza altro indicare.

Lo stesso articolo 28 poi meglio specifica:

tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004, e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nonché quelli connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro e i rischi derivanti dal possibile rinvenimento di ordigni bellici inesplosi nei cantieri temporanei o mobili, come definiti dall’articolo 89, comma 1, lettera a), del presente decreto, interessati da attività di scavo.

E’ da ritenere che il rischio COVID non obblighi i datori di lavoro ad aggiornare il documento di valutazione dei rischi (DVR) almeno per ora, a patto che il rischio non diventi endemico.

Esso però potrebbe costituire occasione di lavoro soprattutto nel caso di decesso o di grosse complicanze per il lavoratore o chi per lui richiedesse il riconoscimento dei propri diritti all’INAIL o in caso di responsabilità al datore di lavoro.

Per la realizzazione dell’indennizzo INAIL o della responsabilità del datore di lavoro deve sussistere il requisito della “occasione di lavoro” che si verifica allorquando sussiste un rapporto non occasionale di causa – effetto tra la prestazione resa e l‘evento malattia.

In sostanza la prestazione di lavoro deve essere rispetto all’evento realmente causale e non semplicemente casuale!

Nel caso di specie, l’essere addetto ad un attività ritenuta essenziale come il commercio di alimentari o di altri generi potrebbe configurare tale eventualità, per non dire di medici ed infermieri dove il nesso appare ancora più evidente.

Ciò significa anche che i datori di lavoro costretti a tenere aperte le loro serrande nonchè fabbriche ed uffici qualora costretti a lavorare, sono tenuti non solo a rispettare le direttive che ormai provengono puntualmente, ma anche ad adottare d’iniziativa ogni protezione utile e possibile, potendo in caso contrario sussistere la responsabilità contrattuale del datore di lavoro.

Centro Studi Corrado Rossitto – CIU Unionquadri.

Trieste – Roma 16 marzo 2019

Avvocato Fabio Petracci

Avvocato Alberto Tarlao.

Corona Virus e rapporto di lavoro. Approfondimento del centro Studi. Il rapporto di lavoro di fronte ai provvedimenti atti a prevenire il contagio del Corona Virus. Il lavoro agile, un’occasione positiva nel marasma di fatti negativi.

La presente situazione.

Normalmente le assenze che determinano l’impossibilità della prestazione con il diritto alla conservazione del posto di lavoro si identificano in quelle dovute alla malattia.

Di fronte all’attuale situazione del contagio da Corona Virus, la malattia è però solo un aspetto ed il più grave della situazione che viene a crearsi e che comporta per diverse ragioni l’impossibilità di lavorare con gravi ricadute per i lavoratori, le aziende, l’economia.

La normativa dell’emergenza.

In questi giorni, è stato adottato il DL 23.2.2020 per affrontare questa emergenza.

Il provvedimento, tra le altre cose, decreta la sospensione delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale, stabilisce la possibilità di chiusura di attività commerciali ed uffici pubblici e la possibilità di ordinare la sospensione e la limitazione delle attività lavorative nelle aree interessate al contagio.

In maggior dettaglio, il conseguente DPCM 25.2.2000, introduce la possibilità nel caso di aziende site nelle zone di crisi ( Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Liguria) o di lavoratori ivi residenti o domiciliati, la possibilità di introdurre il lavoro agile, anche in assenza di accordo tra le parti , con possibilità di assolvere gli obblighi di informativa in via telematica.

Esamineremo il verificarsi e le conseguenze di quanto sin qui sommariamente esposto, verificando diverse ipotesi.

Assenza imposta dalla pubblica autorità.

La prima ipotesi di assenza dal lavoro può avvenire in quanto l’autorità emette degli ordini che impediscono al lavoratore di uscire da casa o raggiungere la zona dove ha sede il datore di lavoro.

In questo caso, si verifica un’impossibilità della prestazione non imputabile al lavoratore che, in quanto tale, deve essere retribuita.

Sospensione dell’attività a causa del contagio.

Anche in questo caso, l’impossibilità della prestazione non sarà imputabile al datore di lavoro che manterrà il diritto alla retribuzione, anche in assenza di prestazione.

Quarantena obbligatoria per il lavoratore.

Può accadere che il lavoratore sia posto in quarantena dall’autorità per sintomi afferenti il virus.

In tal caso, la situazione è riconducibile al trattamento per malattia che dovrà essere riconosciuto al lavoratore.

Quarantena volontaria.

Può accadere sospettando un contagio o in base a prescrizioni dell’autorità adotti un comportamento di quarantena volontaria.

Anche in tal caso, l’assenza è collegata ad un ipotesi di malattia e quindi potrà essere assimilata all’assenza per tale causale.

Assenza volontaria per timore del contagio.

Si tratta di una condotta non coperta dalla legge.

In questi casi, prima di procedere disciplinarmente, andrà attentamente valutata la fondatezza del timore e solo in casi di manifesta infondatezza dello stesso, si potrà ricorrere alle sanzioni disciplinari ivi compreso nei casi estremi,  il licenziamento.

Altre norme che interessano la situazione delineata.

In tema di sicurezza sul lavoro.

Al datore di lavoro, sia pubblico che privato è imposto di garantire a quanti operano in ambito aziendale il maggior benessere fisico e psichico in ragione dell’articolo 2087 del codice civile, adottando ogni possibile cautela.

Quindi, al di fuori di queste ipotesi tassative introdotte da specifiche e recenti norme di legge, egli deve controllare la situazione, intervenire ove possibile e segnalare pericoli per le persone al lavoro. Ciò significa che in caso di sospetto contagio dovrà provvedere a tempestiva segnalazione, alle prime misure di sanificazione ricorrendo anche all’intervento del medico competente e di quanti delegati alla sicurezza. Analoghi poteri ed oneri competono ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza.

Va tenuto presente che il rischio biologico è pure presente nel DLGS 81/2008 testo Unico Sicurezza sul Lavoro agli articoli 266 e seguenti.

Di recente, il rischio medesimo è stato contemplato nella circolare n.3190 del 3 febbraio 2020.

Utilizzo delle ferie in caso di chiusura o inattività dell’azienda.

Il ricorso alle ferie collettive normalmente è disciplinato dai contratti collettivi.

La giurisprudenza pur avendo sancito il potere unilaterale del datore di lavoro alla concessione delle ferie, ritiene che una parte debba essere programmata con i lavoratori.

Stante in ogni caso, l’incompatibilità tra la malattia ed il godimento delle ferie, non sarà possibile collocare in ferie i dipendenti in quarantena.

Il cosiddetto lavoro agile, una risorsa da utilizzare.

La Cassa Integrazione.

Il decreto legge cui già si è fatto cenno prevede pure lo sblocco della Cassa Integrazione in Deroga per i territori colpiti dal contagio.

Lavoro Agile – Smart Working.

Come accennato l’articolo 2 DPCM 25.2.2020 considera in via straordinaria possibile il ricorso al lavoro agile.

Questa tipologia di lavoro è stata introdotta con il DLGS 81/2017, articolo 81. Quivi l’articolo 1 ne affida la realizzazione alla volontà delle parti, con apposite procedure ed eseguibilità della prestazione parte in azienda e parte da remoto.

Nel caso di specie, l’urgenza determina l’applicabilità diretta ed immediata di una simile organizzazione del lavoro.

E’ chiaro che al rientro dall’emergenza, la misura sarà destinata a cessare. Non è detto però che nel marasma di eventi negativi, questa disposizione possa costituire un’occasione di innovazione del modo di lavorare al passo con le nuove tecnologie.

Trieste, 1 marzo 2020.

Fabio Petracci.

Passaggio da società partecipata a controllo pubblico ad ente pubblico.

I dipendenti di una società partecipata pubblica senza il superamento di un concorso non possono transitare nelle amministrazioni pubbliche. Lo afferma la Corte Costituzionale con la sentenza n.5/2020. La Corte si trova ad esaminare la legge regionale n.38/2018 della Regione Basilicata che al fine di razionalizzare l’impiego del personale a tempo indeterminato dipendente da enti […]

Dalle poco chiare vicende sindacali alla Banca Popolare di Bari ad una diffusa situazione di malessere dei lavoratori e dei quadri nelle banche.

Quello della Banca Popolare di Bari è un caso paradigmatico che conferma come le responsabilità del disastro del sistema bancario italiano siano condivise anche dai lavoratori degli istituti di credito ed anche come il mondo sindacale non sia esente da colpe.

