Coronavirus

Vaccino Covid 19 – rifiuto dei sanitari – collocazione in ferie – legittimità – Ordinanza n.12/2021 del Tribunale di Belluno – testo integrale – breve commento di Fabio Petracci.

L’ordinanza emessa dal Tribunale di Belluno affronta il quanto mai attuale tema concernente l’obbligo di sottoporsi alla vaccinazione da parte del personale sanitario.

Il caso affrontato dal Tribunale, vede il rifiuto di alcuni dipendenti operatori sanitari di sottoporsi alla vaccinazione anti COVID-19. Il datore di lavoro li colloca pertanto forzosamente in ferie.

I dipendenti in questione si rivolgono al locale Tribunale del Lavoro chiedendo in via d’urgenza (articolo 700 CPC)  di poter continuare a svolgere le ordinarie mansioni.

Il tutto sul presupposto in base al quale i lavoratori in questione svolgevano mansioni ad alto rischio di contagio.

Va considerato come l’articolo 32 della Costituzione disponga che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.

Ma a questo punto, secondo chi scrive va rimosso un equivoco.

Nel caso del vaccino di personale sanitario ad alto rischio di contagio, non si tratta di un obbligo, ma bensì di una condizione di sicurezza per poter lavorare.

L’obbligo cui allude la Costituzione è quello dotato di un’assolutezza totale per cui il soggetto deve in ogni modo, anche costretto con la forza aderire.

Nel caso di specie, si tratta esclusivamente di una condizione o meglio di un onere che incombe su chi voglia esercitare in determinate condizioni una professione sanitaria.

TRIBUNALE DI BELLUNO n. 12/2021 R.G. Il Giudice sciogliendo la riserva assunta con verbale di trattazione scritta in data 16.3.21; ritenuto che risulta difettare il fumus boni iuris, disponendo l’art. 2087 c.c. che “ L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro “; ritenuto che è ormai notoria l’efficacia del vaccino per cui è causa nell’impedire l’evoluzione negativa della patologia causata dal virus SARS -CoV-2, essendo notorio il drastico calo di decessi causati da detto virus, fra le categorie che hanno potuto usufruire del suddetto vaccino, quali il personale sanitario e gli ospiti di RSA, nonché, più in generale, nei Paesi, quali Israele e gli Stati Uniti, in cui il vaccino proposto ai ricorrenti è stato somministrato a milioni di individui; rilevato che è incontestato che i ricorrenti sono impiegati in mansioni a contatto con persone che accedono al loro luogo di lavoro; ritenuto che è, pertanto, evidente il rischio per i ricorrenti di essere contagiati, essendo fra l’altro notorio che non è scientificamente provato che il vaccino per cui è causa prevenga, oltre alla malattia, anche l’infezione; ritenuto che la permanenza dei ricorrenti nel luogo di lavoro comporterebbe per il datore di lavoro la violazione dell’obbligo di cui all’art. 2087 c.c. il quale impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica dei suoi dipendenti; che è ormai notorio che il vaccino per cui è causa – notoriamente offerto, allo stato, soltanto al personale sanitario e non anche al personale di altre imprese, stante la attuale notoria scarsità per tutta la popolazione – costituisce una misura idonea a tutelare l’integrità fisica degli individui a cui è somministrato, prevenendo l’evoluzione della malattia; ritenuto, quanto al periculum in mora, che l’art. 2109 c.c. dispone che il prestatore di lavoro “ Ha anche diritto ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro “; che nel caso di specie prevale sull’eventuale interesse del prestatore di lavoro ad usufruire di un diverso periodo di ferie, l’esigenza del datore di lavoro di osservare il disposto di cui all’art. 2087 c.c.; ritenuta l’insussistenza del periculum in mora quanto alla sospensione dal lavoro senza retribuzione ed al licenziamento, paventati da parte ricorrente, non essendo stato allegato da parte ricorrente alcun elemento da cui poter desumere l’intenzione del datore di lavoro di procedere alla sospensione dal lavoro senza retribuzione e al licenziamento; ritenuto che, attesa l’assenza di specifici precedenti giurisprudenziali, sussistono le condizioni di cui all’art. 92 co. II c.p.c. per compensare le spese processuali. P.Q.M. visto l’art. 700 c.p.c.; 1. rigetta il ricorso

Convegno: IL LAVORO AGILE. Misure di emergenza o nuova flessibilità?

