VIDEO del Seminario “Salario minimo garantito”
Video descrittivo dell’evento tenutosi a Milano il 14 luglio 2022 sul tema del Salario Minimo Garantito. Legge e contrattazione collettiva.
Video descrittivo dell’evento tenutosi a Milano il 14 luglio 2022 sul tema del Salario Minimo Garantito. Legge e contrattazione collettiva.
Video-intervista sul tema del Procedimento disciplinare nella scuola dopo la legge Madia, tema del seminario di formazione per RSU-Tas e Dirigenti sindacali tenutosi a Napoli il 29 gennaio 2022.
Video del convegno “Quadri e Alte Professionalità nel Pubblico Impiego (meritocrazia e professionalità)” tenutosi il 10 mar 2022.
Con la recente Legge n.46/2022, lo Stato italiano ha definitivamente sancito il diritto di riunirsi in associazioni professionali di carattere sindacale del personale delle forze armate e delle forze di polizia a ordinamento militare.
La menzionata legge è la naturale conseguenza dell’importante pronuncia delle Corte Costituzionale n.120 dell’11.04.2018 che ha statuito la parziale illegittimità costituzionale dell’art.1475, comma 2, del codice dell’ordinamento militare (D.lgs. n.66/2010).
La vicenda nasceva – in sede di giustizia amministrativa – dal contrasto tra la norma interna (appunto l’art.1475, comma 2, dell’ordinamento militare, secondo cui “i militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali”) e la norma di rango sovranazionale, da rinvenirsi in primis nell’art.11 (rubricato <libertà di riunione e di associazione>) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).
Pare necessario allora soffermarsi sulla ratio dell’impedimento imposto dalla norma nazionale ed oggetto del sindacato di costituzionalità della Corte.
Sostanzialmente, viene posto il problema della ratio individualistica del diritto all’associazionismo con il <sacro dovere> di difesa della Patria e delle Istituzioni, che involgerebbe complessivamente – senza ammettere eccezione alcuna – il corpo delle Forze Armate.
Ebbene, la Corte risolve l’indicato contrasto riconoscendo che la normativa europea non contempla limiti di categorie a cui essere applicata, ma al contempo – data la specificità della categoria interessata – debba essere disciplinata da una normativa ad hoc.
La Corte Costituzionale ha quindi dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.1475, comma 2, del D.lgs. n.66/2010, in quanto prevede che “I militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali” invece di prevedere che “I militari possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale alle condizioni e con i limiti fissati dalla legge; non possono aderire ad altre associazioni sindacali”.
Tale ultimo inciso ha la finalità di garantire l’unione della categoria, evitando il sorgere di contrapposizioni interne.
Ecco quindi spiegata la necessità di una disciplina legislativa specifica.
Sinteticamente, i tratti salienti della legge che ne è conseguita (la n.46/2022) possono così riassumersi.
I primi articoli (dall’art.1 all’art.4) delineano la natura, i principi costitutivi, nonché il dovuto iter di riconoscimento che dovrà essere attuato dal Ministero.
Norma che implicitamente comporta una sorta di sospensione della legittimità delle associazioni già presenti nel settore, che dovranno attendere l’eventuale riconoscimento ministeriale.
Nei successivi articoli (fino all’art.8 compreso) vengono indicati i principi e le disposizioni che devono regolare gli statuti, nonché gli aspetti finanziari e di bilancio.
Infine, cuore del provvedimento legislativo è dato dalla normativa concernente la rappresentatività e l’attribuzione dei poteri negoziali per esperire la contrattazione nazionale di comparto.
Al contempo, però, pur ribadendo che tale legge sana il contrasto e la parziale illegittimità rilevata dalla Corte Costituzionale, non ci si può esimere dal rilevarne alcune carenze, prima tra tutte il divieto di far parte dei sindacati per gli appartenenti delle Forze Armate in congedo.
avv. Alessandro Capuano
Tutto pronto per lo spezzatino Telecom, in passato gioiello dell’industria nazionale e oggi a rischio scomparsa. E con esso migliaia di posti di lavoro, soprattutto per tutte le professionalità over 50 e altamente specializzate, categoria che pagherà lo scotto maggiore della riorganizzazione della filiera delle telecomunicazioni nazionali.
