Coronavirus

La tecnologia come primo “vaccino” per mediare al conflitto tra il diritto al lavoro, il diritto alla salute e il diritto alla riservatezza dei dati personali

L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo ci sta ancora arrecando dei danni ma è proprio dal male che bisogna trarne giovamento per migliorarsi ancora di più. Anche le attività produttive sono ad un bivio: trarne insegnamenti ed evolversi con lo scopo di agganciare la domanda di beni e di servizi oppure arrestare definitivamente le proprie attività lavorative.

Il famoso virus Covid-19 hanno fatto nascere uno sconto, di sicuro epocale, tra la voglia di riaprire i capannoni delle imprese italiane e gli uffici degli studi professionali e il pericolo di danneggiare la salute dei lavoratori dipendenti e dei collaboratori al netto della salvaguardia della privacy.

Questi tre diritti (diritto al lavoro, diritto alla salute e diritto alla riservatezza dei dati personali) sono entrati, come mai prima, in conflitto tra loro da quando è stato imposto – in via eccezionale – la misurazione della temperatura di ogni singolo lavoratore all’atto del suo ingresso nel posto di lavoro (si veda il Protocollo sanitario del 14 marzo 2020 siglato dal Governo Italiano e dalle Parti Sociali)

Stiamo assistendo ad un infinito dibattito che  vede confrontarsi il mondo dell’impresa e quello del sindacato con le Istituzione politiche in cui finora non si è fatta una sintesi.

Per mediare a tutto questo vi è già un primo “vaccino” che si chiama tecnologia. Se soltanto pensiamo all’introduzione dei braccialetti elettronici per opera del colosso Amazon e all’adozione delle politiche sanitarie nello stabilimento dell’Ilva sappiamo perfettamente che – in questa emergenza sanitaria di tipo epocale – la tecnologia, a differenza dei due casi prima citati, può davvero rappresentare una svolta per la ripresa delle attività di imprese e di professionisti senza violare nessuno diritto costituzionalmente garantito ad ogni cittadino italiano (Articoli 1, 3, 4, 35 e 36 per il diritto al lavoro – Articolo 32 per il diritto alla salute oltre al Testo Unico per la sicurezza sul lavoro – Articoli 13, 14 e 15 della Costituzione, art. 5 della Legge n. 300/1970 e Regolamento U.E. n. 679/2016 per il diritto alla riservatezza dei dati personali).

E’ da considerare che la prima medicina, utile per la ripresa economica e per la tenuta sociale del nostro Paese, è rappresentata da un dispositivo tecnologico (il cosiddetto “wearable device”) che misura la temperatura, la pressione e il battito cardiaco da far indossare da ogni singolo lavoratore. Chiaramente è opportuno che all’ingresso del luogo di lavoro venga effettuata in primis la misurazione con il termo-scanner da parte del datore di lavoro che rimane sempre moralmente, penalmente e civilmente responsabile nei confronti del proprio personale dipendente. Un altro aspetto rilevante che emerge da questa situazione emergenziale è che tale dovere morale dovrà essere rispettato anche da ogni singolo lavoratore.

Ancora si potrebbe – come avanzato da tutti coloro che credono nella tecnologia – introdurre, a prescindere dagli eventi eccezionali, anche un’altra tecnologia e ossia la “blockchain” che per il tramite degli “smart contracts” potrà trattare i dati sanitari riservati dei lavoratori trasmessi dai “wearable device” in maniera anonima.

Chiaramente l’umanità attende il secondo ed ultimo vero “vaccino” che sia in grado di sconfiggere questo virus e pertanto sarà determinante  il comportamento di ogni singolo lavoratore che, in quanto cittadino modello, ha il dovere di garantire l’incolumità di ogni singolo collega di lavoro.

Come detto al principio dell’articolo, dalle situazioni di malessere possiamo trarne insegnamento per l’avvenire e finora il popolo Italiano ha dato dimostrazione di possedere coscienza civica che si spera rimanga intatta nel tempo e che si avvicini all’educazione civica del Giappone.

di Antonino ALFANO

I consorzi europei di infrastrutture di ricerca (ERIC) e la mobilità Risorse Umane

Cosa sono gli ERIC

Gli ERIC (European Research Infrastructures Consortium) sono consorzi di diritto europeo costituiti, su iniziativa delle comunità scientifiche, da un gruppo di Paesi e per decisione della Commissione Europea. Gli ERIC costituiscono quindi una rete basata sulla collaborazione e integrazione del tessuto della ricerca in entità uniche, competitive, per qualità e dimensioni, a livello internazionale che permettono di mobilitare grandi risorse con la massima elasticità. Gli ERIC tendono a fare dell’Europa scientifica una nazione integrata collegando università, cliniche e centri di ricerca. Una prova delle capacità di risposta degli ERIC a situazioni estese e complesse come l’epidemia COVID19 si può vedere nell’iniziativa di CERIC-ERIC (Central European Research Infrastructure Consortium – basato nell’Area di Ricerca di Trieste) di aprire una via d’accesso rapida alle infrastrutture consortili per chi necessita di analisi su materiali utili a combattere il virus. A questa iniziativa sono seguite quelle della maggior parte  degli altri ERIC.

Attualmente sono operativi o in fase di costituzione  25 ERIC di cui 6 nell’area biomedica, 8 in quella ambientale, 6 dedicati alle scienze umane e sociali; 3 per la fisica, ingegneria e per lo studio di materiali avanzati[1]

Le sedi legali degli ERIC sono ubicate in 10 paesi e nel prossimo futuro è prevedibile un aumento degli Stati membri e dei paesi associati che ospiteranno un ERIC. Agli ERIC possono aderire paesi extra UE (es. Israele, Norvegia, Svizzera).

Gli ERIC di tutta Europa hanno dato vita al Forum ERIC per rafforzare il coordinamento e la collaborazione all’interno della loro comunità.

L’Italia è protagonista nello sviluppo degli ERIC, è infatti presente nella maggior parte degli ERIC e ospita la sede istituzionale di alcuni di essi.[2]

Le normative sugli ERIC

Gli ERIC sono regolati da due Regolamenti Europei: il n° 723/2009 modificato dal n° 1261/2013. [3]

Gli articoli rilevanti per quanto riguarda le problematiche delle Risorse Umane sono, all’interno del citato Regolamento, l’art. 10 che stabilisce “Lo statuto deve contenere….. la politica in materia di occupazione, comprese le pari opportunità” e l’Art.15 che fissa la gerarchia delle norme che regolano la costituzione e il funzionamento degli ERIC: il diritto comunitario in materia,  la legge dello Stato in cui l’ERIC ha la sua sede legale per le questioni che non sono disciplinate (o lo sono parzialmente) da norme comunitarie; lo statuto dell’ERIC e le relative norme di attuazione.

Caratteristiche giuridiche dell’ERIC 

Ai sensi del regolamento ERIC, un ERIC è un soggetto giuridico dotato di personalità giuridica e piena capacità di agire riconosciuto in tutti gli Stati membri. Esso deve essere costituito da almeno tre Stati: uno Stato membro e altri due paesi, che possono essere Stati membri o paesi associati. Possono farne parte Stati membri, paesi associati, paesi terzi diversi dai paesi associati e organizzazioni intergovernative, che contribuiscono congiuntamente alla realizzazione degli obiettivi dell’ERIC.

Come già accennato, il diritto applicabile è il diritto dell’Unione e il diritto dello Stato della sede legale o della sede operativa per quanto riguarda talune questioni amministrative, tecniche e di sicurezza. Lo statuto e le sue disposizioni di attuazione devono essere conformi al diritto applicabile. 

L’ERIC è considerato un organismo o un’organizzazione internazionale ai sensi delle direttive sull’IVA e sulle accise e può pertanto beneficiare delle relative esenzioni. Essendo inoltre considerato un’organizzazione internazionale ai sensi della direttiva sugli appalti pubblici, l’ERIC può adottare regole proprie in materia di appalti.

Gli ERIC non hanno scopo di lucro, ma posso svolgere alcune limitate attività di carattere economico strettamente connesse alla sua funzione principale 

La struttura di governance dell’ERIC è flessibile e consente di definire nello statuto i rispettivi diritti ed obblighi, gli organi e le relative competenze e altre disposizioni interne.

Il regolamento ERIC è direttamente applicabile negli Stati membri, e gli Stati membri  devono adottare misure amministrative adeguate per ospitare un ERIC o aderirvi, e garantire l’esenzione dall’IVA e dalle accise a norma del regolamento ERIC. Inoltre, essendo un nuovo tipo di soggetto giuridico, l’ERIC deve essere assimilato nei regimi normativi e amministrativi nazionali, questo ha sollevato diverse questioni pratiche che riguardano, ad esempio, un registro europeo e il collegamento con i registri nazionali (come camere di commercio o registri di associazioni) nei quali inserire gli ERIC, con le relative conseguenze per lo status del personale.

I Consorzi sono entità private con un fine “pubblico” in quanto destinate a preservare l’eccellenza scientifica comunitaria; possiedono poi diversi caratteri tipici di enti di diritto internazionale.  Nella realtà pratica, non essendo prevista, nelle legislazioni nazionali, una categoria speciale per gli ERIC in quanto soggetto giuridico, restano interrogativi in merito al loro carattere pubblico o privato; questione che ha ovvi riflessi sulla gestione delle Risorse Umane.

La Carta Europea dei Ricercatori

Prima di proseguire nell’esame degli ERIC sotto il profilo delle Risorse Umane, occorre fare un cenno alla Raccomandazione della Commissione Europea  dell’11 marzo 2005 riguardante la “Carta europea dei ricercatori e un codice di condotta per l’assunzione dei ricercatori”[4]. Questo documento individua i “ricercatori” secondo la definizione del “Manuale di Frascati” e cioè: «Professionisti impegnati nella concezione o nella creazione di nuove conoscenze, prodotti, processi, metodi e sistemi nuovi e nella gestione dei progetti interessati” La Raccomandazione riguarda chi svolge qualsiasi attività professionale nella R&S, sia nel campo della «ricerca di base», della «ricerca strategica», della «ricerca applicata», dello sviluppo sperimentale e del «trasferimento delle conoscenze». Sono comprese l’innovazione e le attività di consulenza, supervisione e insegnamento, la gestione delle conoscenze e dei diritti di proprietà intellettuale, la valorizzazione dei risultati della ricerca o il giornalismo scientifico.