Di Seguito l’intervento dell’avvocato Fabio Petracci:

  1. Le ragioni dell’omissione della contrattazione collettiva come fonte regolatrice, dimenticanza o novità?

Nell’ambito della disciplina del lavoro agile (Legge 81/2017) un ruolo importante è attribuito alla contrattazione individuale.

Esamineremo la delimitazione e le conseguenze di questa preminenza, se tale si può definire, del contratto individuale.

Assume in ogni caso rilevanza nell’ordinamento del lavoro il principio dell’autonomia contrattuale individuale riconducibile all’articolo 1322 del codice civile.

Se ben guardiamo, la contrattazione collettiva ha addirittura anticipato la disciplina individuale sancita dalla legge 81/2017.In effetti, il lavoro agile ha trovato una certa diffusione anche per il tramite della contrattazione collettiva. Alcuni contratti disciplinavano il lavoro agile già prima che la disciplina legale entrasse in vigore. Si trattava però di discipline aventi per lo più carattere sperimentale ed alquanto limitative in tema di organizzazione del lavoro agile.

Ciononostante, il testo della legge 81/2017 che disciplina il lavoro agile prevede l’accordo individuale come forma regolatrice del rapporto. ( articolo 18, comma 1, legge 81/2017). Ne individueremo le ragioni.

Che non si tratti di una svista lo rivela lo stesso comma 1 dell’articolo 18 che prevede la possibilità di organizzare tale tipologia di lavoro con formedi organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro.

Difficilmente inoltre, una previsione collettiva e quindi generale può disciplinare un rapporto contrattuale senza vincoli di orario e luogo di lavoro, tesa al raggiungimento di un delicato e equilibrio tra esigenze personali ed aziendali, in quanto alla regola generale e collettiva valevole per tutti è destinata a sostituirsi una disciplina che segue mutevoli e non sempre standardizzate esigenze individuali ed aziendali.

Rafforza questa lettura e questa esigenza il fatto che scopo di questa particolare forma di lavoro è quella di incrementare la competitività e contemporaneamente di agevolare la conciliazione dei tempi di vita con quelli di lavoro.

In pratica si tratta di una forma di flessibilità diversa da quelle sin d’ora esaminate, in quanto non rivolta esclusivamente a sostenere le esigenze aziendali e quelle della piena occupazione, ma volta invece a conciliare esigenze del lavoratore variabili e quindi di volta in volta individuate con lo svolgimento della prestazione, adattando così quest’ultima alle esigenze del prestatore e ricavandone in forza della soddisfazione di quest’ultimo una prestazione migliore.

Più che di flessibilità forse enfatizzando un poco potremmo parlare della liberazione delle energie lavorative dei soggetti della produzione.

Dopo queste considerazioni non possiamo ritenere che con l’introduzione del lavoro agile sia stata effettuata una conversione totale a favore dell’autonomia collettiva, in quanto, come vedremo il lavoro agile nel suo svolgimento, si pone una duplice serie di limiti.

 Il primo limite è dato dalle norme di legge vigenti ed in particolare di quelle attinenti il lavoro agile (legge 81/2017) in forza delle quali, si evita lo stravolgimento dell’istituto in sede di contrattazione collettiva. Il secondo limite, come vedremo, è dato dai riferimenti alla contrattazione collettiva valevoli per ogni rapporto di lavoro in tema di orario e retribuzione.

Il primo limite richiamato è dato dal secondo periodo del primo comma dell’articolo 18 della legge 81/2017 laddove è previsto che la prestazione lavorativa venga eseguita entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.

Ciò appare particolarmente significativo, dal momento che il DLGS 66/2003 all’articolo 17, comma 5, esclude dai limiti di durata massima le prestazioni rese nell’ambito di rapporti di lavoro a domicilio e di telelavoro e risultando difficile includervi anche il lavoro agile, stante i richiami alle norme di legge in tema di lavoro agile operate dall’articolo 18 della legge 81/2017.