A lanciare il preoccupato allarme è la CIU-Unionquadri il sindacato maggiormente rappresentativo della categoria dei Quadri, presente al CNEL e al Comitato Economico e Sociale Europeo (CESE) che, attraverso la Presidente nazionale Gabriella Àncora, esprime tutta l’inquietudine di un intero settore: “Le cifre degli esuberi che il nuovo disegno industriale di Telecom determinerà non sono ancora chiare, si va dalle previsioni più ottimistiche di 5 mila fuoriuscite a quelle più drammatiche di 9 mila. Per quanto i tagli possano essere gestiti con gli strumenti offerti dalla Legge Fornero, temiamo che non sarà possibile salvaguardare l’intera platea in termini di valore umano. Infatti, quello che più ci preoccupa” ha continuato la Presidente “è che la maggiore base esodabile è costituita da figure specializzate, Quadri e alte professionalità over 50 che, una volta estromessi dall’azienda, la depauperanno di conoscenze e abilità”.
Il progetto del riassetto del gruppo TIM-Telecom, presentato recentemente dall’AD Pietro Labriola, prevede la creazione di due realtà societarie, la prima (NetCo) che includerà la rete fissa, le attività wholesale domestiche e quelle internazionali, e la seconda (ServiceCo) che includerà le attività commerciali fisso e mobile, insieme a tutte le attività commerciali dedicate alla clientela business e alle numerose aziende del gruppo tra le quali TIM Brasil, Noovle, Olivetti e Telsy. La newco dedicata alla rete dovrebbe assorbire circa 20 mila dipendenti e gran parte del debito.
Le numerose fuoriuscite, in tale disegno, lascerebbero il posto ad un innesto di nuove figure, giovani e professionalizzati, consentendo così di abbassare l’eta media della società, oggi ferma a 54 anni. “Pur apprezzando il ricambio generazionale che il Piano propone, non possiamo non sottolineare come l’accompagnamento verso l’uscita delle Alte professionalità oggi impiegate in Telecom costituisce un impoverimento per tutti, del business da una parte e dei neoassunti dall’altra, non potendo questi contare sul bagaglio di esperienza e conoscenza acquisita negli anni dai Quadri”.
Nel gruppo TIM-Telecom Italia, secondo le cifre fornite da CIU-Unionquadri, a fine 2020 si contavano circa 52 mila dipendenti (tra Italia ed estero), e di questi il 29% è costituito proprio da Quadri e alte professionalità.. “È indubbio che se la politica degli esuberi dovesse proseguire nel modo prospettato, circa un terzo dei dipendenti Telecom sarà escluso dai processi attivi di ristrutturazione industriale di una filiera produttiva fondamentale per l’economia del Paese, ovvero quella dell’innovazione e dell’ICT. Da qui l’appello di CIU-Unionquadri a riflettere sull’importanza del capitale umano ed a come salvaguardare un bagaglio di preparazione, consapevolezze ed opportunità, da considerare non come un costo industriale ma come un investimento sul futuro di un mondo che cambia” ha concluso Àncora.
Intervento del Presidente del Centro Studio, Fabio Petracci in occasione del seminario “Salario minimo garantito” tenutosi a Milano il 14 luglio scorso.
Le esigenze dei quadri e delle specifiche rappresentanze professionali.
L’introduzione di un salario minimo può comportare significative conseguenze sia sul piano della contrattazione collettiva, sia su quello della rappresentatività delle organizzazioni sindacali.
Rileviamo però che non si tratta di un’interdipendenza assoluta ed inevitabile in tutte le sue conseguenze.
Verificheremo la possibilità di introdurre un salario minimo senza influire in maniera significativa sullo stato attuale della contrattazione collettiva e della rappresentatività.
Verificheremo inoltre le inevitabili ricadute dell’introduzione del salario minimo sulle dinamiche contrattuali delle categorie che direttamente non paiono interessate al salario minimo, come la categoria dei quadri.
Effettueremo le nostre riflessioni sulla base delle normative vigenti che possono accompagnare l’introduzione di un salario minimo.
La direttiva comunitaria limiti ed effetti.
La direttiva non contiene e peraltro non potrebbe contenere misure atte ad incidere direttamente sul livello delle retribuzioni nei singoli paesi della Comunità. Il trattato di funzionamento dell’Unione Europea all’articolo 135 vieta alla Comunità di intervenire sulle retribuzioni imponendo “vincoli amministrativi, finanziari e giuridici.
Essa invece, si limita, una volta intrapresa dal singolo governo la scelta di fissare un minimo salariale o tramite norma di legge o tramite contrattazione collettiva, ad integrare e completare le necessarie azioni degli stati membri, limitandosi a dei principi generali.
La direttiva fornisce in pratica una guida ed una cornice di attuazione.
Essa assume una rilevanza comunitaria più che nazionale, ponendosi non come limite, ma quale correttivo alla competitività esterna dei membri della Comunità Europea.
La direttiva punta ad istituire un quadro per fissare salari minimi ed equi.
Essa si limita a stabilire delle procedure per assicurare l’adeguatezza dei salari minimi e promuovere la contrattazione collettiva laddove essi esistono.