Particolarmente interessante è il riconoscimento del “Valore della mobilità”: “I datori di lavoro e/o i finanziatori devono riconoscere il valore della mobilità geografica, intersettoriale, inter/trans-disciplinare e virtuale nonché della mobilità tra il settore pubblico e privato, come strumento fondamentale di rafforzamento delle conoscenze scientifiche e di sviluppo professionale in tutte le fasi della carriera di un ricercatore. Dovrebbero pertanto integrare queste opzioni nell’apposita strategia di sviluppo professionale e valutare e riconoscere pienamente tutte le esperienze di mobilità nell’ambito del sistema di valutazione/avanzamento della carriera.”

Le Risorse Umane degli ERIC

Nei prossimi dieci anni si prevede che il numero di ERIC raggiunga le 50 unità. In questa fase iniziale, gli ERIC impiegano direttamente oltre 500 persone (il principale datore di lavoro è l’ESS-ERIC basato in Svezia) ma questo numero potrebbe presto salire ben oltre i 1.000 con i Consorzi in cui lo staff di R & S è previsto essere assunto direttamente. Questo numero può salire a circa 10.000 unità nei prossimi 10 anni se le condizioni di lavoro saranno allettanti in termini di mobilità e salari all’interno dell’area di ricerca dell’UE.

La fase di avviamento della maggior parte degli ERIC è ancora basata su personale di R & S distaccato (principalmente part-time) dai paesi partecipanti attraverso le loro istituzioni di ricerca: il numero di questo personale è stimato essere superiore al migliaio, ma è già visibile la tendenza verso l’occupazione diretta,  funzionale a una maggior efficienza operativa.

Gli Statuti degli ERIC – Politiche sulle Risorse Umane

Dalla lettura degli statuti dei vari ERIC [5]1 emerge che, nella maggioranza dei casi, alla politica per il Personale  è dedicato solo un generico richiamo al principio di “pari opportunità” e qualcuno accenna a criteri di “trasparenza e pubblicità” nelle procedure di selezione del personale. Spesso si rimanda per i dettagli alle regolamentazioni interne.

Troviamo però alcuni esempi di più ampia articolazione delle politiche in materia di occupazione.

Il primo è lo statuto di DARIAH (Digital Research Infrastructure for the Arts and Humanities), che articola ampiamente la politica in materia di occupazione. Nell’Art. 28 oltre al doveroso richiamo alla. “politica di pari opportunità”,  e a una serie di principi per definire le responsabilità e garantire la trasparenza nei processi di selezione e reclutamento, sono fissati due principi interessanti sotto il profilo della mobilità:  la  “non discriminazione fra il personale impiegato direttamente e il personale distaccato” e l’attribuzione dei contratti di lavoro alla normativa nazionale del paese nel cui territorio è impiegato il personale.

Il secondo è quello di SHARE  (Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe) il cui statuto non solo richiama le pari opportunità e l’attribuzione dei contratti alle norme nazionali, ma accenna anche a come agevolare la mobilità con queste parole: “Fatti salvi i requisiti della legislazione nazionale, ciascuna Parte contraente deve, all’interno della propria giurisdizione, facilitare la circolazione e la residenza dei cittadini dei paesi della Parte contraente coinvolti nei compiti dell’ERIC-SHARE e dei familiari di tali cittadini”

Qualche indicazione sulle responsabilità in materia di occupazione è contenuta nello statuto di LIFEWATCH-ERIC.

Problematiche nella gestione del personale degli ERIC

Sinteticamente tracciato il quadro normativo di riferimento, è ora il caso di soffermarsi sui profili critici legati alla gestione delle risorse umane, riconducibili, innanzitutto, alla forte mobilità che caratterizza il personale degli ERIC (ricercatori, tecnici e amministrativi).

Problematiche normative

Problematica è, innanzitutto, la mancanza di uniformità tra le regole giuslavoristiche, previdenziali, fiscali dei diversi paesi, senza dimenticare le norme sull’immigrazione. Questa diversità crea una serie di ostacoli a quella mobilità che, come detto, è fortemente richiamata dalla Carta dei Ricercatori ed è fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi di ciascun ERIC.

Gli ostacoli non sono in linea generale differenti da quelli che devono affrontare aziende e lavoratori in mobilità internazionale e che si possono cosi sintetizzare

  • Fisco: Non esiste una norma comune europea che uniformi il trattamento fiscale delle persone in mobilità all’interno dell’Unione, ma ogni paese ha stipulato un accordo del genere con tutti gli altri: il numero degli accordi esistenti è quindi nell’ordine di svariate centinaia. Per fortuna, per la parte che più direttamente ci interessa, la generalità di questi accordi prevede la non imponibilità (o la non acquisizione della “residenza fiscale”) dei redditi di persone che restino in un paese diverso dal proprio per meno di 183 gg. Oltre questo limite temporale, il reddito prodotto nel paese (retribuzioni, bonus ecc..) sarà tassabile secondo le regole interne al Paese stesso. Resta un problema di cumulabilità  di tali redditi con quelli prodotti nel paese di origine. Il cittadino italiano, per esempio, non perde praticamente mai la residenza fiscale in Italia, a meno che non si liberi di ogni fonte di reddito o bene fiscalmente rilevante. Ne deriva che il lavoratore italiano che lavora in un Paese X,  producendo un reddito regolarmente tassato, debba denunciare tale reddito in Italia; questo si cumulerà con le altre fonti (di reddito) e per evitare che il reddito prodotto all’estero sia sottoposto a doppia imposizione dovrà  procurarsi una documentazione che attesti le imposte pagate nel Paese X,
  • Previdenza obbligatoria: è uno dei pochi campi in materia di lavoro dove esistono regolamenti europei (fin dagli anni 70 del ‘900):il n. 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (GU L 166 del 30.4.2004, pag. 1), e il N. 000/2009 settembre 2009 (GU L 284 del 30.10.2009, pag. 1) che stabilisce le modalità di applicazione del precedente. 883/2004 [6]. In estrema sintesi la normativa prevede:
    • – un lavoratore distaccato da un paese all’altro dell’Unione rimane soggetto alla legislazione del primo Stato membro a condizione che la durata prevedibile di tale lavoro non superi i ventiquattro mesi e che essa non sia inviata in sostituzione di un’altra persona distaccata. 
    • – Oltre il limite dei ventiquattro mesi il lavoratore sarà sottoposto alle regole previdenziali del paese di distacco.

– al termine dell’attività lavorativa la pensione del lavoratore sarà calcolata con il criterio della “totalizzazione dei periodi” così definita dalla Circolare INPS 88/2010:“I periodi di assicurazione, di attività subordinata, di attività autonoma o di residenza maturati sotto la legislazione di uno Stato membro si aggiungono a quelli maturati sotto la legislazione di qualsiasi altro Stato membro, nella misura necessaria, ai fini dell’applicazione dell’articolo 6, a condizione che tali periodi non si sovrappongano.”

A complicare le cose sono intervenute norme interne italiane (D.Lgs 2 febbraio 2006 n. 42 e la L. 24 dicembre 2007, n. 247 all’Art 1. 76 ) che hanno disposto, nell’interpretazione della già citata circolare INPS 88/2010 che i periodi maturati all’estero in Paesi comunitari e in Paesi legati all’Italia da convenzioni bilaterali di sicurezza sociale devono essere conteggiati, a prescindere dal limite di 3 anni previsto dall’articolo 1, comma 76, lettera a), della legge 24 dicembre 2007 n. 247, rispettando, invece, il periodo minimo necessario per l’applicazione della normativa comunitaria (1 anno) o delle singole convenzioni bilaterali”

Da tutto quanto sopra si evince che la normativa in materia di previdenza obbligatoria non agevola la mobilità dei lavoratori, soprattutto in una realtà come quella degli ERIC dove la mobilità è naturalmente “spinta”.

  • Previdenza Complementare: In questo campo non esiste una regolamentazione che uniformi i sistemi, ma la UE ha previsto l’istituto dello IORP, un tipo di fondo pensione integrativo basato in uno dei paesi dell’Unione e  alimentabile con contributi provenienti da tutti i paesi dell’EEA. Su iniziativa della Commissione Europea è stato creato un Consorzio che ha recentemente fatto nascere il Fondo pensione integrativo RESAVER destinato a tutti i lavoratori della ricerca. RESAVER IORP è operativo in Italia dopo l’approvazione dell’autorità di vigilanza COVIP.
  • Assistenza sanitaria: i regolamenti comunitari di sicurezza sociale n. 883/04 e 987/08  gli assistiti dai diversi servizi sanitari possono usufruire dell’assistenza nei paesi europei (e convenzionati) a condizione di possedere una attestazione rilasciata dal servizio del paese di origine.
  • normative sull’immigrazione da paesi extra-UE: le norme che prevedono un iter agevolato per la concessione di visti ed ingressi ai ricercatori extra-comunitari valgono solo per i ricercatori in senso stretto. Questo potrebbe creare problemi in caso di mobilità di personale tecnico o amministrativo, eventualità possibile data la natura transnazionale degli ERIC

Problematiche economiche: La mobilità dei lavoratori ha un evidente impatto sui loro trattamenti economici, i principali punti critici sono:

  • mobilità tra paesi con grande differenza negli standard e costo della vita e/o nei trattamenti fiscali e previdenziali:  è evidente che le differenze ora enunciate comportano adeguamenti nel trattamento economico del personale in mobilità tenendo conto delle differenze di costo vita e il disagio connesso alla nuova sede.
  • lavoro del coniuge/compagno/a: è chiaro il peso che la rinuncia del compagno/a ad un lavoro retribuito (e magari anche gradito) ha sulla disponibilità del lavoratore in mobilità,che deve trovare un tornaconto economico o di prospettive di carriera 
  • scuole per i figli: la possibilità o meno di garantire ai figli un’istruzione adeguata e in continuità/prospettiva con quella nazionale è ugualmente importante
  • sistemazione logistica: non diversamente da sopra, per quanto riguarda la destinazione in una sede attrattiva o meno per clima, livello di vita, sicurezza, facilità di spostamento.
  • rientro alla sede di origine: èuna fase delicata della mobilità, che va programmata e gestita con la massima attenzione, tenendo conto sia dello sviluppo di carriera che del trattamento economico.