Sul piano retributivo e normativo, poi, l’articolo 20 comma 1 della legge 18/2017 impone il diritto per il lavoratore ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato ai lavoratori che svolgono la propria prestazione esclusivamente all’interno dell’azienda, in attuazione dei contratti collettivi di cui all’articolo 51 del DLGS 81/2015. Si tratta dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative. Quindi il riferimento va a fonti contrattuali ben qualificate.

Di conseguenza l’autonomia individuale incontra da una parte dei limiti legali inderogabilmente fissati inerenti la forma ed il contenuto del patto di lavoro agile, le ragioni del recesso, gli obblighi in materia di salute e sicurezza, le modalità di controllo della prestazione, l’esercizio del potere disciplinare, la durata massima della prestazione, la parità di trattamento e normativa, nonché gli ulteriori limiti assunti in sede collettivi.

Nella realtà, si è verificato quanto forse presente al legislatore, la contrattazione collettiva appare più attenta alla determinazione del luogo della prestazione, che alle modalità organizzative della stessa. In tal modo la contrattazione collettiva appare poco agile e funzionale alle esigenze delle parti lavoratori ed aziende individuando per lo più un minimale di presenza del lavoratore all’interno dell’azienda, con un orario giornaliero corrispondente a quello comunemente applicato, entro determinate fasce orarie e con la garanzia del diritto alla disconnessione, rendendo effettivo il diritto alla formazione permanente.  Scarso è invece l’intervento in tema di autonomia individuale ed organizzativa consistente in fasi cicli ed obiettivi e senza precisi vincoli di orario con l’utilizzo di strumenti tecnologici.

L’impatto propulsivo dell’autonomia individuale consiste invece, non tanto nel contrapporsi alla disciplina collettiva, quanto piuttosto di pervenire ad un equilibrio tra esigenze aziendali ed esigenze privato – individuale, in cambio di una maggiore produttività.

Se questo sarà l’effetto primario dell’accordo individuale, sotto un aspetto maggiormente evoluto e meno immediato, si confida che una maggior libertà di organizzazione e di vita favorisca non solo una maggiore produttività, ma anche, da parte delle categorie maggiormente professionalizzate, una maggiore creatività.

Ci si chiede se, una volta determinato ed ampliato lo spazio di autonomia individuale, ed una volta scalfito il solido paradigma dell’unità di luogo tempo ed azione nello svolgimento dell’attività lavorativa, possa ancora parlarsi di un concetto unitario di subordinazione grazie all’attenuazione o meglio contrattazione del potere direttivo, determinandosi così una tipologia speciale di lavoro subordinato in linea con quanto in precedenza attuato mediante l’articolo 2 del DLGS 81/2015 che estende la disciplina del lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali continuative e le cui modalità siano organizzate dal committente.

Da ultimo, affronteremo, seppure sommariamente, i problemi pratici ed immediati che si possono presentare all’operatore del diritto che sono di seguito individuati:

  1. Il potenziale conflitto tra accordo collettivo e accordo individuale laddove azienda e lavoratore trovino in tema di modalità organizzative del lavoro, fatti salvi i limiti di legge e di contratto collettivo, soluzioni conflittuali con la disciplina collettiva del lavoro agile.
  2. Il potenziale conflitto tra norme disciplinari comuni determinate dalla contrattazione collettiva e norme disciplinari individuali individuate in sede di contrattazione individuale del lavoro agile;
  3. Le difficoltà nella concreta applicazione di pattuizioni concernenti la retribuzione nelle prestazioni organizzate per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario.

Sicurezza Sociale Internazionale: Convenzione Bilaterale Italia/Stati Uniti. Il principio della territorialità e le sue eccezioni.

Prima dell’entrata in vigore della convenzione di sicurezza sociale tra Italia e Stati Uniti, accadeva che un lavoratore dipendente o autonomo fosse costretto, al verificarsi di determinate condizioni, a versare i propri contributi previdenziali in entrambi i paesi. Si verificava, in altre parole, una doppia imposizione contributiva nei confronti del lavoratore che determinava effetti distorsivi evidenti, contrari ad ogni principio di equità. Un’ impasse a cui la convenzione tra i due paesi, stipulata nel maggio del 1973, ha posto fine. L’accordo bilaterale ha, infatti, realizzato un coordinamento tra i due diversi sistemi di sicurezza sociale, così da evitare la doppia imposizione contributiva nel paese di origine e in quello di lavoro. La convenzione è stata successivamente ratificata con la legge 86/1975 ed è entrata in vigore il 1°novembre 1978, salvo poi essere stata oggetto di una revisione, con l’accordo aggiuntivo del 1984, ratificato con la legge 609/1985 ed entrato in vigore il 1°gennaio 1986.