E’ recente un articolo apparso su “Fanpage” del 6 febbraio 2020 Economia, di Vincenzo Imperatore il quale richiamando il testo del provvedimento cautelare del Gip del Tribunale di Bari che ha portato all’arresto dei proprietari della Banca Popolare di Bari e del responsabile dell’Area Basilicata, evidenzia il coinvolgimento di alcuni sindacati che lungi dal tutelare i lavoratori della banca, avrebbero condiviso la situazione di illegalità creatasi, favorendo nomine ed assunzioni non sempre trasparenti.

Altra Stampa, come Libero Quotidianodel 4.8.2017, sottolinea le continue e pesanti pressioni che il personale delle banche subisce per collocare prodotti non sempre all’altezza delle aspettative della clientela.

Da quanto emerge, i lavoratori delle banche, nell’ambito delle crisi aperte, non solo corrono il rischio di perdere il posto di lavoro, ma sono esposti, spesso indifesi, a vessazioni e condizionamenti non sempre leciti. Particolare è la situazione dei quadri degli istituti bancari.

Questa categoria è individuata dalla contrattazione collettiva di settore nei livelli apicali “QD” che vano da 1 a 4.

Il QD 4 è il livello apicale dell’area che ha in parte assorbito la vecchia categoria dei funzionari direttivi solo in parte confluita nella dirigenza.

Prima della creazione dell’area quadri, i funzionari costituivano un’apposita area con un contratto collettivo proprio.

Nell’ambito dell’attuale area quadri, nonostante la differenziazioni in quattro livelli,  le mansioni esigibili da contratto generiche e poco differenziate.

Rimane quindi a favore del datore di lavoro un’ampia discrezionalità nell’attribuzione delle stesse e dei compensi connessi.

Inoltre, il rapporto di lavoro bancario presenta dei notevoli tratti peculiari nel panorama dei contratti di lavoro subordinato.

Esso infatti è caratterizzato da un elevato grado di fiduciarietà.

Connota inoltre il rapporto di lavoro dei dipendenti bancari e soprattutto di quelli con un livello di inquadramento apicale, anche se non dirigenziale, l’affidamento sempre più rilevante da parte dello Stato di funzioni para pubbliche e di controllo.

Accade quindi spesso in situazioni patologiche che il quadro delle banche assommi tra i propri doveri, la fedeltà ai controlli ed alle direttive istituzionali e la fedeltà agli interessi economici della banca.

Tutti questi elementi oltre che ad accrescere il grado di responsabilità dei quadri degli istituti di credito, li rendono molto più esposti di qualunque altra categoria di lavoratori al rischio licenziamento, oggi non più contro bilanciato dal diritto alla reintegra, nel mentre nell’ambito dei chiaroscuri delle situazioni di crisi anche le tutele sindacali spesso si volatilizzano.

Poche tutele accompagnate dall’esposizione alle pressioni degli istituti che puntano al risultato senza badare molto alla qualità dei prodotti da vendere.

Si aggiunge ad un tanto, la modifica dell’articolo 13 dello Statuto dei Lavoratori fortemente voluta dall’ABI che, con il DLGS 81/2015 (Jobs Act) consente a determinate condizioni la dequalificazione del dipendente.

La situazione di scarsa stabilità e determinatezza del quadro lavorativo e delle conseguenti aspettative, favorisce sempre di più il diffondersi del mobbing e dello streaming nell’ambito della categoria.

Serve una presa d’atto di questa situazione favorita da una tutela qualificata dei quadri delle banche che approdi ad una normativa contrattuale che affronti i temi esposti.

Fabio Petracci.

Pubblico Impiego Cambio Amministrazione – Aspettativa per svolgere il periodo di prova – Il parere dell’ARAN

Pubblico Impiego – Aspettativa per svolgere il periodo di prova – Parere ARAN

Aspettativa per svolgere il periodo di prova presso altra pubblica amministrazione.

Diversi contratti del pubblico impiego prevedono la concessione di una aspettativa non retribuita per svolgere il periodo di prova presso altra amministrazione.

Ciò naturalmente al fine di evitare che chi sceglie un nuovo datore di lavoro provenendo da altra amministrazione non resti esposto all’incertezza de patto di prova e non possa in caso di esito negativo tornare presso l’originario datore di lavoro.

L’ARAN fornisce in merito un’interpretazione restrittiva per cui la clausola vale solo nel passaggio tra amministrazioni pubbliche disciplinate dalla contrattazione collettiva di cui all’articolo 2 DLGS 165/2001 e non per il passaggio a rapporti non contrattualizzati come quello di consigliere di prefettura.

Un dipendente con rapporto di lavoro a tempo indeterminato di un ente, vincitore di concorso per consigliere di prefettura, che, già nominato, deve iniziare il corso di formazione di cui all’art.5 del D.Lgs.n.139/2000, con la previsione di un periodo di prova  di un anno, può avvalersi della particolare disciplina dell’art.20, comma 10, del CCNL  delle Funzioni Locali del 21.5.2018?

Relativamente alla particolare problematica esposta, si ritiene utile precisare quanto segue:

a) l’art. 20, comma 10, del CCNL del 21.5.2018 delle Funzioni Locali prevede,  come è noto, la conservazione del posto senza retribuzione presso l’ente di provenienza al dipendente,  a tempo indeterminato,  che sia vincitore di concorso presso un altro ente o amministrazione, per un arco temporale corrispondente pari alla durata del periodo di prova stabilita dal CCNL applicato presso l’ente o amministrazione di destinazione;

b)  il comma 12 del medesimo articolo precisa, inoltre, che il suddetto diritto alla conservazione del posto si applica anche al dipendente in prova proveniente da un ente di diverso comparto il cui CCNL preveda analoga disciplina;

c) come nella vigenza del precedente art.14-bis, comma 9, del CCNL del 6.7.1995, i cui contenuti sono stati sostanzialmente riprodotti nell’art.20, comma 10, del CCNL del 21.5.2018, questa ultima previsione deve ritenersi applicabile solo nei confronti di dipendenti di amministrazioni pubbliche, di cui all’art.1, comma 2, del D.Lgs.n.165/2001, appartenenti comunque ad uno specifico comparto di contrattazione rientrante nella competenza dell’ARAN, che abbia previsto, nella propria disciplina negoziale, un’analoga regolamentazione;

d) pertanto, la disciplina di cui si tratta non può trovare applicazione:

1) nel caso di coinvolgimento di personale dipendente al quale non si applicano i CCNL sottoscritti in sede ARAN;

2) anche in caso di provenienza da altro comparto di contrattazione collettiva, ove manchi quella condizione di reciprocità di cui si è detto, nel senso che non esista, nell’ambito della contrattazione collettiva di questo diverso comparto, una clausola di contenuto analogo che riconosca ai dipendenti vincitori di concorso in altro comparto di contrattazione, il diritto alla conservazione del posto nell’ente di provenienza, per la durata del periodo di prova.

Alla luce delle suesposte considerazioni si esclude che, nel caso prospettato, possa trovare applicazione la disciplina del citato art.20, comma 10, del CCNL del 21 maggio 2018, dato che il personale della carriera prefettizia, ai sensi dell’art. 3 del D. Lgs. n. 165/2001, rientra tra i dipendenti delle amministrazioni ancora assoggettate a regime pubblicistico per gli aspetti concernenti il trattamento giuridico ed economico del proprio personale.

Un progetto di legge contro il mobbing

Un progetto di legge per affrontare il mobbing.

Una fattispecie difficile da inquadrare e soprattutto da provare.

Il progetto di legge favorisce la prova.

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 1741

PROPOSTA DI LEGGE

D’INIZIATIVA DEI DEPUTATI

DE LORENZO, VIZZINI, PALLINI, SIRAGUSA, GIANNONE, SEGNERI, COSTANZO, CIPRINI, BILOTTI, CUBEDDU, TRIPIEDI, TUCCI, INVIDIA, DAVIDE AIELLO, PERCONTI, AMITRANO

delle molestie morali e delle violenze psicologiche in ambito lavorativo

Presentata il 4 aprile 2019

  ONOREVOLI COLLEGHI! – Il fenomeno del cosiddetto «mobbing» o della persecuzione psicologica, cioè le molestie morali e le violenze psicologiche, è sempre esistito nel mondo del lavoro, ma ora tale fenomeno sta assumendo contorni sempre più ampi.

