Discriminazione e danno non patrimoniale

Nella pronuncia n. 3488/2025 la Suprema Corte di Cassazione affronta il caso di un lavoratore assunto con contratto a tempo determinato che si era visto negare il diritto alla precedenza nell’assunzione in quanto si era rifiutato di sottoscrivere un verbale di conciliazione con la datrice di lavoro.

Nel corso dell’istruttoria dei giudizi di merito emergeva la chiara circostanza che la datrice di lavoro aveva posto come condizione dalla quale la stabilizzazione non poteva prescindere, la sottoscrizione del verbale di conciliazione.

Risultava dunque accertata la discriminazione nei confronti del lavoratore precario, derivante dalle convinzioni personali manifestate nella resistenza alla sottoscrizione del verbale.

Nella categoria delle convinzioni personali infatti non rientrano solo quelle religiose o politiche ma anche ogni altro pensiero che sia espressione di libertà personale.

La Suprema Corte osserva che il rimedio alle discriminazioni deve rispondere ai requisiti stabiliti dal diritto dell’Unione Europea e deve essere effettivo, proporzionale, dissuasivo.

Pertanto, in tema di discriminazione, il risarcimento del danno non patrimoniale deve essere caratterizzato anche da una connotazione dissuasiva, tanto che può essere riconosciuto nei casi di discriminazione collettiva, anche in assenza di un soggetto immediatamente identificabile.

La non-patrimonialità del diritto leso – per non avere il bene persona un prezzo – comporta che, diversamente da quello patrimoniale, il ristoro pecuniario del danno non patrimoniale non può mai corrispondere alla relativa esatta commisurazione, imponendosene di conseguenza una valutazione equitativa.

Infatti, l’atto discriminatorio è lesivo della dignità umana ed è intrinsecamente umiliante per il destinatario e ciò sorregge adeguatamente l’esercizio del potere discrezionale di valutazione equitativa.

avv. Alberto Tarlao