In pratica, una volta che uno stato membro si doti di un salario minimo dovrà stabilire un quadro procedurale per fissare ed aggiornare i salari minimi.
La normativa comunitaria, infatti, prevede che laddove via sia il salario minimo legale, questo debba essere pari almeno al 60% del salario mediano lordo nazionale e al 50% del salario medio lordo nazionale (parametri Ocse riconosciuti a livello internazionale). Inoltre, il salario minimo deve essere al di sopra della soglia di dignità, valutata non sull’individuo ma sul nucleo familiare, in funzione del potere d’acquisto calcolato sull’accesso a un paniere di beni e servizi essenziali a prezzi reali, comprensivi di Iva, contributi di sicurezza sociale e servizi pubblici. In sostanza, si lega la fissazione del minimo da un lato alla media delle retribuzioni generali del Paese, e dall’altro al potere d’acquisto reale delle famiglie.
Sono infatti previsti degli aggiornamenti periodici.
Le ricadute sul nostro sistema retributivo.
Nel nostro paese le retribuzioni minime non arrivano al 60% del salario medio proposto dalla UE.
Ci si chiede se potrà scattare l’obbligo di adeguarsi.
E’ inoltre in corso una notevole inflazione destinata con l’incombente crisi economica a ridurre rapidamente il potere di acquisto dei salari.
Esistono numerose aree di lavori atipici dove sussistono problemi di adeguatezza della retribuzione.
L’articolo 36 della Costituzione.
Per converso, nell’ambito del nostro ordinamento è estremamente importante la funzione dell’articolo 36 della Costituzione che riferisce l’adeguatezza della retribuzione non solo ai bisogni esistenziali del lavoratore, ma anche alla quantità e qualità del lavoro.
Dunque anche la proporzionalità delle retribuzioni rispetto alla qualità delle mansioni svolte assurge a principio costituzionale.
Questa norma, fondamentale per il riferimento della Costituzione al lavoro, non comporta una riserva normativa o contrattuale in favore dei sindacati per il regolamento dei rapporti di lavoro. (Corte Costituzionale n.106/1962). In quell’occasione, la Corte Costituzionale era chiamata a pronunciarsi in merito ad alcuni articoli della cosiddetta “Legge Vigorelli”.
E’ dunque possibile un intervento legislativo sul salario minimo che non comporti automaticamente la revisione delle regole sulla rappresentatività.
E’ necessario poi adeguare le retribuzioni dei lavoratori ad alta professionalità ai minimi contrattuali introdotti.
Eventuali altre ricadute.
Ciò non significa che l’introduzione per legge di un salario minimo non possa comportare conseguenze contrattuali e retributive al di fuori della stretta sfera di osservanza dello stesso.
Conseguentemente, le parti sociali sarebbero inevitabilmente condizionate dall’importo fissato come minimo legale anche per quanto riguarda la determinazione delle retribuzioni relative ai lavoratori inquadrati in qualifiche superiori rispetto a quelle interessate dal minimo legale. E così, anche per esse dovrebbero prevedere nei successivi rinnovi contrattuali incrementi proporzionali. Inoltre, sino a quando non vi sia un complessivo intervento di riadeguamento da parte dei rinnovi dei contratti collettivi, si potrebbe dubitare della rispondenza al criterio di proporzionalità dei minimi contrattuali relativi alle qualifiche superiori che, pur essendo rispettose del minimo legale, risultino uguali o solo lievemente superiori rispetto al minimo legale riconosciuto alle qualifiche inferiori.
In sostanza, l’aumento dei salari più bassi potrebbe incidere con un effetto a cascata anche su quelli più alti.
Esso potrebbe costituire inoltre uno stimolo per le organizzazioni sindacali ad ulteriori richieste retributive.
Potrebbe però anche verificarsi l’ipotesi che diversi livelli di inquadramento vengano sotto l’aspetto retributivo appiattiti.
Chi tutela la specificità delle categorie professionali, come quella dei quadri e di altre categorie particolarmente qualificate?
L’introduzione di una base di partenza retributiva appare idonea a rafforzare le dinamiche contrattuali e la tutela delle categorie destinate ad un ipotetico appiattimento delle loro posizioni.
Potrebbe infatti verificarsi un drenaggio di risorse contrattuali a danno delle categorie più alte o invece, come già accennato, un automatico livellamento retributivo.
Riteniamo quindi che nell’ambito della contrattazione e della rappresentatività dovrebbe essere riservato adeguato spazio alle istanze delle categorie maggiormente professionalizzate, come i quadri.
Trattasi non dimentichiamo di ambiti professionali destinati logicamente ad uno spazio di rappresentatività numerica limitato.