  Con la presente proposta di legge intendiamo fornire per la prima volta ai lavoratori adeguati e idonei strumenti di tutela per difendere se stessi e la propria dignità dalle continue vessazioni che sono costretti a subire in ambito lavorativo. Vista la crescita esponenziale che caratterizza i casi di mobbing è necessario un intervento ad hoc del legislatore diretto a disciplinare in maniera chiara e precisa tale fenomeno e ad assicurare una vera e propria tutela giuridica ai lavoratori vessati, consentendo loro di far valere la lesione di un proprio diritto, agendo dinanzi al giudice del lavoro nei confronti del datore di lavoro (nel caso di mobbing verticale) o nei confronti di un proprio collega o di un gruppo di colleghi (nel caso di mobbing orizzontale) che si siano resi autori di atti vessatori in ambito lavorativo.

  Va peraltro ricordato che la nozione dell’Unione europea di discriminazione comprende le molestie e l’ordine di discriminazione (a prescindere dalla sua esecuzione) a causa dei motivi tipizzati: «le molestie sono da considerarsi una discriminazione in caso di comportamento indesiderato adottato e avente lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo».

  Sotto il profilo pratico, l’equiparazione della molestia alla discriminazione consente l’applicazione del regime probatorio agevolato e dell’apparato sanzionatorio particolarmente incisivo previsto dalla disciplina antidiscriminatoria.

  Si deve a Leymann l’introduzione del mobbing nel settore lavorativo, a partire dagli anni ’80 (Leymann Gustavsson, 1984; Leymann, 1990, 1993, 1996, 1997). Secondo tale autore «il mobbing, o terrore psicologico sul posto di lavoro, consiste in una comunicazione ostile e non etica diretta in modo sistematico da uno o più individui solitamente verso un singolo individuo, il quale a causa di ciò, si trova in una posizione indifesa e impossibilitato a ricevere aiuto, essendo costretto in quella posizione da continue azioni mobbizzanti (…). Tali azioni si verificano con un’alta frequenza di base (definizione statistica: almeno una volta a settimana) e perdurano a lungo nel tempo (definizione statistica: almeno sei mesi). L’alta frequenza e la durata dei comportamenti ostili è causa di gravi problemi psicologici, psicosomatici e sociali» (Leymann, 1996, pagina 168).

  La presente proposta di legge si compone di nove articoli.

  L’articolo 1 individua l’ambito di applicazione della legge, il cui fine è quello di tutelare i lavoratori nei rapporti di lavoro, nei settori pubblico e privato, indipendentemente dalla natura degli stessi.

  L’articolo 2 definisce il concetto di mobbing, ovvero le molestie morali e le violenze psicologiche di carattere persecutorio, esercitate con intento vessatorio, iterativo e sistematico, che determinano eventi lesivi dell’integrità psico-fisica o della dignità sociale e lavorativa della vittima, nonché le modalità attraverso le quali tali azioni sono poste in essere.

  L’articolo 3 prevede l’obbligo tempestivo del datore di lavoro di accertare i comportamenti denunciati e di prendere provvedimenti per il loro superamento, segnalandoli anche alla procura della Repubblica, qualora le azioni di mobbing comportino una riduzione della capacità lavorativa per disturbi psico-fisici di qualsiasi entità, quali depressione, disturbi psico-somatici conseguenti a stress lavorativo come l’ipertensione, l’ulcera e l’artrite, disturbi allergici, disturbi della sfera sessuale, nonché tumori. Il datore di lavoro che, per dolo o negligenza, non ottemperi ai suoi doveri accertativi e denuncianti, è soggetto all’interdizione dai pubblici uffici o al licenziamento, in ottemperanza all’articolo 28 del codice penale e, in via subordinata, alle misure previste per i diversi livelli di responsabilità agli articoli 55, commi 1 e 3, 56, 58, e 302, comma 1, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, ovvero all’arresto da tre a sei mesi e alle relative ammende.

  L’articolo 4 prevede l’azione di tutela giudiziaria, ovvero un percorso attraverso il giudizio immediato del tribunale del lavoro in caso di mobbing, nei confronti del dipendente, configurabile in azioni quali: a) rimozione da incarichi; b) esclusione dalla comunicazione e dall’informazione aziendali; c) svalutazione sistematica dei risultati, attraverso il sabotaggio del lavoro, svuotato dei contenuti o privato degli strumenti necessari al suo svolgimento; d) sovraccarico di lavoro o attribuzione di compiti impropri o inattuabili in concreto, che acuiscono il senso di impotenza e di frustrazione; e) attribuzione di compiti inadeguati rispetto alla qualifica e alla preparazione professionale o alle condizioni fisiche e di salute; f) squalificazione dell’immagine personale e professionale.

  L’articolo 5 disciplina la pubblicità del provvedimento di condanna emesso dal giudice.

  L’articolo 6 prevede che gli atti posti in essere dal datore di lavoro, nonché i provvedimenti assunti, riconducibili alle azioni di cui all’articolo 2, accertate dal giudice del lavoro ai sensi dell’articolo 4, vengano annullati. L’annullabilità degli atti è applicata anche nel caso in cui la violenza o la persecuzione psicologica abbia comportato le dimissioni del lavoratore che, conseguentemente, ha diritto al reintegro nel posto di lavoro.

  L’articolo 7 introduce una tutela penale specifica alla luce degli interessi coinvolti e della necessità di una protezione forte, che garantisca un effettivo contrasto del fenomeno. I traumi originati dal mobbing turbano in maniera profonda l’equilibrio psico-fisico dei lavoratori e ne distruggono le relazioni, portando spesso a esiti irreversibili. È proprio un attacco così profondo all’interesse tutelato che giustifica l’adozione di misure penali.

  Gli elementi costitutivi del fenomeno sono il contesto lavorativo, l’obiettivo vessatorio e il suo protrarsi sistematico. Esso si concretizza in una serie di comportamenti, quali: abuso del potere disciplinare, attraverso l’esercizio da parte del datore di lavoro o dei dirigenti di azioni sanzionatorie, come reiterate visite fiscali o di idoneità, contestazioni o trasferimenti in sedi lontane, rifiuto di permessi, di ferie o di trasferimenti, tutte finalizzate alla estromissione del soggetto dal posto di lavoro; atti persecutori e di grave maltrattamento di fronte a terzi; molestie sessuali; offese alla dignità personale, attuate da superiori, da pari grado o da subordinati ovvero dal datore di lavoro. La nuova fattispecie deve colpire le condotte caratterizzate da sistematicità, durata e intensità, con intento persecutorio, in modo tale da escludere dall’ambito di rilevanza penale gli episodi irrilevanti e isolati. Per dare rilievo penale al mobbing nella sua interezza, è necessario ricorrere a un reato abituale, che abbia quindi come sua caratteristica intrinseca la ripetitività nel tempo della condotta. Si tratta, invero, di un reato di relazione, nell’ambito del quale non assume valore la rilevanza penale dei singoli episodi, bensì la loro reiterazione, che cagiona la compromissione della relazione.

  L’elemento oggettivo del reato consiste, dunque, in più atti o comportamenti protratti nel tempo, compiuti da chi presti lavoro in un dato ambito, pubblico o privato, in pregiudizio di altri, appartenente allo stesso ufficio o alla stessa azienda, e che può essere un subordinato ma anche un pari grado dell’agente. Deve, poi, trattarsi di un reato doloso.

  In relazione all’interesse di maggior rilievo che la disposizione penale intende essenzialmente tutelare, rappresentato dalla libertà e dalla dignità del lavoratore nel luogo e nell’ambiente di lavoro in cui opera, la norma va inserita nel libro secondo («Dei delitti in particolare»), titolo XII (Dei delitti contro la persona), capo III («Dei delitti contro la libertà individuale»), sezione III («Dei delitti contro la libertà morale»), del codice penale. Ciò in quanto i comportamenti di mobbing incidono, in primo luogo, sulla capacità del soggetto preso di mira di autodeterminarsi spontaneamente, costringendolo in una situazione di soggezione a condizioni di lavoro insopportabili, in termini di umiliazione e di sofferenza, e lesive dei suoi diritti o interessi.

  In particolare, la norma viene inserita immediatamente dopo l’articolo 612-bis del codice penale che, introdotto dall’articolo 7 del decreto-legge n. 11 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 38 del 2009, contempla il reato di atti persecutori, comunemente chiamato stalking. Ciò in quanto le due fattispecie presentano molte affinità, tanto che parte della dottrina ha ventilato la possibilità di ricorrere all’articolo 612-bis per sanzionare penalmente le vessazioni sul lavoro. In entrambi i casi, infatti, si tratta di fenomeni basati sulla reiterazione delle condotte, che consistono in vessazioni sgradite alla vittima e sono causa di eventi negativi. Sono accomunati, poi, dalla finalità che è quella di indurre il soggetto passivo in uno stato di soggezione e di sofferenza psico-fisica. Alla pluralità e alla costanza delle condotte deve essere sottesa la consapevolezza dell’agente sia della molteplicità degli episodi sia dell’invasione che per mezzo di essi si determina nella sfera della vita della vittima. Esiste, inoltre, nella realtà una fattispecie di confine: il cosiddetto «stalking occupazionale», una tipologia di persecuzione che trova le sue motivazioni nell’ambiente lavorativo, per poi fuoriuscirne, turbando in maniera invasiva la tranquillità della vita privata della vittima.