Il trattato, secondo quanto stabilito dall’art. 2, si applica: “alla legislazione di sicurezza sociale delle prestazioni pensionistiche per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti (dei lavoratori dipendenti e autonomi NDR)”.

In particolare, per quanto riguarda l’Italia, ha ad oggetto l’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, nonché ai trattamenti di previdenza sostitutivi dell’assicurazione generale. Si pensi ai fondi speciali di previdenza per i lavoratori dello spettacolo, gestiti

dall’ENPALS, o i fondi per i giornalisti e dirigenti di aziende amministrati rispettivamente dall’INPGI ed ex INPDAI, che dal 2003 è confluito nell’INPS.

Per quanto attiene, invece, alle prestazioni pensionistiche erogate dagli Stati Uniti, si fa riferimento ai contributi previdenziali e sanitari costituiti dal “Social Security” e “Medicare tax” che costituiscono le due parti del “Federal Insurance Contributions Act” (FICA), altresì noto come “Old, Age, Survivor, and Disability Insurance ” (OASDI), fortemente voluto dal presidente Roosevelt negli anni successivi alla Grande Depressione del 1929, gestiti dalla Social Security Administration statunitense.

L’articolo 7 della convenzione sancisce: “salvo quanto diversamente disposto nel presente articolo, le persone alle quali si applica il presente accordo che, svolgono la loro attività sul territorio di uno stato contraente, sono soggette alla legislazione di tale stato”. In linea generale, il trattato applica il principio della territorialità dell’obbligo contributivo previdenziale, in base al quale un lavoratore rimane soggetto esclusivamente ai doveri contributivi del paese in cui lavora.

2

Concetto ribadito dall’art. 18, 2º comma, del trattato contro le doppie imposizioni tra l’Italia e gli Stati Uniti, del 1999, secondo cui: “i versamenti erogati da uno Stato contraente ad un residente di un altro stato

contraente in base a disposizioni sulla sicurezza sociale od analoga legislazione di detto stato sono imponibili solamente nello stato di residenza del beneficiario”.

In ambito nazionale è bene ricordare che tale principio trae fondamento dal R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 37, il quale stabilisce che le assicurazioni per l’invalidità e per la vecchiaia, per la tubercolosi e per la disoccupazione involontaria, salvo le esclusioni previste dallo stesso decreto, sono obbligatorie per le persone di ambo i sessi e di qualsiasi nazionalità che abbiano compiuto l’età di 15 anni e non superata quella di 65 anni, e che prestino lavoro retribuito alle dipendenze di altri.

Il cui scopo, come più volte evidenziato dalla giurisprudenza di settore, è “ancorare le condizioni del costo del lavoro al principio di parità tra lavoratori e di proteggere il sistema statale da pratiche interne al mercato del lavoro atte ad alterare, al ribasso, le dinamiche concorrenziali” Ex multis C. Cass. 6601/2018 e 4625/2020. Il principio è stato adottato anche dalla legislazione della Comunità Europea (vedasi art. 13, comma

2º, lett. a, del Reg. CEE del 14 giugno 1971 n. 1408) ai sensi del quale: “il lavoratore occupato nel territorio di uno Stato membro è soggetto alla legislazione di tale Stato anche se risiede nel territorio di un altro Stato membro o se l’;impresa o il datore di lavoro da cui dipende ha la propria sede o il proprio domicilio nel territorio di un altro Stato membro”. Il regolamento comunitario è stato profondamente modificato da numerosi interventi del legislatore, si pensi al Reg. CE 83/2004, come integrato dai successivi regolamenti 988/2009, 1244/2010, 465/2012 e, infine, 1224/2012. Al pari della normativa comunitaria anche quella

extracomunitaria, evolutasi nei numerosi trattati sottoscritti dall’Italia, ha fatto proprio il principio inserendo una condizione di reciprocità, in modo da tutelare il lavoratore garantendogli una continuità contributiva previdenziale.