Problematiche contrattuali

Non esiste un Contratto Collettivo di Lavoro specifico per gli ERIC, come non esiste al momento in Italia un Contratto Collettivo destinato al mondo della ricerca “privata” (cioè quella che esula dalla categoria degli Enti Pubblici di Ricerca).  Troviamo così istituzioni che applicano il CCNL Metalmeccanici, altre il CCNL Chimici/Farmaceutici o per il settore Terziario; mentre le due Fondazioni basate in provincia di Trento (Fondazione Bruno Kessler e Fondazione Edmund Mach)  applicano un loro contratto provinciale, altre ancora, come  l’Istituto Italiano di Tecnologia non applicano alcun contratto collettivo, ma si sono date un proprio regolamento e, attenendosi a questo, regolano i rapporti con i dipendenti sulla base di contratti individuali.

Soluzioni gestionali e prospettive

In questo momento, come abbiamo accennato nel punto precedente, non esistono contratti collettivi o linee guida uniformi che regolino la gestione del personale degli ERIC e ciascun consorzio opera indipendentemente dagli altri.

Il rapporto di lavoro con i dipendenti diretti è regolato in Italia da contratti individuali che richiamano i regolamenti interni di ciascun consorzio. Ci sono state iniziative comuni ma  non sono andate oltre alcune indicazioni operative per affrontare le problematiche sopra esaminate. In particolare è stato suggerito,  in assenza di norme coordinate a livello europeo, di utilizzare mobilità brevi, che consentano di mantenere la situazione fiscale e previdenziale del paese di origine  e di non affrontare le problematiche economiche legate a una presenza stabile in un altro paese.

Il crescere del numero degli ERIC, oltre alla difficoltà, comune a tutte le Istituzioni di  di gestire il “lavoro di ricerca” con contratti “industriali”, sta facendo emergere la necessità di un inquadramento comune che regoli le risorse umane che operano in un ambito così particolare e importante sia per la cultura che per l’economia del nostro Paese e qualche segnale di crescente interesse per la redazione di un contratto collettivo per la Ricerca “privata” si sta manifestando.

In realtà i problemi normativi e gestionali che riguardano le risorse umane impiegate negli ERIC necessiterebbero, per essere risolti, di un complesso di principi comuni a livello comunitario che, se è troppo ottimistico immaginare come un “Contratto Collettivo Europeo” (esistono esempi di accordi transnazionali siglati dalla Confederazione Europea dei Sindacati ETUC e dalle sue articolazioni, ma riguardano aziende multinazionali che regolano in modo comune specifiche tematiche come la Formazione o la Sicurezza sul lavoro), potrebbero portare almeno alla emanazione di linee guida comuni a tutti gli ERIC. Ma anche un’eventuale “contratto” comune non sarebbe sufficiente a sviluppare l’enorme potenziale di produzione scientifica degli ERIC nel loro complesso. Il “lavoro di ricerca” per le sue dimensioni, per la specificità degli obiettivi e le caratteristiche umane e culturali delle persone potrebbe essere un ottimo terreno su cui sperimentare da parte dell’Unione regolamentazioni più omogenee, che rendano reale un mercato comune e aperto del lavoro, abbattendo gli ostacoli alla mobilità delle persone, senza suscitare troppe apprensioni e sucettibilità sovraniste nei Paesi membri.

Al momento, l’unico segnale positivo è quello dello IORP nel campo della previdenza integrativa, che per il mondo della ricerca ha dato vita a RESAVER-IORP che, sia pure tra molte difficoltà, sta operando e sviluppando in molti paesi.

Purtroppo, non sembra che l’Unione abbia compreso appieno la rilevanza strategica delle risorse umane per il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi che si attendono dagli ERIC.

La “Seconda relazione sull’applicazione del regolamento (CE) n. 723/2009 del Consiglio, del 25 giugno 2009, relativo al quadro giuridico comunitario applicabile ad un consorzio per un’infrastruttura europea di ricerca (ERIC)” [7]del 6.7.2018 recita infatti: “Gli ERIC svolgono un ruolo importante nella deframmentazione della ricerca europea, grazie alla creazione, in modo armonizzato e strutturale, di infrastrutture di ricerca europee che sviluppano e offrono servizi nell’intera Unione, promuovendo la trasparenza nella raccolta dei dati, l’accessibilità delle informazioni e degli strumenti, e la conservazione di dati e servizi per gli utenti. Ciò non è solo inteso a migliorare il sostegno alle comunità scientifiche, ma può anche favorire politiche basate su elementi concreti in settori quali sanità, energia, ambiente e politiche di innovazione sociale e culturale.”, ma quando prende in esame le problematiche che devono affrontare gli ERIC per operare in piena efficienza cita principalmente questioni legate al trattamento fiscale dei consorzi o le modalità di registrazione nei diversi paesi citando solo di sfuggita le risorse umane.

Il Forum ERIC ha invece dimostrato di aver presente la rilevanza dei temi legati alle Risorse Umane che ha così sintetizzato, dopo una recente ricerca sui temi più rilevanti per  la comunità degli ERIC , al punto “3 Occupazione, distacco, assunzioni”: “Le sfide nell’area delle risorse umane all’interno degli ERIC vanno da: attrazione e fidelizzazione dei talenti per profili specifici, mobilità, assunzioni e processi di assunzione…”

Sarà compito dunque degli ERIC stessi, nei propri paesi, mantenere attivo lo scambio di informazioni per impostare politiche omogenee e per proporre alle autorità competenti le modifiche alle regole nazionali che ostacolano la mobilità. Il Forum ERIC a livello europeo, oltre a tenere le fila delle informazioni provenienti dai diversi paesi, dovrà sensibilizzare le Direzioni Generali della Commissione Europea interessate (Ricerca; Lavoro) sui punti critici che ostacolano la mobilità e stimolare l’introduzione di nuove regole che rendano effettiva la mobilità del personale della ricerca.

In questo modo gli ERIC potranno affrontare in modo attivo, e innovativo i temi che sono stati esaminati, cominciando dal rafforzare, con adeguati specialisti, la funzione dedicata, dato che al momento, secondo la ricerca sopra citata: “…la maggior parte degli ERIC non ha nel proprio team un membro dello staff dedicato alle risorse umane.”

di Andrea Gino CRIVELLI


[1] per dettagli vedi il sito www.eric-forum.eu

[2] vedi l’articolo del prof. Carlo Rizzuto sul Sole-24ore del 12/4/2020 https://www.ilsole24ore.com/art/la-ricerca-e-efficace-se-lascia-liberi-fare-non-se-guidata-dall-alto-ADRDeGJ

[3] https://eur-lex.europa.eu/

[4] https://cdn4.euraxess.org/sites/default/files/brochures/eur_21620_en-it.pdf

5  reperibili sul sito www.eric-forum.eu

[6] https://eur-lex.europa.eu/

[7] www.eric-forum.eu

Coronavirus

Corona Virus – Decreto Liquidità e Gestione Sindacale dei Livelli Occupazionali. Per ottenere il finanziamento, serve l’accordo sindacale sui livelli occupazionali?

La norma in discussione.

L’articolo 1 del Decreto Liquidità DL 23/2020 all’articolo 1, comma 1 prevede espressamente che “ L’impresa che beneficia delle garanzie assume l’impegno a gestire i livelli occupazionali attraverso accordi sindacali.”

Trattasi di un rilevante limite non solo per la concessione del credito, ma anche per il futuro della gestione aziendale.

La norma è, come vedremo inedita, e presenta dei tratti del tutto sintetici che necessitano di spiegazione.

Alcune ipotesi similari, ma non identiche.

La subordinazione dell’autonomia nella gestione dell’azienda soprattutto nell’ambito degli eventi di ristrutturazione a cavallo tra gli anni 80/90 era spesso caratterizzata dalla necessità di consultazione tra le parti che potevano sfociare in accordi che andavano a regolamentare e qualche volta a lenire i contraccolpi sul piano sociale ed occupazionale che tali eventi necessariamente comportavano.

I casi di maggior rilievo sono dati dal DLGS 148/2012 in tema di ammortizzatori sociali e di cassaintegrazione guadagni, laddove all’articolo 14 impone in tali casi, la preventiva comunicazione alle organizzazioni sindacali finalizzata alla stipula di eventuale accordo sindacale per disciplinare la procedura.

Analoghe procedure sono previste in tema di trasferimento d’azienda mediante l’articolo 47 della legge 428/1990 e dall’articolo 4 della legge 223/91 in tema di procedure di mobilità.

In pratica la necessaria informativa sindacale e l’eventuale accordo che ne segue si inseriscono nella gestione delle crisi o delle ristrutturazioni o riconversioni aziendali.

Si parla in questo caso di ruolo gestionale della contrattazione collettiva.

Le criticità rilevate.

La norma in esame invece costituisce il presupposto per ottenere in un momento di crisi contingente determinata da una grave pandemia, la garanzia dello stato che prelude ad un finanziamento creditizio.