  L’articolo 8 reca misure di prevenzione e di vigilanza nei luoghi di lavoro. In particolare, si prevede che le amministrazioni dello Stato e i datori di lavoro pubblici e privati, d’intesa con le rappresentanze sindacali e con i consigli centrali, intermedi e di base dell’Esercito italiano, della Marina militare, dell’Aeronautica militare, dell’Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, adottano tutte le seguenti misure volte a prevenire e a contrastare le azioni di mobbing: a) iniziative periodiche di informazione dei dipendenti; b) organizzazione periodica di corsi specifici di gestione delle relazioni interpersonali o del mobbing affidati a consulenti, anche esterni, muniti dell’abilitazione all’esercizio della professione di psicologo e di un’ampia e comprovata esperienza specifica nel settore della psicologia del lavoro; c) accertamento di azioni di mobbing nei confronti dei lavoratori; d) corsi di prevenzione e di informazione sulle azioni di mobbing nei confronti dei lavoratori, obbligatori e a carico del datore di lavoro per i dirigenti, per i medici competenti e per i responsabili della sicurezza aziendale, nonché per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; e) risoluzione delle controversie tramite la stipulazione di appositi accordi transattivi o conciliativi; f) denuncia alle autorità competenti.

  Al comma 2 del medesimo articolo 8 si prevede l’istituzione, presso ciascuna azienda sanitaria locale, di un centro di riferimento per il benessere organizzativo nei luoghi di lavoro, costituito da specialisti di salute mentale, anche interni alla medesima azienda sanitaria locale.

  Al comma 3 si prevede che i citati specialisti provvedano:

   a) all’accertamento dello stato di disagio psico-sociale o di malattia del lavoratore e all’eventuale indicazione del percorso terapeutico di sostegno, cura e riabilitazione;

   b) all’individuazione delle eventuali misure di tutela da adottare da parte dei datori di lavoro nelle ipotesi di casi rilevati di disagio lavorativo.

  Il centro di riferimento è tenuto ad organizzare una conferenza annuale per valutare i risultati del lavoro svolto e per individuare le opportune iniziative per la riduzione o l’eliminazione delle azioni di mobbing (comma 3).

  L’articolo 9 prevede l’invarianza finanziaria.

Ecco il testo:

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

(Ambito di applicazione)

  1. La presente legge, in attuazione dei princìpi stabiliti dagli articoli 2, 32, 35 e 41 della Costituzione, reca disposizioni atte a prevenire e a contrastare il mobbing posto in essere nei confronti dei lavoratori da parte del datore di lavoro o di un suo preposto, nonché da altri dipendenti.

  2. Le disposizioni di cui alla presente legge si applicano a qualsiasi rapporto di lavoro e in tutti i settori di attività privati e pubblici, indipendentemente dalla mansione svolta o dalla qualifica ricoperta.

Art. 2.

(Definizioni)

  1. Ai fini di cui all’articolo 1, comma 1, si intendono per mobbing nel posto di lavoro le molestie morali e le violenze psicologiche di carattere persecutorio, esercitate esplicitamente o implicitamente, nonché direttamente o indirettamente, con intento vessatorio, iterativo e sistematico, che determinano eventi lesivi dell’integrità psico-fisica o della dignità sociale e lavorativa della vittima, configurabili nel modo seguente:

   a) rimozione da incarichi;

   b) esclusione dalla comunicazione e dall’informazione aziendali;

   c) svalutazione sistematica dei risultati, attraverso il sabotaggio del lavoro, svuotato dei contenuti o privato degli strumenti necessari al suo svolgimento;

   d) sovraccarico di lavoro o attribuzione di compiti impropri o inattuabili in concreto, che acuiscono il senso di impotenza e di frustrazione;

   e) attribuzione di compiti inadeguati rispetto alla qualifica e alla preparazione professionale o alle condizioni fisiche e di salute;

   f) abuso del potere disciplinare, attraverso l’esercizio da parte del datore di lavoro o dei dirigenti di azioni sanzionatorie, quali reiterate visite fiscali o di idoneità, contestazioni o trasferimenti in sedi lontane, rifiuto di permessi, di ferie o di trasferimenti, finalizzate all’estromissione del soggetto dal posto di lavoro;

   g) atti persecutori e di grave maltrattamento di fronte a terzi;

   h) molestie sessuali;

   i) squalificazione dell’immagine personale e professionale;

   l) offese alla dignità personale, attuate da superiori, da pari grado o da subordinati ovvero dal datore di lavoro.

Art. 3.

(Accertamento delle responsabilità e applicazione di sanzioni disciplinari)

  1. Il datore di lavoro, pubblico o privato, qualora siano denunciate azioni di cui all’articolo 2 da singoli lavoratori o da gruppi di lavoratori, ovvero su segnalazione delle rappresentanze sindacali aziendali o del rappresentante per la sicurezza, nonché del medico competente, ha l’obbligo di accertare tempestivamente le azioni denunciate.

  2. Agli effetti degli accertamenti delle responsabilità, l’istigazione e l’omissione consapevole dei soggetti denunciati sono considerate equivalenti alla realizzazione del fatto.

  3. Il datore di lavoro pubblico o privato che, per dolo o per negligenza, non adempie ai commi 1 e 2 del presente articolo è soggetto all’interdizione dai pubblici uffici o al licenziamento, in ottemperanza all’articolo 28 del codice penale e, in via subordinata, alle misure previste per i diversi livelli di responsabilità dagli articoli 55, commi 1 e 3, 56, 58 e 302, comma 1, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.

  4. Il danno all’integrità psico-fisica provocato dalle azioni di cui all’articolo 2 è comunicato dall’autorità gerarchica competente, previo onere della prova inversa, alla competente procura della Repubblica quando comporta una riduzione della capacità lavorativa per disturbi psico-fisici di qualsiasi entità, quali depressione, disturbi psico-somatici conseguenti a stress lavorativo come l’ipertensione, l’ulcera e l’artrite, disturbi allergici, disturbi della sfera sessuale, nonché tumori.

Art. 4.

(Azioni di tutela giudiziaria)

  1. Qualora siano denunciate, su ricorso del lavoratore o per sua delega dalle organizzazioni sindacali, azioni di mobbing, di cui all’articolo 2, comma 1, lettere a), b), d), e) e i), il tribunale territorialmente competente, in funzione di giudice del lavoro, nei cinque giorni successivi alla data della denuncia, convocate le parti e assunte sommarie informazioni, se ritiene sussistente la violazione oggetto del ricorso ordina al responsabile del comportamento denunciato, con provvedimento motivato e immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo, ne dispone la rimozione degli effetti, stabilisce le modalità di esecuzione della decisione e determina in via equitativa la riparazione pecuniaria dovuta al lavoratore per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento. Contro la decisione di cui al primo periodo è ammessa, entro quindici giorni dalla data di comunicazione alle parti, opposizione davanti al tribunale, che decide in composizione collegiale, con sentenza immediatamente esecutiva. Si osservano le disposizioni degli articoli 413 e seguenti del codice di procedura civile.

  2. Nei casi di cui al comma 1, primo periodo, è posto a carico di colui che è accusato di perpetrare una condotta di mobbing l’onere della prova, ossia la dimostrazione dell’inesistenza della predetta condotta o delle vessazioni lamentate, la legittimità dei comportamenti adottati e, nel caso del datore di lavoro, l’adeguatezza delle misure di prevenzione o di repressione impiegate, quando il lavoratore ha presentato indizi sufficienti per lasciare presumere l’esistenza di una forma di violenza o di persecuzione psicologica ai suoi danni.

Art. 5.

(Pubblicità del provvedimento del giudice)

  1. Su istanza della parte interessata, il giudice può disporre che della sentenza di accoglimento, ovvero di rigetto, di cui all’articolo 4, sia data informazione, a cura del datore di lavoro, pubblico o privato, mediante lettera ai lavoratori interessati dell’unità produttiva o amministrativa nella quale è stato denunciato l’atto o il comportamento di mobbing oggetto dell’intervento giudiziario, omettendo il nome della persona che ha subìto tale atto o comportamento.