In tale ambito, l’associazione dei quadri non contesta la rappresentatività delle organizzazioni sindacali generaliste e non contesta neppure il ruolo della contrattazione collettiva nell’ambito della determinazione del salario minimo in concorrenza con la fonte legale.
Ciò che invece determina la nostra opposizione è il tentativo di imporre in forma surrettizia di una legge che attui l’articolo 39 della Costituzione una determinazione delle regole sulla rappresentatività da parte dei soggetti che ne dovrebbero divenire i destinatari.
Ci riferiamo in primo luogo all’accordo del 10 gennaio 2014 tra Confindustria, CGIL, CISL e UIL che redigevano un testo unico sulla rappresentanza ai fini della contrattazione nazionale di categoria e sulle rappresentanze in azienda.
Nella parte concernente la contrattazione collettiva l’ammissione alla contrattazione era riservata alle organizzazioni sindacali firmatarie dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e del successivo protocollo del 31 maggio 2013 che abbiano, nell’ambito di applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, una rappresentatività non inferiore al 5%, considerando a tale fine la media fra il dato associativo (percentuale delle iscrizioni certificate) e il dato elettorale (percentuale voti ottenuti su voti espressi).
Ne seguiva la convenzione del 19 settembre 2019 tra INPS, Ispettorato Nazionale, del Lavoro, Confindustria CGIL, CISL, UIL, per ammettere alla contrattazione collettiva le sole organizzazioni sindacali rientranti nei parametri di cui all’accordo del gennaio 2014.
A tali accordi faceva seguito la circolare 3/2018 ed ulteriori interventi dell’Ispettorato del Lavoro volti a riconoscere esclusivamente CGIL, CISL, UIL quali parti contrattuali.
Questi interventi erano determinati dalla necessità di contrastare il diffondersi dei cosiddetti contratti pirata.
Nel nome di questa emergenza, si è voluto intervenire non con la selezione dei contratti mediante criteri oggettivi, ma sulla base di criteri soggettivi di difficile attuazione, sulla selezione dei soggetti atti a stipulare i contratti, eludendo così il delicato tema della rappresentatività sindacale.
Il sindacato dei quadri anche in ragione delle esigenze sopra menzionate, auspica che il dumping sociale e l’introduzione di un minimo salariale vengano introdotti senza interventi che non siano di legge sullo stato attuale della rappresentatività e che tengano conto delle emergenti e specifiche esigenze delle specifiche categorie professionali.
Fabio Petracci.
Breve sintesi della Presidente di CIU UNIONQUADRI Gabriella Ancora in tema di salario minimo in occasione del seminario “Salario minimo garantito” tenutosi a Milano il 14 luglio scorso.
Non a caso, la manifestazione odierna si tiene nella capitale industriale e finanziaria del nostro paese dove sentiti sono i temi del lavoro e della professionalità.
Assieme agli amici di FLAEI stiamo attuando una proficua collaborazione per rinsaldare l’attività sindacale dei quadri.
Nel corso di questo incontro, chiariremo la posizione dell’organizzazione dei quadri in merito all’introduzione di un minimo salariale.
Partiremo dai principi costituzionali che garantiscono l’equità e la proporzionalità della retribuzione, anche alla luce della recente direttiva comunitaria.
Il nostro obiettivo primario e fondamentale è quello di far ottenere a tutti i lavoratori la giusta retribuzione, senza peraltro sacrificare il merito e la professionalità.
Vogliamo altresì evitare che l’imposizione di un salario minimo comporti una selezione dei soggetti contrattuali difforme dalle previsioni dell’articolo 39 della Costituzione e che escluda i sindacati professionali.
Vogliamo che l’eliminazione dei cosiddetti contratti pirata anziché passare attraverso una innaturale, non necessaria ed incostituzionale selezione dei soggetti contrattuali, comporti invece effettivi e puntuali controlli sull’oggetto della contrattazione anche da parte del CNEL di cui la nostra organizzazione fa parte.
Come organizzazione dei quadri abbiamo ancora vivo il ricordo degli appiattimenti retributivi e morali verificatisi negli anni 70 che diedero luogo al sorgere di Unionquadri, e chiediamo di poter contrattare direttamente in qualunque forma le nostre retribuzioni.
Invochiamo quindi una contrattazione collettiva libera ed in grado di assicurare a ciascun lavoratore un’esistenza libera e dignitosa ed ai quadri una retribuzione proporzionata alla professionalità raggiunta.
Sono questi i tratti cui ispireremo il nostro incontro odierno.
Giovedì 14 luglio 2022 presso il Centro Congressi Fondazione Cariplo di Milano a partire dalle 15:00.
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