Qualche voce allarmistica aveva lamentato come non avrebbe potuto accedere al credito chi non avesse allegato alla richiesta il testo dell’accordo in tema di livelli occupazionali.

Non è proprio così, la lettera richiede esclusivamente la dichiarazione dell’impegno a stipulare in sede sindacale degli accordi per gestire i livelli occupazionali.

Serve allegare il testo dell’accordo?

Infatti, sul piano relativo alla concessione del credito, la circolare ABI del 9.4.2020 impone all’impresa che beneficia della garanzia pubblica, esclusivamente di assumere l’impegno a gestire i livelli occupazionali attraverso accordi sindacali.

Questa precisazione non esclude però rilevanti perplessità sulla legittimità della norma e sulla sua portata.

Legittimità della norma – problemi.

Per quanto attiene la legittimità costituzionale, va posta debita attenzione sull’articolo 39 della Carta Costituzionale che salvaguarda la libertà sindacale e sull’articolo 41 della stessa Carta Costituzionale che sancisce la libertà di impresa con i limiti della sicurezza e dell’utilità sociale.

Imporre l’obbligo non alla trattativa, ma a contrarre per qualunque delle parti sociali, per ottenere un beneficio economico o la tutela dell’occupazione, può rasentare la violazione di tali principi.

La portata dell’impegno.

I dubbi poi sulla portata di tale normativa non sono pochi.

Nel tempo.

In primo luogo la sua durata, il credito può avere una durata massima di sei anni e ciò starebbe a significare che l’obbligo a definire con la contrattazione ogni intervento sulla gestione dei livelli occupazionali avrebbe una simile durata.

I casi di applicazione.

Ulteriore aspetto che meriterebbe una migliore definizione è dato dai casi di applicazione della fattispecie.

Essa trova applicazione ai soli fenomeni collettivi che toccano gli assetti occupazionali o si estende anche ai licenziamenti individuali di natura economica definiti come licenziamenti per giustificato motivo oggettivo?

A prima vista, parrebbe che il termine livelli occupazionali indichi l’assetto generale dell’occupazione e che quindi non possa interessare il singolo licenziamento, ma la causale economica dello stesso è pur sempre il sintomo di una difficoltà dei livelli occupazionali.

Inoltre a considerare solo i casi che interessano una collettività di occupati, essi già prevedono ipotesi di consultazione e di eventuale definizione contrattuale collettiva.

Dunque in base ad un concetto quanto mai generale e letterale di livelli occupazionali, andrebbero compresi i licenziamenti collettivi, ogni forma di mobilità, cassa integrazione e probabilmente anche il trasferimento d’aziende.

In tutti questi casi, alla ordinaria convocazione sindacale, dovrebbe seguire l’inevitabile e obbligatorio accordo con un sindacato che, come suo diritto, potrebbe anche non voler essere vincolato da accordi.

Le conseguenze negative.

D’altro canto, a vedere la questione dalla parte sindacale, l’organizzazione dei lavoratori potrebbe essere costretto ad accordi ingiusti a pena del mancato conferimento del finanziamento e della chiusura dell’azienda.

La mancanza dell’accordo potrebbe comportare la revoca della garanzia e nel caso di licenziamento la nullità dello stesso, inoltre l’organizzazione dei lavoratori, in caso di mancato accordo, potrebbe agire in base all’articolo 28 dello Statuto dei Lavoratori denunciando la condotta antisindacale.

I rimedi

Necessita quindi un intervento chiarificatore in sede di conversione in legge del decreto che ne chiarisca la durata, la portata ed affronti l’ipotesi in cui la controparte non intenda sottoscrivere l’accordo.

Fabio Petracci.

Coronavirus

Video. Labor network in streaming: la gestione dei rapporti di lavoro ai tempi del coronavirus.

Pubblichiamo il video del webinar organizzato da Labor network (www.labornetwork.it) il 15 aprile sulla gestione dei rapporti di lavoro ai tempi del coronavirus.
L’intervento del avv. Petracci in merito alla sicurezza sul lavoro nell’emergenza COVD – CORONAVIRUS con particolare attenzione allo stress lavoro correlato e burn out delle categorie più a rischio inizia a 1h 44 min.

Coronavirus

Emergenza Coronavirus Il decreto liquidità n.23/2020 dell’8 aprile. Disposizioni in materia di Salute e di Lavoro. – articolo 38 – Disposizioni in materia di Medicina Convenzionata. I medici di base una categoria di lavoratori troppo trascurata. Di Fabio Petracci già Presidente (2009/2012) del Collegio Arbitrale Regione FVG Commissione Paritetica – Medici di Base FVG.

Le recenti disposizioni di legge sull’emergenza COVID

Il decreto liquidità al Capo VI articolo 38 dopo aver trattato prevalentemente temi finanziari, si sofferma su alcune disposizioni urgenti in materia contrattuale in favore della medicina convenzionata, anticipando gli effetti economici dell’Accordo Collettivo Nazionale 2016 – 2018.

La norma dichiaratamente è finalizzata a compensare la categoria del maggior impegno richiesto ai medici convenzionati per garantire la continuità assistenziale durante l’emergenza sanitaria in corso.

La legge specifica poi che le misure economiche a favore dei professionisti vengono adottate anche per garantire la reperibilità a distanza dei medici della medicina generale (telefonica, SMS, Sistemi di messagistica, Sistemi di videocontatto e videoconsulto) per tutta la giornata anche con l’ausilio del personale di studio, in modo da contenere il contatto diretto e conseguentemente limitare i rischi di contagio dei medici e del personale stesso.

Si attribuisce quindi ai medici l’onere di dotarsi di sistemi di piattaforme digitali che consentano il contatto ordinario e prevalente con i pazienti fragili e cronici gravi, collaborando a distanza, sorvegliando inoltre i pazienti in quarantena o in isolamento o in fase di guarigione dimessi precocemente dagli ospedali.

L’intervento legislativo trova in realtà la propria ragione nella difficile situazione in cui si sono trovati i medici di base di fronte all’avanzare del contagio.

Medici di base e coronavirus.

Naturalmente nel corso dell’epidemia le categorie professionali maggiormente visibili a causa anche dei rischi e dello stress sono stati i medici e gli infermieri degli ospedali che hanno operato nei reparti d terapia intensiva.

Importante è stato anche l’apporto dei medici di famiglia vera e propria linea di comunicazione tra il fronte ospedaliero ed il manifestarsi del contagio sul territorio.

In realtà spesso questo contatto ha incontrato notevoli difficoltà, in quanto questa categoria che si pone a metà strada tra il libero professionista ed il medico dipendente non ha ricevuto i supporti organizzativi, informativi, nonché le attrezzatture necessarie.

La categoria ha avuto tra l’altro numerosi deceduti in servizio a causa del contagio.

La pandemia sviluppatasi ha infatti messo a dura prova l’operatività delle strutture sul territorio evidenziando come non sempre abbia funzionato il raccordo tra l’attività di cura ospedaliera ed il rilevamento del contagio sul territorio.

Si è ampiamente evidenziata la necessità di una nuova organizzazione della medicina convenzionata ed un doveroso riconoscimento della sua importanza e del suo potenziamento.

Una breve storia della regolamentazione del lavoro di questa categoria di professionisti.

La Medicina Generale del Territorio in alcuni paesi denominata medicina di famiglia, è un settore professionale di recente istituzione.

In Italia, sino alla prima metà del novecento, le cure mediche primarie sul territorio erano affidate alle condotte mediche.

Di seguito, si passava all’assistenza medica mutualistica.

Verso la fine degli anni 70, si decideva di avvicinarsi al modello inglese che affidava a ciascun medico una lista di pazienti, in modo che tutta la popolazione potesse avere un proprio medico di riferimento.

Tale modello venne adottato con la riforma della sanità del 1978.

La Riforma Sanitaria.

L’articolo 48 della legge 23.12.1978 n.833 (Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale), esordiva menzionando un accordo economico nazionale che doveva disciplinare il rapporto di lavoro e l’organizzazione dei medici convenzionati che avrebbero dovuto operare sul territorio.

La legge imponeva in ogni caso che detti accordi dovessero rispettare determinati parametri.

Quali un rapporto ottimale tra medico ed assistibili che avrebbe poi dovuto determinare il pagamento del compenso. Dovevano inoltre essere stabiliti dei precisi percorsi di formazione e degli elenchi unici. Erano imposte inoltre tutta una serie di incompatibilità e delle forme di controllo da parte di apposite commissioni paritetiche di disciplina che potevano anche irrogare sanzioni, rispettando i principi della contestazione degli addebiti.

Le finalità di questa organizzazione contrattualizzata erano quelle di assicurare la continuità dell’assistenza e forme di prevenzione e di educazione sanitaria.

Si creava quindi un corpo di liberi professionisti disciplinati da un contratto collettivo nazionale, istituendosi così una categoria di medici la cui prestazione era sicuramente autonomo, pur risentendo di molti aspetti del lavoro dipendente.

La Legge Balduzzi.

Il decreto legge n.158/2012 come convertito in legge n.189/2012 opera la riforma dello status dei professionisti di medicina generale.

Esso istituisce in primo luogo, un ruolo unico per le figure professionali dei medici di base e dei medici di guardia. (comma 3 articolo 1 DL n.183/2012).

Il comma 1 del medesimo articolo 1 invece, riordina l’attività dei soggetti convenzionati richiedendo che essa sia svolta all’interno di strutture organizzative mono professionali o multi professionali.

Si vuole in tal modo creare delle strutture sanitarie organizzate e sempre disponibili sul territorio affidandole ai medici di base venendo così incontro anche al ridimensionamento delle strutture sanitarie principali ed evitando l’ormai noto intasamento del pronto soccorso.

La riforma non attecchisce boicottata anche da spinte corporative e dal subentro di altri ministri al dicastero della sanità.

Forse l’attuale contingenza potrebbe indurre a qualche ulteriore riflessione.

Lavoro Agile, oggi una necessità, domani una opportunità.