  2. Se l’atto o il comportamento oggetto del provvedimento di condanna è commesso dal datore di lavoro, pubblico o privato, o si evince una sua complicità, il giudice dispone la pubblicazione della sentenza su almeno due quotidiani a tiratura nazionale, omettendo il nome della persona oggetto di mobbing. Le eventuali spese sono a carico del condannato.

Art. 6.

(Nullità degli atti o dei comportamenti di mobbing)

  1. Gli atti o i comportamenti di mobbing accertati ai sensi delle procedure di cui all’articolo 4 sono nulli.

  2. Sono, altresì, nulle le dimissioni presentate dal lavoratore vittima di atti o di comportamenti di mobbing.

Art. 7.

(Sanzioni penali)

  1. In caso di azioni di mobbing di cui all’articolo 2, comma 1, lettere c), f), g) e h), e in tutti i casi in cui si determinano danni ai sensi dell’articolo 3, comma 4, che devono essere accertati dal giudice, si applicano le sanzioni previste dalle disposizioni di cui al comma 2 del presente articolo.

  2. Dopo l’articolo 612-bis del codice penale è inserito il seguente:

   «Art. 612-ter. – (Atti vessatori in ambito lavorativo) – Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni il datore di lavoro, il dirigente o il lavoratore che nel luogo o nell’ambito di lavoro, con condotte reiterate, compie atti, omissioni o comportamenti di vessazione o di persecuzione psicologica tali da compromettere la salute o la professionalità o la dignità del lavoratore.

   La pena è aumentata se dal fatto deriva una malattia nel corpo o nella mente.

   La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104.

   Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. Si procede, tuttavia, di ufficio nelle ipotesi di cui ai commi secondo e terzo».

Art. 8.

(Misure di prevenzione e di vigilanza nei luoghi di lavoro)

  1. Le amministrazioni dello Stato e i datori di lavoro pubblici e privati, d’intesa con le rappresentanze sindacali o con i consigli centrali, intermedi e di base dell’Esercito italiano, della Marina militare, dell’Aeronautica militare, dell’Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, adottano le seguenti misure volte a prevenire e a contrastare le azioni di mobbing:

   a) iniziative periodiche di informazione dei dipendenti anche al fine di individuare immediatamente eventuali sintomi o condizioni di discriminazioni ai sensi dell’articolo 2;

   b) organizzazione, ogni sei mesi, di corsi specifici di gestione delle relazioni interpersonali o del mobbing affidati a soggetti, anche esterni, in qualità di consulenti, muniti dell’abilitazione all’esercizio della professione di psicologo e di un’ampia e comprovata esperienza specifica nel settore della psicologia del lavoro;

   c) accertamento di azioni di mobbing nei confronti dei lavoratori, avvalendosi dei consulenti di cui alla lettera b);

   d) corsi di prevenzione e di informazione sulle azioni di mobbing nei confronti dei lavoratori obbligatori e a carico del datore di lavoro per i dirigenti, per i medici competenti, per i responsabili della sicurezza aziendale, nonché per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;

   e) risoluzione delle controversie tramite la stipulazione di appositi accordi transattivi o conciliativi;

   f) denuncia alle autorità competenti.

  2. Ciascuna azienda sanitaria locale del comune capoluogo di provincia istituisce, nell’ambito della propria organizzazione amministrativa, un centro di riferimento per il benessere organizzativo nei luoghi di lavoro, costituito da specialisti di salute mentale, anche interni alla medesima azienda sanitaria locale, quali:

   a) un medico specialista in medicina del lavoro, con funzioni di coordinamento;

   b) un esperto in test psicodiagnostici;

   c) un esperto in psicologia del lavoro e delle organizzazioni;

   d) un medico specialista in psichiatria;

   e) uno psicoterapeuta.

  3. Gli specialisti di cui al comma 2 provvedono:

   a) all’accertamento dello stato di disagio psico-sociale o di malattia del lavoratore e all’eventuale indicazione del percorso terapeutico di sostegno, cura e riabilitazione;

   b) all’individuazione delle eventuali misure di tutela da adottare da parte dei datori di lavoro nelle ipotesi di rilevati casi di disagio lavorativo.

  4. Il centro di cui al comma 2 organizza una conferenza annuale per valutare i risultati del lavoro svolto e per individuare le opportune iniziative per la riduzione o l’eliminazione delle azioni di mobbing.

PENSIONI – Importante ordinanza della Corte dei Conti di rimessione alla Corte Costituzionale.

Pubblichiamo un’importante ordinanza della Corte dei Conti del Friuli Venezia Giulia di rimessione alla Corte Costituzionale in materia pensionistica.
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Si può privare il Segretario Comunale delle funzioni prima della scadenza del mandato?

Cassazione civile Sezione  Lavoro, Sentenza  02-08-2019, n. 20842

Segretario Comunale privazione dell’incarico prima della scadenza del medesimo – diritto alla reintegra insussistenza – diritto al risarcimento del danno sussiste in presenza di adeguati elementi probatori.

La Corte di Cassazione con la recente sentenza di seguito trascritta svolge tutta una serie di considerazioni in merito alla peculiarità del rapporto di lavoro dei segretari comunali.

In forza di tale specialità e del rapporto strettamente fiduciario che lega il segretario al vertice dell’amministrazione, la Corte ritiene che la professionalità del segretario comunale debba trovare tutela nell’ambito del rapporto temporale che lo lega all’amministrazione e che nel caso di privazione delle funzioni questi non possa chiedere la reintegra nelle funzioni , ma esclusivamente nel danno la cui prova non è in re ipsa, ma deve essere oggetto di dimostrazione.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 02-08-2019, n. 20842

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25859-2014 proposto da:

F.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 61, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO CALARCO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI CAGLIANONE;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI BOLTIERE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARIA CRISTINA 8, presso lo studio dell’avvocato GOFFREDO GOBBI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato YVONNE MESSI;

– MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI, 12;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 252/2014 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 03/06/2014 R.G.N. 395/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/05/2019 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CIMMINO ALESSANDRO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato NORBERTO MANENTI per delega Avvocato GIOVANNI CAGLIANONE;

udito l’Avvocato GOFFREDO GOBBI.

Svolgimento del processo

1. F.M., nominata segretario comunale del Comune di Boltiere in data 26 febbraio 2005, si vedeva revocare tale incarico in data 12 settembre 2006, ben prima della sua naturale scadenza (2009), per violazione dei doveri d’ufficio ai sensi del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 100, del D.P.R. n. 465 del 1997, art. 15 e dell’art. 18 del c.c.n.l. di categoria.

Con ricorso al Tribunale di Brescia, proposto nei confronti del Comune di Boltiere e del Ministero dell’Interno, la F. impugnava detta revoca chiedendo la reintegrazione nelle funzioni, il pagamento delle retribuzioni maturate medio tempore ed il risarcimento degli ulteriori danni patrimoniali e non patrimoniali subiti per effetto della revoca illegittima.

2. Il Tribunale annullava il provvedimento di revoca, respingeva la domanda di reintegrazione e accoglieva solo parzialmente quella risarcitoria (riconoscendo un quantum di danno patrimoniale ridotto rispetto a quello preteso e, quanto al profilo non patrimoniale, attribuendo il danno solo in relazione al pregiudizio all’integrità psico-fisica).

3. La decisione era confermata dalla Corte d’appello di Brescia.

La Corte territoriale dichiarava preliminarmente l’inammissibilità dell’appello notificato anche al Ministero dell’Interno senza che vi fossero censure nella parte in cui il giudice di primo grado aveva espressamente escluso ogni responsabilità in capo all’Agenzia Autonoma, assolvendola da ogni pronuncia di condanna.

Quindi rigettava l’impugnazione incidentale del Comune di Boltiere ritenendo che l’insussistenza dei presupposti per la revoca emergesse da una serie di significativi e concordanti elementi.

Quanto all’appello della F., riteneva infondata la pretesa volta ad ottenere la reintegra considerando che la Giunta Municipale era decaduta in data 7/6/2009 e che si trattava di nomina di durata corrispondente a quella del mandato del Sindaco.

