Le incompatibilità nel pubblico impiego
Con riferimento all’incompatibilità ed al cumulo di impieghi nel lavoro pubblico, il DPR n.3/1957, ancora in vigore, all’art. 60 dispone come: “L’impiegato non può esercitare il commercio, l’industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all’uopo intervenuta l’autorizzazione del ministro competente”.
Quindi, l’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001 precisa come: “Resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, salva la deroga prevista dall’articolo 23-bis del presente decreto, nonché, per i rapporti di lavoro a tempo parziale, dall’articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 marzo 1989, n. 117 e dall’articolo 1, commi 57 e seguenti della legge 23 dicembre 1996, n. 662”.
Con particolare riferimento alla responsabilità disciplinare, si segnala che l’inosservanza del divieto di cui all’art. 60 del d.P.R. n. 3/1957 comporta l’avvio del procedimento previsto dall’art. 63 del medesimo decreto, il quale stabilisce che: “L’impiegato che contravvenga ai divieti posti dagli articoli 60 e 62 viene diffidato dal ministro o dal direttore generale competente, a cessare dalla situazione di incompatibilità. La circostanza che l’impiegato abbia obbedito alla diffida non preclude l’eventuale azione disciplinare. Decorsi quindici giorni dalla diffida, senza che la incompatibilità sia cessata, l’impiegato decade dallo impiego. La decadenza è dichiarata con decreto del ministro competente, sentito il Consiglio di amministrazione”.
Quanto al tema della configurabilità di un illecito erariale in capo al pubblico dipendente che assume incarichi incompatibili o non autorizzati, il comma 7 dell’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001 prevede che: “I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza. Ai fini dell’autorizzazione, l’amministrazione verifica l’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. Con riferimento ai professori universitari a tempo pieno, gli statuti o i regolamenti degli atenei disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio dell’autorizzazione nei casi previsti dal presente decreto. In caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti”.