IL LAVORO AGILE – SMART WORKING

1. Il lavoro agile (Smart Working) e il lavoro a domicilio (il telelavro): punti in comune e differenze; 2. Il lavoro agile (Smart Working) nell’attuale legislazione; 3. Contratti ed esperimenti di lavoro agile (Smart Working) già in essere. Possibilità di applicazione; 4. Punti critici: come determinare la retribuzione, controllo e potere disciplinare, riservatezza, personalità della prestazione, aspetti previdenziali; 5. Il lavoro agile (Smart Working) nel pubblico impiego: il testo unico e la normativa in materia, disposizioni contrattuali, circolari, esperienze, la normativa dell’emergenza, regolamenti degli enti pubblici.

1. Il lavoro agile (Smart Working) e il lavoro a domicilio (il telelavro): punti in comune e differenze

Il lavoro agile – o Smart Working – viene introdotto nel nostro ordinamento con la legge 22 maggio 2017 n. 81, con il fine di conciliare i tempi di vita e di lavoro e, in questo modo, di aumentare la produttività. La legge lo definisce come una modalità di prestazione del lavoro subordinato, riportante delle peculiarità delineate dalla legge stessa.

La pratica del lavoro agile porta dei vantaggi: il miglioramento della qualità della vita del lavoratore, che ha più tempo libero a disposizione da dedicare a se stesso e alla famiglia, comporta un miglioramento dei profitti aziendali poiché il benessere del dipendente aumenta la produttività e riduce l’assenteismo. Inoltre, la riduzione degli spostamenti per recarsi sul posto di lavoro riduce l’impatto ambientale, oltre a ridurre gli infortuni in itinere (ridotti anche grazie a una qualità della vita meno frenetica del lavoratore).

Il lavoro a domicilio – o telelavoro – è stato introdotto invece dal DPR n. 70/1999 e ripreso dall’articolo 1 dell’Accordo del 9 giugno del 2004. Per tale modalità di lavoro si intende una prestazione lavorativa subordinata effettuata regolarmente a distanza dal lavoratore, cioè al di fuori della sede di lavoro, con il prevalente supporto di tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

Le due modalità lavorative riportano dei punti in comune:

  • Si tratta di una prestazione di lavoro subordinato;
  • La prestazione lavorativa non avviene all’interno dei locali aziendali;
  • La possibilità di utilizzo di un supporto tecnologico;
  • La possibilità, tanto per il settore privato come per il settore pubblico, di optare per tale modalità di lavoro.

Nonostante le somiglianze, vengono riportate tuttavia delle differenze:

  • La disciplina dello Smart Working esclude l’applicazione della normativa sul telelavoro, inadeguata di fronte alla veloce evoluzione degli strumenti tecnologici, oltre ad essere più rigida e costosa;
  • Il luogo di lavoro nel caso dello Smart Working è flessibile e non deve svolgersi obbligatoriamente sul luogo di lavoro, mentre nel caso il telelavoro è sì disancorato dai locali aziendali, ma prefissato;
  • Dalla flessibilità del luogo di lavoro deriva che, nel caso dello Smart Working, il datore di lavoro deve individuare nell’informativa periodica (con cadenza almeno annuale) i rischi generali e specifici connessi alla modalità della prestazione, mentre nel caso del telelavoro (di cui, a differenza dello Smart Working, si conosce in anticipo il luogo della prestazione) il datore deve anche garantire la sicurezza dei luoghi che il dipendente utilizza per lavorare;
  • L’orario di lavoro nel caso dello Smart Working è flessibile (comportando il diritto del lavoratore alla disconnessione), mentre è definito nel telelavoro ed equivale alla durata della prestazione in azienda.

Il tempo del lavoro assume quindi natura definitoria per distinguere le due fattispecie.

2. Il lavoro agile (Smart Working) nell’attuale legislazione

Come già accennato sopra, il lavoro agile viene introdotto nel nostro ordinamento dalla legge 22 maggio 2017 n. 81, con la finalità di aumentare la produttività permettendo al lavoratore la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

La definizione di lavoro agile viene delineata dalla legge attraverso alcune caratteristiche:

  • L’esecuzione della prestazione lavorativa avviene solo in parte all’interno dei locali aziendali e con i vincoli di orario massimo derivanti da legge e contrattazione collettiva;
  • La possibilità di utilizzo di strumenti tecnologici;
  • L’assenza di postazione fissa nei periodi di lavoro svolti fuori dai locali aziendali;
  • La volontarietà della prestazione;
  • La necessarietà di un accordo scritto tra le parti, che definisca le modalità di esecuzione della prestazione quando resa all’infuori dei locali aziendali e gli strumenti utilizzati dal dipendente, oltre all’individuazione del tempo del lavoro e del rispetto dei tempi di riposo e all’individuazione del periodo di preavviso di recessione dell’accordo a tempo indeterminato che non sia inferiore a 30 giorni;
  • La durata dell’accordo può essere a tempo determinato o indeterminato e ciascuno dei contraenti può recedere prima della scadenza del termine (se a tempo determinato) o senza preavviso se sussiste una giusta causa (se a tempo indeterminato). Se questa mancasse, l’accordo deve prevedere un periodo di preavviso comunque non inferiore a 30 giorni.

3. Contratti ed esperimenti di lavoro agile (Smart Working) già in essere. Possibilità di applicazione

Diverse grandi imprese, alla proposta di riforma che avrebbe introdotto lo Smart Working nell’ordinamento italiano, si sono dimostrate poco interessate. Da un lato, il quadro normativo non era certo ed interpretabile, e dall’altro lato non era chiara la materia di modalità di utilizzo degli strumenti e di gestione delle questioni riguardanti salute e sicurezza sul lavoro.

Altre imprese, invece, avevano adottato già dal 2016 delle modalità di Smart Working. Questo ha aperto le porte a delle opportunità, ad esempio gli uffici condivisi di co-working, e può aprirne in futuro per combattere la discriminazione di genere:

A. La modalità dello Smart Working in spazi di co-working

Come già evidenziato da Il Sole 24 ore nel 2015, sono stati sperimentati degli spazi di co-working, ossia degli uffici in condivisione tra più professionisti che lavorano con la modalità dello Smart Working. A Milano è stato aperto uno di questi spazi che può ospitare fino a 5mila lavoratori, ma esistono anche altre numerose realtà di co-working tra l’Italia e la Svizzera. Il vantaggio di questo tipo di uffici, secondo Mauro Mordini (Country Manager di Regus) è quello di pagare solo per ciò che effettivamente si usa (linee telefoniche, WiFi ecc.) e di usufruire di spazi diversi per il lavoro a seconda delle esigenze. L’abitazione del lavoratore non è un ambiente professionale e non dà accesso a tutti gli strumenti che si possono trovare in uno spazio condiviso, permettendo inoltre un risparmio sui costi fissi. Viene offerta un’occasione, tra l’altro, di creare un network di contatti che si generano da un ufficio in cui coesistono più piani e più realtà.

B. Lo Smart Working come modalità per combattere la discriminazione di genere

I presupposti da prendere in considerazione sono tre:

  • l proposito dell’introduzione dello Smart Working nell’ordinamento italiano con la legge del 22 maggio 2017 n.81 è quello di aumentare la produttività permettendo al lavoratore una più semplice conciliazione dei tempi del proprio lavoro e della propria vita;
  • Vantaggi derivanti dalla stipulazione di tali accordi sono il miglioramento della qualità della vita del lavoratore, poiché diventa meno frenetica vista anche la riduzione degli spostamenti per recarsi al luogo di lavoro;
  • Come evidenziato a livello tanto nazionale quanto dai lavori degli ultimi anni della Commissione Europea, molte donne italiane sono fin troppo spesso costrette ad optare per soluzioni di riduzione dell’orario di lavoro (part-time), riducendo così anche lo stipendio e i contributi previdenziali, se non addirittura lasciando il lavoro per un periodo o definitivamente (comportando la mancanza di stipendio e contributi previdenziali), poiché il carico della vita famigliare è tutto sulle loro spalle. Questo comporta, ad esempio, una discriminazione indiretta di misure in materia previdenziale, come ad esempio la legge 28 marzo 2019 n.26 che istituisce la modalità di pensionamento anticipato Quota 100. Lavorando meno ore rispetto agli uomini o dovendo lasciare il lavoro per un periodo o definitivamente per prendersi cura della famiglia (oltre al discorso sul gender pay gap), per le donne è più arduo versare i contributi per gli anni necessari necessari per poter accedere alla pensione anticipata, nonostante la previsione della c.d. opzione donna. Inoltre, le donne sono più esposte al rischio di infortuni in itinere poiché il dover conciliare i tempi del lavoro con le necessità famigliari le porta a muoversi più di fretta rispetto agli uomini.

Un accordo di Smart Working, quindi, può essere un’occasione per la donna per non dover lasciare il lavoro o per non essere costretta ad optare per una riduzione dell’orario di lavoro, siccome lo stesso scopo che si propone l’introduzione della modalità è rendere facile al lavoratore (la lavoratrice) la conciliazione tra il tempo del lavoro e della propria vita. La lavoratrice, allora, non si troverebbe costretta ad accontentarsi di un salario ridotto (o mancante) e potrebbe versare i contributi previdenziali senza veder svanire la possibilità, ad esempio, di un pensionamento anticipato.

Inoltre, la riduzione degli spostamenti permetterebbe alla lavoratrice di non dover muoversi in fretta, riducendo gli infortuni in itinere.

4. Punti critici: come determinare la retribuzione, controllo e potere disciplinare, riservatezza, personalità della prestazione, aspetti previdenziali

Il dipendente, nello svolgimento della propria mansione con le modalità dello Smart Working, ha diritto ad una retribuzione non inferiore a quella corrisposta agli altri lavoratori subordinati a parità di mansioni svolte.