Rilevava che l’appellante avesse configurato il danno alla professionalità in dipendenza della sola privazione delle mansioni di segretario comunale e che fossero mancate deduzioni di circostanze concrete atte a dimostrare la sussistenza di un danno risarcibile. Precisava, al riguardo, che il segretario comunale revocato o comunque privo di incarico è posto a disposizione dell’Agenzia autonoma per le attività dell’Agenzia stessa nonchè per incarichi di supplenza o di reggenza ovvero per altre funzioni ed evidenziava che le circostanze che la F. non avesse rivestito più incarichi di segretario comunale, salvo alcune supplenze o reggenze, e fosse stata poi posta in mobilità e infine transitata presso la Prefettura di Bergamo, con cancellazione dall’Albo dei Segretari comunali, non costituissero conseguenza immediata e diretta della perdita dell’incarico o comunque non costituissero prova del verificarsi in concreto di un danno alla professionalità. Sottolineava che anche il mancato conferimento di convenzioni con altri Comuni fosse dipeso da decisioni che involgevano esclusivamente la responsabilità dei Comuni medesimi.

Quanto alle altre voci di danno esistenziale riteneva che la modestissima percentuale di danno biologico accertata (4-5%) non consentisse, in assenza di specifiche deduzioni di ritenere provato che la revoca avesse comportato anche un radicale peggioramento a titolo definitivo delle abitudini di vita della lavoratrice.

Escludeva la fondatezza delle rivendicazioni relative alla retribuzione di risultato ed alla maggiorazione della retribuzione di posizione essendo mancata, quanto alla prima di dette voci, la prova che qualora l’incarico non fosse stato revocato gli obiettivi sarebbero stati raggiunti, non potendo identificarsi l’elevata probabilità del raggiungimento con l’accertata assenza di una violazione dei doveri d’ufficio a base delle revoca e rilevando, quanto alla maggiorazione della retribuzione di posizione, che non avesse l’appellante dimostrato la sussistenza delle condizioni per l’attribuzione nella misura massima richiesta (e cioè l’esistenza di risorse disponibili e le capacità generali) dovendo altresì essere escluso che nel corso del rapporto tale maggiorazione fosse stata già corrisposta nella misura rivendicata.

Quantificava le differenze spettanti a titolo di danno patrimoniale in Euro 41.896,32 e riteneva nuova la questione, posta dall’appellante, del mantenimento del trattamento in godimento non solo fino alla scadenza dell’incarico ma anche per il biennio successivo.

4. Per la cassazione della sentenza F.M. ha proposto ricorso sulla base di sette motivi ai quali hanno opposto difese il Comune di Boltiere e il Ministero dell’Interno.

5. Il Comune di Boltiere ha depositato memoria.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia nullità della sentenza o del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4, violazione degli artt. 342, 348 bis, 348 ter, 434, 436 bis e 437 c.p.c. in relazione alla dichiarazione di inammissibilità dell’appello nei confronti del Ministero dell’Interno.

Rileva che nella sentenza di primo grado l’estraneità del Ministero era stata affermata solo in relazione alla condanna al risarcimento del danno mentre tale Ministero era stato evocato in giudizio in appello in relazione alla domanda di reintegrazione poichè senza la presenza in giudizio di tale Ministero ogni statuizione di reintegrazione rivolta al solo Comune di Boltiere sarebbe risultata di difficile, se non impossibile, esecuzione concreta.

2. Il motivo è infondato.

La pronuncia di inammissibilità della Corte d’appello è stata effettuata in via preliminare con riguardo alla posizione del Ministero come delineata in causa dalla prospettazione di cui al ricorso introduttivo del giudizio ed intesa come limitata alla sola condanna al risarcimento.

Riguardo a tale affermazione, che appare del tutto in linea con le stesse conclusioni di cui al ricorso di primo grado come riportate nella stessa sentenza impugnata (“….ha convenuto in giudizio il Comune di Boltiere e l’Agenzia Autonoma per la Gestione dell’Albo dei Segretari Comunali… chiedendo l’accertamento dell’illegittimità del provvedimento di revoca, con condanna del Comune alla reintegrazione nell’incarico e di entrambe le parti convenute al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti per effetto della revoca”), la ricorrente oppone che l’appello nei confronti del Ministero si sarebbe reso necessario in relazione alle contestazioni concernenti il rigetto della domanda di reintegrazione.

Tuttavia non risulta che già in primo grado la F. avesse avanzato anche domanda di reintegrazione nei confronti dell’Agenzia Autonoma per la Gestione dell’Albo dei Segretari Comunali e Provinciali e sul punto il motivo di ricorso è assolutamente privo di specificità, non riportando il contenuto dell’atto introduttivo del giudizio. Nè vale a superare la suddetta carenza la circostanza che la cancellazione dall’Albo sarebbe sopravvenuta rispetto al maturare delle preclusioni nel giudizio di primo grado e che perciò in sede di appello si sarebbe reso necessario richiedere la reintegrazione anche nei confronti dell’Agenzia (v. pag. 6 del ricorso per cassazione), trattandosi, evidentemente, di un ampliamento del thema decidendum non consentito in sede di gravame.

E’ comunque opportuno ricordare che la disciplina del rapporto di lavoro dei segretari comunali è stata ripetutamente interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte (v. in particolare Cass. 15 maggio 2012, n. 7510) che ha delineato i seguenti principi:

a) il rapporto di impiego di questi dipendenti è sempre stato caratterizzato dalla non coincidenza dell’amministrazione datrice di lavoro con quella che ne utilizza le prestazioni (così Cass., Sez. Un., 20 giugno 2007, n. 14288); con l’importante riforma del relativo ordinamento introdotta dalla L. n. 127 del 1997 e dal D.P.R. n. 465 del 1997 (le cui norme sono state, poi, trasfuse nel D.Lgs. n. 18 agosto 2000, n. 267 Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, contenente il regime definitivo), l’amministrazione datrice di lavoro dei segretari è diventata l’Agenzia autonoma per la gestione dell’albo dei segretari comunali e provinciali, avente personalità giuridica di diritto pubblico (D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 102, oggi abrogato a seguito dell’intervenuta soppressione dell’Agenzia per effetto del D.L. n. 78 del 2010, convertito con L. n. 122 del 2010);

b) è rimasta confermata la peculiarità della non coincidenza – di regola, salvo i pochi casi di permanenza in disponibilità, con utilizzazione diretta da parte dell’Agenzia, ai sensi del D.P.R. n. 465 del 1997, art. 7, comma 1, – dell’amministrazione datrice di lavoro (Agenzia) con quella che ne utilizza le prestazioni (Comune o Provincia);

c) in ragione di tale distinzione, nelle controversie giudiziarie relative al rapporto tra segretario comunale ed ente utilizzatore non sussiste una situazione di litisconsorzio necessario con la predetta Agenzia (v. Cass. 16 luglio 2010, n. 16698; Cass. 11 agosto 2016, n. 17065);

d) tutti gli atti di gestione del rapporto di lavoro del segretario comunale, compresi quelli posti in essere dall’amministrazione locale nell’ambito del rapporto di lavoro con la stessa instaurata (tra cui la revoca dall’incarico ai sensi della L. 15 maggio 1997, n. 127, art. 17, comma 71), rappresentano manifestazione di poteri propri del privato datore di lavoro (così Cass., Sez. Un., 24 maggio 2006 n. 12224);

e) la non coincidenza dell’amministrazione datrice di lavoro con quella presso la quale il segretario presta servizio può tuttavia avere quale conseguenza che entrambi tali soggetti, ciascuno per la propria parte, siano stati tenuti a cooperare per consentire al dipendente di riprendere la propria prestazione lavorativa e che l’inadempimento di ciascuna di tali proprie e specifiche obbligazioni generi l’obbligazione risarcitoria di cui all’art. 1218 c.c. (questa Corte, infatti, ha da tempo affermato che è da riconoscere al privato una tutela piena nei confronti di un atto che appartiene alla gestione di un rapporto di lavoro assunto dalla PA con le capacità e i poteri del datore di lavoro privato: vedi, per tutte: Cass., Sez. Un., 19 ottobre 1998, n. 10370; Cass., Sez. Un., 16 febbraio 2009, n. 3677; Cass. 3 marzo 2012, n. 3419).

Quindi, nella specie, se legittimamente era stata proposta anche nei confronti dell’Agenzia una domanda risarcitoria, la mancata impugnazione da parte della F. della sentenza di primo grado nella parte in cui questa aveva escluso ogni responsabilità dell’Agenzia in relazione ai danni patiti dalla ricorrente aveva processualmente definito la posizione del Ministero dell’Interno (subentrato all’Agenzia) senza che fatti sopravvenuti potessero in qualche modo rimetterla in discussione.

3. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 99 dell’art. 100 medesimo D.Lgs., della L. n. 300 del 1980, art. 18, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, dell’art. 2058 c.c. tutti letti e interpretati anche alla luce dell’art. 97 Cost., comma 2, in relazione al rigetto della domanda di reintegrazione.

Rileva che l’ordinamento di settore in caso di revoca della nomina prevede la reintegrazione e richiama al riguardo Cass., Sez. Un., 1 febbraio 2007, n. 2233.

Sostiene che, contrariamente a quanto affermato in sentenza, tra cessazione del mandato sindacale e cessazione dell’incarico non vi è alcun automatismo, ma solo la possibilità offerta al sindaco subentrante di nominare un nuovo e diverso segretario decorso il termine di sessanta giorni dall’insediamento ed entro il termine di 120 giorni, spirato il quale l’incarico si intende confermato.

4. Il motivo è infondato.

Va innanzitutto ricordato che la dipendenza funzionale del segretario dall’organo di vertice dell’ente locale (competente per la nomina e la revoca) si traduce nella configurazione di un rapporto caratterizzato dall’elemento fiduciario, che si esprime nella regola secondo cui la nomina ha durata corrispondente a quella del mandato del sindaco o del presidente della provincia che lo ha nominato, con cessazione automatica dall’incarico con la fine del mandato, pur dovendo il titolare della carica continuare ad esercitare le funzioni sino alla nomina del nuovo segretario (D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 99, comma 2). La nomina è disposta non prima di sessanta giorni e non oltre centoventi giorni dalla data di insediamento del sindaco e del presidente della provincia, decorsi i quali il segretario già in carica è confermato (art. 99, comma 3). A tal fine il sindaco, o il presidente della provincia, individua il nominativo del segretario prescelto, a norma delle disposizioni contenute nell’art. 11, e ne chiede l’assegnazione al competente consiglio di amministrazione dell’Agenzia, il quale provvede entro sessanta giorni dalla richiesta.

Quanto al procedimento di nomina del segretario comunale o provinciale questa Corte ha affermato che lo stesso (al pari di quello di revoca) ha natura negoziale di diritto privato, in quanto posto in essere dall’ente locale con la capacità e i poteri del datore di lavoro (v. Cass. 31 ottobre 2017, n. 25960; Cass. 15 maggio 2012, n. 7510; Cass. 9 febbraio 2007, 25969; Cass., Sez. Un., 20 giugno 2005, n. 16876; Cass., Sez. Un., 12 agosto 2005, n. 166876).

La natura fiduciaria dell’incarico, che termina con la scadenza dell’organo amministrativo elettivo di riferimento, è stata, in particolare, affermata da questa Corte con riferimento alla tipologia e alla varietà dei compiti di collaborazione e di assistenza giuridico – amministrativa nei confronti degli organi comunali in ordine alla conformità dell’azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti in piena coerenza con il ruolo del segretario quale controllore di legalità (D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 97, comma 2) nonchè alle funzioni consultive, referenti e di assistenza alle riunioni del consiglio e della giunta (D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 97, comma 4, lett. a) – v. Cass. 23 agosto 2008, n. 12403; Cass. 1 luglio 2008, n. 17974 e da ultimo Corte Costituzionale n. 23 del 22 febbraio 2019 -.

Peraltro le indicate funzioni si sono anche arricchite con la legislazione successiva: in particolare, con la L. n. 190 del 2012 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione), nonchè con il D.Lgs. n. 33 del 2013 (Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni) che attribuiscono al segretario comunale, di norma, il ruolo di responsabile della prevenzione della corruzione e quello di responsabile della trasparenza.

Nè, in ragione di detta fiduciarietà, che evidentemente non si esaurisce con l’atto di nomina, può dirsi che sussista un diritto soggettivo alla riconferma.

Il segretario comunale è, infatti, destinato a cessare automaticamente dalle proprie funzioni al mutare del sindaco (salvo conferma), eppure anche in tal caso è garantito nella stabilità del suo status giuridico ed economico e del suo rapporto d’ufficio, restando iscritto all’Albo dopo la mancata conferma e restando perciò a disposizione per successivi incarichi.

La legge è chiara nello stabilire che il segretario decade “automaticamente dall’incarico con la cessazione del mandato del sindaco”, tuttavia lo stesso è chiamato a continuare nelle sue funzioni per un periodo non inferiore a due e non superiore a quattro mesi, in attesa di eventuale conferma, a garanzia della stessa continuità dell’azione amministrativa.

Tale essendo il quadro in cui si colloca la pretesa reintegratoria del ricorrente, va detto che, anche a voler ritenere applicabile (per l’analoga fiduciarietà che caratterizza l’affidamento dell’incarico dirigenziale) il principio affermato da Cass. n. 3677/2009 cit. con riferimento alla revoca dell’incarico dirigenziale in ipotesi di non sussistenza della giusta causa per il recesso anticipato dal contratto a tempo determinato ed al diritto del dirigente alla riassegnazione di tale incarico precedentemente revocato, per il tempo residuo di durata (che, nel caso in esame, comprenderebbe anche quello dell’automatica obbligatoria prosecuzione in attesa di eventuale conferma), detratto il periodo di illegittima revoca, tuttavia la stessa non è decisiva perchè sconta la circostanza, pacifica agli atti, che la F. a far data dal 3/1/2012 (e dunque ben prima della pronuncia di primo grado) prestava servizio presso la Prefettura di Bergamo ed era stata cancellata dall’Albo dei Segretari Comunali (v. pag. 6 del ricorso per cassazione). Dunque aveva perso uno dei requisiti necessari perchè si potesse ricostituire il rapporto.

5. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 267 del 2000, artt. 9799100 e 101 del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, dell’art. 2103 c.c., degli artt. 1218, 1223 e 2059 c.c. nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione al rigetto della domanda di risarcimento del danno alla professionalità.

Sostiene che la perdita delle mansioni e il collocamento in disponibilità fossero già significativi del danno alla professionalità.

6. Il motivo è infondato.

Se è vero che il demansionamento ben può essere foriero di danni al bene immateriale della dignità professionale del lavoratore, è del pari vero che – per costante giurisprudenza di questa S.C. – essi non sono in re ipsa e devono pur sempre essere dimostrati (seppure, eventualmente, a mezzo presunzioni e/o massime di esperienza) da chi si assume danneggiato (cfr., ex aliis, Cass., Sez. Un., 24 marzo 2006, n. 6572).

Il principio è stato ulteriormente precisato in successive decisioni in particolare evidenziandosi che il risarcimento del danno professionale, non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale, non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo (così Cass. 14 novembre 2016, n. 23146; Cass. 17 novembre 2016, n. 23432) e che, se la relativa prova può essere acquisita in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo precipuo rilievo quella per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravità, conoscibilità all’interno ed all’esterno del luogo di lavoro dell’operata dequalificazione, frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale, effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto) potendosi, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all’esistenza del danno (così Cass. 19 dicembre 2008, n. 29832 e negli stessi termini Cass. 18 settembre 2015, n. 18431), tuttavia il ricorso alle presunzioni è consentito a condizione che sia stata allegata la natura del pregiudizio e che il ricorrente abbia dedotto e provato circostanze diverse ed ulteriori rispetto al mero inadempimento, che possano essere valorizzate per risalire dal fatto noto a quello ignoto (v. Cass. 19 agosto 2016, n. 17214).

In tema di prova del danno da dequalificazione professionale ex art. 2729 c.c., non è allora sufficiente a fondare una corretta inferenza presuntiva il semplice richiamo di categorie generali (come la qualità e quantità dell’attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la gravità del demansionamento, la sua durata e altre simili), dovendo il giudice di merito procedere, pur nell’ambito di tali categorie, ad una precisa individuazione dei fatti che assume idonei e rilevanti ai fini della dimostrazione del fatto ignoto, alla stregua di canoni di probabilità e regole di comune esperienza (v. Cass. 18 agosto 2016, n. 17163).

Nella specie, il giudice di merito, facendo corretta applicazione degli indicati principi, con accertamento di fatto non surrogabile in questa sede, ha ritenuto che la F. si fosse limitata a prospettare un danno in re ipsa senza dedurre una sola circostanza concreta atta a dimostrare la sussistenza di un danno risarcibile e così omettendo di fornire al giudicante i parametri necessari per giungere ad una valutazione seppure presuntiva.

Alle suddette considerazioni la ricorrente oppone, in modo inammissibile, una diversa lettura delle risultanze di cause.

Nè del resto è sostenibile che la perdita dell’incarico, proprio per il peculiare funzionamento e per la dinamica professionale del segretario comunale, possa identificare un fatto ex se generatore di un danno alla professionalità.

7. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223 e 2059 c.c. ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione al rigetto della domanda di danno esistenziale.