Il potere disciplinare del datore di lavoro è lo stesso previsto dall’art. 7 della legge 20 maggio 1970 n. 300 (lo Statuto dei Lavoratori), dei limiti della legge e dell’accordo raggiunto con il lavoratore. L’accordo tra le parti, oltretutto, deve precisare eventuali altri comportamenti disciplinarmente rilevanti ulteriori rispetto a quelli già individuati dal datore di lavoro nel codice disciplinare esposto in azienda.

Il datore di lavoro, inoltre, deve garantire la protezione dei dati utilizzati ed elaborati dal lavoratore che svolge la sua prestazione lavorativa in modalità di Smart Working.

Dal punto di vista della sicurezza sul lavoro, come già accennato nel primo capitolo, il datore di lavoro ha l’obbligo generale di garantire la salute e la sicurezza del lavoratore in modalità di lavoro agile, ma ha anche l’obbligo di informativa periodica (almeno una volta all’anno) in cui deve individuare i rischi generali e specifici connessi alla modalità di adempimento alla prestazione lavorativa. Se dovesse verificarsi un infortunio durante lo svolgimento dell’attività lavorativa all’infuori dei locali aziendali, connesso con la prestazione lavorativa, la legge stabilisce il diritto alla copertura INAIL.

5. Il lavoro agile (Smart Working) nel pubblico impiego: il testo unico e la normativa in materia, disposizioni contrattuali, circolari, esperienze, la normativa dell’emergenza, regolamenti degli enti pubblici.

Il lavoro agile nel settore pubblico

Il lavoro agile era già stato previsto come applicabile al pubblico impiego con l’art. 14 della legge 7 agosto 2015 n. 124, Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, che introduceva nuove misure per la promozione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, che le varie amministrazioni avrebbero dovuto applicare dal momento dell’entrata in vigore della legge.

Queste, infatti, con il limite delle risorse di bilancio disponibile con la legislazione vigente e senza oneri ulteriori per la finanza pubblica, avrebbero dovuto adottare misure per fissare gli obiettivi annuali per l’attuazione del telelavoro, ma soprattutto sperimentare la modalità di prestazione lavorativa dello Smart Working.

Misure, queste, concernenti l’organizzazione del lavoro basate sulla flessibilità lavorativa che tenga conto dei bisogni dei dipendenti in modo da conciliare i loro tempi della vita e del lavoro, che permettano entro tre anni ad almeno il 10% dei dipendenti, che richiedano l’accordo per lavorate con tale modalità, di avvalersi delle nuove e flessibili modalità lavorative, con la garanzia di non subire penalizzazioni ai fini del riconoscimento della professionalità e della progressione di carriera.

Destinatari di tali misure sono tutti i dipendenti delle amministrazioni pubbliche, senza discriminazioni. A tale proposito viene istituito un organo di controllo, il Comitato Unico di Garanzia. I dirigenti, anch’essi potenziali fruitori della misura, sono tenuti a salvaguardare le aspettative di chi utilizza le nuove modalità in termini di formazione e crescita professionale e promuovano percorsi informativi e formativi che non escludano i lavoratori dal contesto lavorativo, dai processi di innovazione in atto e dalle opportunità professionali.

Le varie amministrazioni sono tenute a:

  • Adottare misure che permettano al lavoratore di conciliare i tempi del lavoro e della propria vita, che non prevedano per forza la presenza del lavoratore nei locali aziendali;
  • Dare la precedenza alla fruizione dei lavoratori che si trovino in condizioni di svantaggio personale, familiare e sociale e dei dipendenti impegnati in attività di volontariato;
  • Individuare le attività che non sono compatibili con la nuova modalità di lavoro, tenendo conto dell’obbiettivo per il triennio successivo all’entrata in vigore della legge della fruizione della misura da parte di almeno il 10% dei dipendenti che lo richiedano;
  • Individuare degli obbiettivi prestazionali specifici, misurabili, coerenti e compatibili con il contesto organizzativo che permettano di responsabilizzare il personale e di valutare e valorizzare la prestazione in termini di risultati effettivamente raggiunti, obbiettivi tanto quantitativi come qualitativi;
  • Promuovere dei corsi di formazione, in particolare per i dirigenti, per una maggiore diffusione del ricorso alla nuova modalità lavorativa e per incrementare produttività e modelli organizzativi più competitivi;
  • Riprogettare lo spazio fisico e virtuale del lavoro, creando anche degli spazi condivisi;
  • Promuovere l’uso della tecnologia per la prestazione lavorativa, anche per colmare il c.d. digital divide per il consolidamento di una struttura amministrativa basata su reti informatiche e tecnologicamente avanzate.

A tal proposito, è necessaria un’attenta analisi del contesto dell’organizzazione del lavoro interna all’amministrazione, la definizione degli obiettivi e delle caratteristiche del progetto generale di Smart Working, avviare poi la sperimentazione, ed infine monitorarla e valutarla.

La direttiva è vincolante per le Amministrazioni dello Stato:

  • Scuole;
  • Aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo;
  • Regioni, Province, Comuni, Comunità montane e loro consorzi e associazioni;
  • Università;
  • Istituti autonomi case popolari;
  • Camere di commercio e loro associazioni;
  • Tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali;
  • Amministrazioni, aziende ed enti del Servizio sanitario nazionale;
  • Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie (ad esempio, l’Agenzia delle Entrate).

La normativa dell’emergenza

Vista la pandemia del virus COVID-19 che negli ultimi mesi si sta diffondendo non solo in tutta Europa, ma anche in tutto il mondo, si è vista la necessità di un distanziamento sociale per rallentare – e poi fermare – il contagio. La necessità sottesa allo Smart Working, quindi, in questo periodo non è tanto la conciliazione dei tempi del lavoro e della vita del lavoratore, quanto la necessità di evitare contatti con le altre persone nei locali aziendali.

La necessità di salvaguardare la salute e sicurezza dei lavoratori sul luogo di lavoro stato evidenziato dal DL 2 marzo 2020 n.9 (e successive modifiche) e dal Protocollo condiviso dal Governo e dalle Parti Sociali del 14 marzo 2020 – Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro. Entrambe le fonti legali dispongono di preferire l’applicazione della misura, ove possibile, dello Smart Working, tanto nel settore privato come nel settore pubblico.

Il DL 25 marzo 2020 n.19 dedica al pubblico impiego gli articoli 18 e seguenti e, incentrato sull’applicazione dello Smart Working, è l’articolo 18:

  • Art. 18 Misure di ausilio allo svolgimento del lavoro agile da parte dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni e degli organismi di diritto pubblico: per agevolare lo Smart Working vengono incrementati del 50% i quantitativi massimi delle vigenti convenzioni-quadro di Consip SPA per la fornitura di PC e tablet ai lavoratori, fatta salva la facoltà, da parte dell’aggiudicatario, di recesso da esercitarsi entro 15 giorni dalla comunicazione della modifica da parte della stazione appaltante. Nel caso di recesso o aumento dei quantitativi non soddisfacente al fabbisogno delle Pubbliche Amministrazioni, è possibile pubblicare dei bandi di gara.

Tuttavia, come esposto nell’articolo Lavorare da casa sta innalzando la produttività (ma si lavora anche di più). I primi dati, comparso sulla rivista Forbes Italia il 2 aprile 2020, molti dei lavoratori alle dipendenze di aziende pubbliche quanto di pubbliche amministrazioni ritengono di lavorare di più rispetto alle ore di lavoro all’interno dei locali aziendali (ricerca condotta da OnePoll per conto di Citrix Systems – fornitore statunitense di sistemi di business continuity, coinvolgente 5mila lavoratori in tutto il mondo, Italia compresa). Il 22,1% degli italiani intervistati sostiene di aver lavorato almeno un giorno da casa anche prima dell’emergenza mondiale, il 70,8% sostiene di lavorare le stesse ore lavorate in ufficio o superiori e il 78,9% sostiene che i livelli di produttività sono uguali o superiori.

Questi dati, probabilmente, saranno dovuti al fatto che la normativa dell’emergenza ha velocizzato il passaggio dal lavoro nei locali aziendali al lavoro agile, omettendo ad esempio la fase di formazione prevista invece dalla legge 7 agosto 2015 n. 124. La differente ratio delle due fonti, tuttavia, non può giustificare la restrizione del diritto del lavoratore al rispetto dell’orario di lavoro ed alla disconnessione.

Fabio Petracci

Chiara Bassanese

Coronavirus

CORONA VIRUS E SICUREZZA SUL LAVORO – SE LAVORO E CONTRAGGO IL VIRUS.

CORONA VIRUS E SICUREZZA SUL LAVORO.

Commento al protocollo condiviso di regolamentazione delle misure 

per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro e brevi osservazioni in tema di sicurezza e responsabilità del datore di lavoro

In data 14 marzo 2020, è stato sottoscritto da Governo, sindacati ed associazioni datoriali un “Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”, in attuazione della misura, contenuta all’articolo 1, comma primo, numero 9), del DPCM 11 marzo 2020, che – in relazione alle attività professionali e alle attività produttive – raccomanda intese tra organizzazioni datoriali e sindacali. 

Nella premessa del Protocollo viene precisato che il documento contiene le linee guida condivise tra le Parti per agevolare le imprese nell’adozione di protocolli di sicurezza anti-contagio, considerato che la prosecuzione delle attività produttive può avvenire esclusivamente solo in presenza di condizioni che assicurino ai lavoratori adeguati livelli di protezione.

Il testo del documento si suddivide in n. 13 punti, che analizzeremo partitamente.