8. Il motivo è infondato.

Anche in questo caso a fronte di specifiche argomentazioni del giudice a quo (il quale ha ritenuto che la modestissima percentuale di danno biologico derivata – 4-5% – non fosse consentito, in assenza di specifiche deduzioni che la revoca avesse comportato un radicale peggioramento a titolo definivo delle abitudini di vita della lavoratrice) la ricorrente – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge – allega un’erronea ricognizione, da parte della Corte territoriale, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo prettamente alla valutazione del giudice di merito.

Nella parte in cui lamenta l’omesso esame del fatto decisivo il motivo è inammissibile.

Le Sezioni Unite di questa Corte, nell’interpretare il novellato art. 360 c.p.c., n. 5, hanno stabilito che “l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto (dall’art. 360 c.p.c., n. 5), quando il fatto, storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti” (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).

E nel caso di specie il fatto storico rappresentato dall’entità del danno è stato preso in considerazione dalla sentenza, alle pp. 6 e 7.

Le censure sollevate dall’odierna ricorrente tendono piuttosto a negare la congruità dell’interpretazione fornita dalla Corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti e dei fatti di causa, ma una simile impostazione critica appare con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie ma ciò non è conforme alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

9. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 41 del c.c.n.l. di categoria, dell’art. 1 del c.c.n.l. decentrato integrativo, dell’art. 2697 c.c. alla luce dell’art. 24 Cost. e del principio di riferibilità o vicinanza o disponibilità della prova, degli artt. 2727 e 2729 c.c..

Lamenta il mancato riconoscimento della maggiorazione della retribuzione di posizione e rileva che tale emolumento è solo correlato alle condizioni oggettive e soggettive, al cui esistere se ne determina l’insorgenza.

10. Il motivo è infondato.

L’art. 41 del c.c.n.l. fa riferimento anche ad ulteriori condizioni che devono ricorrere affinchè la maggiorazione possa essere pretesa dal segretario, giacchè la disposizione è chiara innanzitutto nel prevedere che i criteri ed i parametri delle maggiorazioni devono essere stabiliti in sede di contrattazione decentrata integrativa nazionale, ed inoltre nel fissare il limite delle risorse disponibili e del rispetto delle capacità di spesa.

E’ evidente, pertanto, che detti limiti rilevano nella predeterminazione complessiva della spesa del personale, nel senso che l’ente, il quale è anche chiamato ad individuare la indennità di posizione spettante al dirigente o al personale dipendente titolare di posizione organizzativa, dovrà tener conto del principio della tendenziale equiparazione stabilito dal comma 5 della medesima disposizione (e cioè che la retribuzione di posizione del segretario non sia inferiore a quella stabilita per la funzione dirigenziale più elevata nell’ente in base al contratto collettivo dell’area della dirigenza o, in assenza di dirigenti, a quello del personale incaricato della più elevata posizione organizzativa).

Ove, però, ciò non avvenga la disposizione contrattuale non può far sorgere il diritto soggettivo ad una equiparazione che prescinda del tutto dalla disponibilità delle risorse, perchè ciò equivarrebbe a legittimare spese non compatibili con le capacità dell’ente territoriale (v. Cass. 6 ottobre 2016, n. 20065).

Peraltro, ai sensi dell’art. 1 del c.c.i. nazionale, la maggiorazione della retribuzione di posizione cui all’art. 41 del c.c.n.l. spetta solo in presenza di condizioni oggettive (riferite all’Ente ed alla sua complessità organizzativa – in funzione del numero delle Aree o Settori presenti nell’Ente, della funzione di sovraintendenza e coordinamento di dirigenti o responsabili di servizio, laddove non siano state conferite, all’interno o all’esterno, le funzioni di direzione generale -, funzionale – presenza di particolari uffici o di particolari forme di gestione dei servizi – ed a ragioni di disagio ambientale – sedi di alta montagna, estrema carenza di organico, situazioni anche transitorie di calamità naturale o difficoltà socioeconomiche – e soggettive (in ragione di incarichi speciali di responsabilità di singoli servizi affidati al segretario).

La Corte territoriale, dopo aver fatto puntuale riferimento alle condizioni legittimanti l’erogazione della maggiorazione in questione, ha correttamente ritenuto (con valutazione che supera la questione dell’operatività in concreto degli oneri probatori) che dal complesso del materiale probatorio a sua disposizione non fosse emerso che l’indennità predetta era stata corrisposta alla F. nel periodo di svolgimento dell’incarico di segretario e che pertanto non sussistessero elementi di prova, pur presuntiva, a sostegno della pretesa.

11. Con il sesto motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c..

Lamenta il mancato riconoscimento della voce retribuzione di risultato evidenziando che il giudice di appello ben avrebbe potuto far ricorso al ragionamento presuntivo in dipendenza del fatto che nel periodo di vigenza dell’incarico la F. lo aveva sempre svolto al meglio.

12. Il motivo è infondato.

Le deduzioni dell’odierno ricorrente in realtà si risolvono nella mera doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (“la lavoratrice non ha allegato alcunchè da cui desumere la possibilità di ottenimento dei risultati, nè risulta che abbia mai percepito la retribuzione di risultato”).

Del resto, quando si imputi al giudice di merito, in mancanza di una presa di posizione nella motivazione da esso resa, di non avere applicato un ragionamento presuntivo che la situazione delle emergenze fattuali probatorie emersa nel giudizio avrebbe invece giustificato, si è del tutto al di fuori della logica della c.d. falsa applicazione dell’art. 2729 c.c..

In tal caso, infatti, quello che si imputa al giudice è l’omesso esame della situazione fattuale, cioè del fatto noto o dei fatti noti, che, se fossero stati considerati, avrebbero dovuto condurre alla conoscenza di un fatto ignoto e, dunque, anch’esso ignorato nella motivazione.

Si ricade, quindi, nell’ipotesi che le Sezioni Unite nella citata sentenza n. 8053/2014, nello scrutinare il significato dell’espressione fatto di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 hanno individuato come omesso esame di un fatto secondario.

13. Con il settimo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 437 c.p.c. e conseguente omessa pronuncia in relazione all’art. 112 c.p.c..

Lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto nuova la domanda relativa alla corresponsione delle retribuzioni nei due anni successivi alla scadenza dell’incarico rispetto a quanto dalla medesima percepito nel periodo di disponibilità, essendo questa da considerarsi inclusa nella domanda di risarcimento del danno maturato e maturando ritualmente avanzata.

14. Il motivo è inammissibile.

La Corte territoriale non ha omesso alcuna pronuncia ma ha ritenuto che la voce di danno prospettata dalla ricorrente solo in grado di appello integrasse una domanda nuova, come tale inammissibile ai sensi dell’art. 437 c.p.c., fondata sui diritti riconosciuti al segretario revocato durante il periodo di disponibilità.

Ha, inoltre, evidenziato che si trattava anche di danno del tutto eventuale che poteva ricorrere solo se nel corso della disponibilità non fossero stati affidati altri incarichi e che in ogni caso in ordine allo stesso non si era mai svolto alcun contraddittorio.

Se è vero che la certezza che deve sussistere per rendere risarcibile il danno futuro non è la stessa di quella che caratterizza il danno presente, tuttavia questa Corte ha affermato che per ritenere tale danno sussistente non basta la mera eventualità di un pregiudizio futuro, essendo invece sufficiente la rilevante probabilità che esso si verifichi.

Tale rilevante probabilità di conseguenze pregiudizievoli è configurabile come danno futuro immediatamente risarcibile solo qualora l’effettiva diminuzione patrimoniale appaia come il naturale sviluppo di fatti concretamente accertati ed inequivocamente sintomatici di quella probabilità, secondo un criterio di normalità fondato sulle circostanze del caso concreto (v. Cass. 27 aprile 2010, n. 10072).

Il motivo di ricorso non consente di ritenere che una richiesta di danno futuro sulla base di fatti sintomatici della probabilità di verifica dello stesso fosse stata ritualmente dedotta sin dal ricorso di primo grado.

15. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.

16. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura di cui al dispositivo.

17. Va dato atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio che liquida, in quanto al Comune di Boltiere, in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e rimborso forfetario in misura del 15% e, quanto al Ministero dell’Interno, in Euro 2.500,00 per compensi professionali oltre sperse prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2019

ROMA- PALAZZO WEDEKIND-PIAZZA COLONNA L’Avv.ARAMINI LAURA DELLA CIU PARTECIPA AL CONVEGNO : “COMBATTERE LA DISOCCUPAZIONE DI LUNGO PERIODO: IL RUOLO DELLA SOCIETA’ CIVILE ORGANIZZATA”

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