Il punto 1) è dedicato all’informazione; ciascuna azienda, attraverso le modalità più idonee ed efficaci, informa tutti i lavoratori e chiunque entri in azienda circa le disposizioni delle Autorità, consegnando e/o affiggendo all’ingresso e nei luoghi maggiormente visibili dei locali aziendali appositi depliantinformativi, con particolare riferimento:

  • All’obbligo di rimanere al proprio domicilio in presenza di febbre (oltre 37.5°) o altri sintomi influenzali e di chiamare il proprio medico di famiglia e l’autorità sanitaria;
  • Alla consapevolezza e all’accettazione del fatto di non poter fare ingresso o di poter permanere in azienda e di doverlo dichiarare tempestivamente laddove, anche successivamente all’ingresso, sussistano le condizioni di pericolo
  • All’impegno a rispettare tutte le disposizioni delle Autorità e del datore di lavoro nel fare accesso in azienda.
  • All’impegno ad informare tempestivamente e responsabilmente il datore di lavoro della presenza di qualsiasi sintomo influenzale durante l’espletamento della prestazione lavorativa, avendo cura di rimanere ad adeguata distanza dalle persone presenti.

Il successivo punto 2) riguardale modalità d’ingresso in azienda. Il personale, prima dell’accesso al luogo di lavoro potrà – seppur nel rispetto della disciplina vigente in materia di trattamento dei dati personali – essere sottoposto al controllo della temperatura corporea. Nel caso di controllo e rilevazione di temperatura corporea superiore ai 37,5°, non sarà consentito l’accesso ai luoghi di lavoro.

Ancora, il datore di lavoro deve informare preventivamente sia il personale sia chi intende fare ingresso in azienda, della preclusione dell’accesso a chi, negli ultimi 14 giorni, abbia avuto contatti con soggetti risultati positivi al COVID-19 o provenga da zone a rischio secondo le indicazioni dell’OMS.

Il punto 3) è relativo alle modalità di accesso in azienda dei fornitori esterni. Per l’accesso di questi ultimi è necessario individuare apposite procedure di ingresso, transito e uscita, mediante modalità, percorsi e tempistiche predefinite, al fine di ridurre le occasioni di contatto con il personale in forza nei reparti/uffici coinvolti.

Ancora, gli autisti dei mezzi di trasporto dovranno preferibilmente rimanere a bordo dei propri mezzi; a costoro non è consentito l’accesso agli uffici aziendali per nessun motivo. Per le necessarie attività di approntamento delle attività di carico e scarico, il trasportatore dovrà in ogni caso attenersi alla rigorosa distanza di un metro.

Per fornitori/trasportatori e/o altro personale esterno l’azienda dovrà individuare/installare servizi igienici dedicati, prevedendo contestualmente il divieto di utilizzo dei servizi igienici a disposizione del personale dipendente oltre a garantire una adeguata pulizia giornaliera dei medesimi.

Va ridotto l’accesso ai visitatori esterni e, qualora l’ingresso fosse necessario (es. ditte di pulizia) questi lavoratori esterni dovranno sottostare a tutte le regole aziendali, ivi comprese quelle per l’accesso ai locali aziendali.

Nel caso sia presente un servizio di trasporto organizzato dall’azienda va garantita e rispettata la sicurezza dei lavoratori lungo ogni spostamento.

Viene altresì specificato che le norme del Protocollo si estendono anche alle aziende in appalto.

Al punto 4) si tratta della pulizia e sanificazione in azienda. In particolare, l’azienda assicura la pulizia giornaliera e la sanificazione periodica dei locali, degli ambienti, delle postazioni di lavoro e delle aree comuni e di svago. Nel caso di presenza di una persona con COVID-19 all’interno dei locali aziendali, si procede alla pulizia e sanificazione ed alla ventilazione dei locali.

Viene richiesto di garantire la pulizia a fine turno e la sanificazione periodica di tastiere, schermi touch, mouse con adeguati detergenti, sia negli uffici, sia nei reparti produttivi 

Ancora, l’azienda, in ottemperanza alle indicazioni del Ministero della Salute e secondo le modalità ritenute più opportune, può organizzare interventi particolari/periodici di pulizia ricorrendo agli ammortizzatori sociali (anche in deroga).

Il punto 5) è dedicato alle precauzioni igieniche personali da adottare. È obbligatorio che le persone presenti in azienda adottino tutte le precauzioni igieniche, in particolare per le mani; in tal senso, è raccomandata la frequente pulizia delle mani con acqua e sapone. In tal senso, l’azienda mette a disposizione idonei mezzi detergenti.

Al punto 6) sono contenute le prescrizioni per i DPI (Dispositivi di Protezione Individuale). L’adozione delle misure di igiene e dei dispositivi di protezione individuale è fondamentale e, vista l’attuale situazione di emergenza, è evidentemente legata alla disponibilità in commercio. Pertanto, le mascherine dovranno essere utilizzate in conformità a quanto previsto dalle indicazioni dell’OMS. In caso di difficoltà di approvvigionamento e alla sola finalità di evitare la diffusione del virus, potranno essere utilizzate mascherine la cui tipologia corrisponda alle indicazioni dall’autorità sanitaria.

Peraltro, qualora il lavoro imponga di lavorare a distanza interpersonale minore di un metro e non siano possibili altre soluzioni organizzative è comunque necessario l’uso delle mascherine e di altri dispositivi di protezione (guanti, occhiali, tute, cuffie, camici, ecc…) conformi alle disposizioni delle autorità scientifiche e sanitarie. 

Considerata la situazione, è favorita la preparazione da parte dell’azienda del liquido detergente secondo le indicazioni dell’OMS. 

Il punto 7) è relativo alla gestione degli spazi comuni in azienda. In tal senso, l’accesso agli spazi comuni, è contingentato, con la previsione di una ventilazione continua dei locali, di un tempo ridotto di sosta all’interno di tali spazi e con il mantenimento della distanza di sicurezza di 1 metro tra le persone che li occupano. 

Inoltre, occorre provvedere alla organizzazione degli spazi e alla sanificazione degli spogliatoi per lasciare nella disponibilità dei lavoratori luoghi per il deposito degli indumenti da lavoro e garantire loro idonee condizioni igieniche sanitarie ed occorre garantire la sanificazione periodica e la pulizia giornaliera, con appositi detergenti dei locali mensa, delle tastiere dei distributori di bevande e snack. 

Il punto 8) è dedicato all’organizzazione aziendale. Per il periodo d’emergenza, le imprese potranno, avendo a riferimento quanto previsto dai CCNL e favorendo così le intese con le rappresentanze sindacali aziendali, disporre la chiusura di tutti i reparti diversi dalla produzione o, comunque, di quelli dei quali è possibile il funzionamento mediante il ricorso allo smart working, o comunque a distanza nonché procedere ad una rimodulazione dei livelli produttivi ed assicurare un piano di turnazione dei dipendenti dedicati alla produzione con l’obiettivo di diminuire al massimo i contatti e di creare gruppi autonomi, distinti e riconoscibili. 

Con riguardo a tutte quelle attività che possono essere svolte presso il domicilio o a distanza viene raccomandato di utilizzare lo smart working. Nel caso vengano utilizzati ammortizzatori sociali, anche in deroga, deve sempre essere valutata la possibilità di assicurare che gli stessi riguardino l’intera compagine aziendale, se del caso anche con opportune rotazioni.

Viene raccomandato di utilizzare in via prioritaria gli ammortizzatori sociali disponibili nel rispetto degli istituti contrattuali (par, rol, banca ore) generalmente finalizzati a consentire l’astensione dal lavoro senza perdita della retribuzione e, nel caso l’utilizzo dei predetti istituti non risulti sufficiente, si utilizzeranno i periodi di ferie arretrati e non ancora fruiti.

Da ultimo, sono sospese e annullate tutte le trasferte/viaggi di lavoro nazionali e internazionali, anche se già concordate o organizzate 

Il punto 9) riguarda la gestione dell’ingresso e uscita dei dipendenti. Sono favoriti orari di ingresso/uscita scaglionati in modo da evitare il più possibile contatti nelle zone comuni e, se possibile, occorre dedicare una porta di entrata e una porta di uscita dalle predette zone comuni e garantire la presenza di detergenti segnalati da apposite indicazioni.

Il punto 10) è relativo alla gestione degli spostamenti interni, riunioni, eventi interni e formazione.

Gli spostamenti all’interno del sito aziendale devono essere limitati al minimo indispensabile e nel rispetto delle indicazioni aziendali e non sono consentite le riunioni in presenza. Laddove le stesse fossero connotate dal carattere della necessità e urgenza, nell’impossibilità di collegamento a distanza, dovrà essere ridotta al minimo la partecipazione necessaria e, comunque, dovranno essere garantiti il distanziamento interpersonale e un’adeguata pulizia/areazione dei locali.

Di conseguenza, sono sospesi e annullati tutti gli eventi interni e ogni attività di formazione in modalità in aula, anche obbligatoria, anche se già organizzati; qualora l’organizzazione aziendale lo permetta, è possibile effettuare la formazione a distanza, anche per i lavoratori in smart working. 

In ogni caso, il mancato completamento dell’aggiornamento della formazione professionale e/o abilitante entro i termini previsti per tutti i ruoli/funzioni aziendali in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, dovuto all’emergenza in corso e quindi per causa di forza maggiore, non comporta l’impossibilità a continuare lo svolgimento dello specifico ruolo/funzione.

Quindi il punto 11) prevede le indicazioni per la gestione di una persona sintomatica in azienda. 

Nel caso in cui una persona presente in azienda sviluppi febbre e sintomi di infezione respiratoria quali la tosse, lo deve dichiarare immediatamente all’ufficio del personale e si dovrà immediatamente procedere al suo isolamento in base alle disposizioni dell’autorità sanitaria. L’azienda procede immediatamente ad avvertire le autorità sanitarie competenti e i numeri di emergenza dedicati.

Ciascuna azienda collabora con le Autorità sanitarie per la definizione degli eventuali “contatti stretti” di una persona presente in azienda che sia stata riscontrata positiva al tampone COVID-19. Ciò al fine di permettere alle autorità di applicare le necessarie e opportune misure di quarantena. Nel periodo dell’indagine, l’azienda potrà chiedere che le persone che siano state in contatto stretto lascino cautelativamente lo stabilimento, secondo le indicazioni dell’Autorità sanitaria.

Il punto 12) prende in considerazione la sorveglianza sanitaria, che deve proseguire rispettando le misure igieniche contenute nelle indicazioni (cd. decalogo) del Ministero della Salute. Vanno privilegiate le visite preventive, le visite a richiesta e le visite da rientro da malattia.

La sorveglianza sanitaria periodica non va interrotta, perché rappresenta un’ulteriore misura di prevenzione di carattere generale sia perché può intercettare possibili casi e sintomi sospetti del contagio, sia per l’informazione e la formazione che il medico competente può fornire ai lavoratori per evitare la diffusione del contagio 

Pertanto, nell’integrare e proporre tutte le misure di regolamentazione legate al COVID-19 il medico competente collabora con il datore di lavoro e le RLS/RLST. 

Ancora, il medico competente segnala all’azienda situazioni di particolare fragilità e patologie attuali o pregresse dei dipendenti e l’azienda provvede alla loro tutela nel rispetto della privacy.

L’ultimo punto del protocollo, il punto 13),è relativo all’aggiornamento del protocollo di regolamentazione. A tal fine, è costituito in azienda un Comitato per l’applicazione e la verifica delle regole del protocollo di regolamentazione con la partecipazione delle rappresentanze sindacali aziendali e del RLS.

Oltre al protocollo in esame, vanno richiamati gli obblighi generali che incombono in tema di sicurezza sul datore di lavoro.

Si parte dall’articolo 2087 del codice civile che impone a quest’ultimo l’adozione di ogni possibile misura atta a garantire non solo la sicurezza ma anche il benessere fisico e psichico del lavoratore.

E’ una norma a portata generale atta a prevenire qualunque tipo di pregiudizio alla salute del lavoratore ed idonea quindi ad adattarsi ad ogni evenienza.

In maggior dettaglio, gli obblighi in capo al datore di lavoro in materia di sicurezza sono identificati dal DLGS 81/2008 (Testo Unici Sulla Salute e la Sicurezza sui Luoghi di Lavoro).

Il punto focale per l’identificazione degli obblighi inerenti gli ambienti di lavoro ed i relativi adempimenti è dato dal documenti di valutazione dei rischi.

L’articolo 28 fa riferimento al precedente articolo 17 che vi include testualmente il termine “valutazione di tutti i rischi” senza altro indicare.

Lo stesso articolo 28 poi meglio specifica:

tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004, e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nonché quelli connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro e i rischi derivanti dal possibile rinvenimento di ordigni bellici inesplosi nei cantieri temporanei o mobili, come definiti dall’articolo 89, comma 1, lettera a), del presente decreto, interessati da attività di scavo.

E’ da ritenere che il rischio COVID non obblighi i datori di lavoro ad aggiornare il documento di valutazione dei rischi (DVR) almeno per ora, a patto che il rischio non diventi endemico.

Esso però potrebbe costituire occasione di lavoro soprattutto nel caso di decesso o di grosse complicanze per il lavoratore o chi per lui richiedesse il riconoscimento dei propri diritti all’INAIL o in caso di responsabilità al datore di lavoro.

Per la realizzazione dell’indennizzo INAIL o della responsabilità del datore di lavoro deve sussistere il requisito della “occasione di lavoro” che si verifica allorquando sussiste un rapporto non occasionale di causa – effetto tra la prestazione resa e l‘evento malattia.

In sostanza la prestazione di lavoro deve essere rispetto all’evento realmente causale e non semplicemente casuale!

Nel caso di specie, l’essere addetto ad un attività ritenuta essenziale come il commercio di alimentari o di altri generi potrebbe configurare tale eventualità, per non dire di medici ed infermieri dove il nesso appare ancora più evidente.

Ciò significa anche che i datori di lavoro costretti a tenere aperte le loro serrande nonchè fabbriche ed uffici qualora costretti a lavorare, sono tenuti non solo a rispettare le direttive che ormai provengono puntualmente, ma anche ad adottare d’iniziativa ogni protezione utile e possibile, potendo in caso contrario sussistere la responsabilità contrattuale del datore di lavoro.

Centro Studi Corrado Rossitto – CIU Unionquadri.

Trieste – Roma 16 marzo 2019

Avvocato Fabio Petracci

Avvocato Alberto Tarlao.

Corona Virus e rapporto di lavoro. Approfondimento del centro Studi. Il rapporto di lavoro di fronte ai provvedimenti atti a prevenire il contagio del Corona Virus. Il lavoro agile, un’occasione positiva nel marasma di fatti negativi.

La presente situazione.

Normalmente le assenze che determinano l’impossibilità della prestazione con il diritto alla conservazione del posto di lavoro si identificano in quelle dovute alla malattia.

Di fronte all’attuale situazione del contagio da Corona Virus, la malattia è però solo un aspetto ed il più grave della situazione che viene a crearsi e che comporta per diverse ragioni l’impossibilità di lavorare con gravi ricadute per i lavoratori, le aziende, l’economia.

La normativa dell’emergenza.

In questi giorni, è stato adottato il DL 23.2.2020 per affrontare questa emergenza.

Il provvedimento, tra le altre cose, decreta la sospensione delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale, stabilisce la possibilità di chiusura di attività commerciali ed uffici pubblici e la possibilità di ordinare la sospensione e la limitazione delle attività lavorative nelle aree interessate al contagio.

In maggior dettaglio, il conseguente DPCM 25.2.2000, introduce la possibilità nel caso di aziende site nelle zone di crisi ( Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Liguria) o di lavoratori ivi residenti o domiciliati, la possibilità di introdurre il lavoro agile, anche in assenza di accordo tra le parti , con possibilità di assolvere gli obblighi di informativa in via telematica.

Esamineremo il verificarsi e le conseguenze di quanto sin qui sommariamente esposto, verificando diverse ipotesi.

Assenza imposta dalla pubblica autorità.

La prima ipotesi di assenza dal lavoro può avvenire in quanto l’autorità emette degli ordini che impediscono al lavoratore di uscire da casa o raggiungere la zona dove ha sede il datore di lavoro.

In questo caso, si verifica un’impossibilità della prestazione non imputabile al lavoratore che, in quanto tale, deve essere retribuita.

Sospensione dell’attività a causa del contagio.

Anche in questo caso, l’impossibilità della prestazione non sarà imputabile al datore di lavoro che manterrà il diritto alla retribuzione, anche in assenza di prestazione.

Quarantena obbligatoria per il lavoratore.

Può accadere che il lavoratore sia posto in quarantena dall’autorità per sintomi afferenti il virus.

In tal caso, la situazione è riconducibile al trattamento per malattia che dovrà essere riconosciuto al lavoratore.

Quarantena volontaria.

Può accadere sospettando un contagio o in base a prescrizioni dell’autorità adotti un comportamento di quarantena volontaria.

Anche in tal caso, l’assenza è collegata ad un ipotesi di malattia e quindi potrà essere assimilata all’assenza per tale causale.

Assenza volontaria per timore del contagio.

Si tratta di una condotta non coperta dalla legge.

In questi casi, prima di procedere disciplinarmente, andrà attentamente valutata la fondatezza del timore e solo in casi di manifesta infondatezza dello stesso, si potrà ricorrere alle sanzioni disciplinari ivi compreso nei casi estremi,  il licenziamento.

Altre norme che interessano la situazione delineata.

In tema di sicurezza sul lavoro.

Al datore di lavoro, sia pubblico che privato è imposto di garantire a quanti operano in ambito aziendale il maggior benessere fisico e psichico in ragione dell’articolo 2087 del codice civile, adottando ogni possibile cautela.

Quindi, al di fuori di queste ipotesi tassative introdotte da specifiche e recenti norme di legge, egli deve controllare la situazione, intervenire ove possibile e segnalare pericoli per le persone al lavoro. Ciò significa che in caso di sospetto contagio dovrà provvedere a tempestiva segnalazione, alle prime misure di sanificazione ricorrendo anche all’intervento del medico competente e di quanti delegati alla sicurezza. Analoghi poteri ed oneri competono ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza.

Va tenuto presente che il rischio biologico è pure presente nel DLGS 81/2008 testo Unico Sicurezza sul Lavoro agli articoli 266 e seguenti.

Di recente, il rischio medesimo è stato contemplato nella circolare n.3190 del 3 febbraio 2020.

Utilizzo delle ferie in caso di chiusura o inattività dell’azienda.

Il ricorso alle ferie collettive normalmente è disciplinato dai contratti collettivi.

La giurisprudenza pur avendo sancito il potere unilaterale del datore di lavoro alla concessione delle ferie, ritiene che una parte debba essere programmata con i lavoratori.

Stante in ogni caso, l’incompatibilità tra la malattia ed il godimento delle ferie, non sarà possibile collocare in ferie i dipendenti in quarantena.

Il cosiddetto lavoro agile, una risorsa da utilizzare.

La Cassa Integrazione.

Il decreto legge cui già si è fatto cenno prevede pure lo sblocco della Cassa Integrazione in Deroga per i territori colpiti dal contagio.

Lavoro Agile – Smart Working.

Come accennato l’articolo 2 DPCM 25.2.2020 considera in via straordinaria possibile il ricorso al lavoro agile.

Questa tipologia di lavoro è stata introdotta con il DLGS 81/2017, articolo 81. Quivi l’articolo 1 ne affida la realizzazione alla volontà delle parti, con apposite procedure ed eseguibilità della prestazione parte in azienda e parte da remoto.

Nel caso di specie, l’urgenza determina l’applicabilità diretta ed immediata di una simile organizzazione del lavoro.

E’ chiaro che al rientro dall’emergenza, la misura sarà destinata a cessare. Non è detto però che nel marasma di eventi negativi, questa disposizione possa costituire un’occasione di innovazione del modo di lavorare al passo con le nuove tecnologie.

Trieste, 1 marzo 2020.

Fabio Petracci.