A questo principio generale, tuttavia, si applicano alcune deroghe. Pensiamo al caso del distacco del lavoratore (ai sensi dell’art. 30 D.Lgs 276/2003) che, per motivi di lavoro, venga trasferito dall’azienda italiana negli Stati Uniti presso una sussidiaria di quest’ultima. Trattandosi di un

trasferimento temporaneo e non definitivo, sebbene in molti casi non si possa effettuare una quantificazione temporale (purchè si rimanga nel limite massimo dei 5 anni), al lavoratore distaccato è concessa la possibilità di esercitare un’opzione circa la legislazione sociale a lui applicabile in materia pensionistica. Invero egli potrà scegliere, entro 3 mesi dall’inzio della prestazione lavorativa, se versare i contributi all’Inps oppure al Social Security statunitense. Nel caso in cui opti per mantenere la contribuzione in Italia, la sussidiaria statunitense effettuerà una trattenuta in busta paga dei contributi che verserà direttamente all’INPS. L’opzione, ai sensi della normativa statunitense, è

3

modificabile già dal secondo anno o nel caso in cui il lavoratore ottenga o perda il permesso di soggiorno, attraverso il formulario del distacco IT/USA/4, denominato certificato di copertura. Tale modello può essere richiesto sia del datore di lavoro che del lavoratore stesso alla competente

istituzione statunitense, Social Security Administration, che dovrà rilasciarlo. L’accordo si applica in maniera speculare anche ai cittadini americani che lavorino in Italia alle dipendenze di una società

americana o della filiale o consociata italiana di una società americana.

Un’ulteriore deroga al principio generale si ha nell’ipotesi di un cittadino italiano in possesso di doppia cittadinanza sia egli sia un lavoratore autonomo, che un lavoratore dipendente. Anche in tale ipotesi è attribuito al lavoratore il potere di scegliere dove versare i suoi contributi previdenziali.

L’art. 7, comma 4 b, statuisce al riguardo: “il cittadino italiano o colui che possiede la cittadinanza di ambedue gli stati, il quale, per lo stesso periodo di lavoro, sarebbe soggetto alla legislazione di ambedue gli stati, opterà per tale periodo per la legislazione di uno degli stati ed è esente dalla legislazione dell’altro stato”. Ne deriva che un lavoratore italiano, in possesso di doppia cittadinanza, che intenda optare per la copertura

previdenziale italiana dovrà scrivere all’INPS e ottenere l’esonero contributivo dalla corrispondente autorità americana. Viceversa, se vorrà avvalersi del sistema statunitense, dovrà scrivere alla Social Security Administration, ed ottenere l’esonero da parte dell’INPS.

Ai fini pensionistici, infine, un lavoratore che abbia lavorato in entrambi i paesi ed ivi versato i propri contributi, avrà la possibilità di totalizzare i contributi, a condizione che egli abbia un periodo minimo di assicurazione e contribuzione nel paese che concede la pensione: in Italia pari a 52

settimane, negli Stati Uniti a 78. 

La totalizzazione dei periodi assicurativi consente all’assicurato di cumulare periodi di lavoro, svolti in paesi diversi, al fine di maturare il diritto alla pensione. In altri termini, l’anzianità contributiva, maturata presso ogni stato, è conservata dal lavoratore fino al raggiungimento del

diritto alla pensione. La totalizzazione non prevede oneri a carico dell’assicurato, né comporta il trasferimento dei contributi da un paese ad un altro o la ricongiunzione delle varie posizioni assicurative. Tuttavia, consente a ciascun paese di tener conto, ai soli fini dell’accertamento del

diritto alla pensione, dei contributi maturati. I paesi interessati saranno, quindi, debitori solo dellaprestazione relativa ai contributi versati nei propri sistemi previdenziali, secondo un sistema di calcolo “pro-rata”. Ne consegue, che la misura della pensione sarà calcolata dall’INPS unicamente sulla base dei contributi effettivamente versati in Italia. La pensione statunitense, invece, sarà calcolata dalla Social Security Administration sulla base dei contributi ivi versati, alla decorrenza dei

requisiti previsti dalla normativa americana. Un esempio ci aiuterà a capire meglio: ipotizziamo che

4

Maria consegua la pensione con 42 anni di contributi, di cui 25 accreditati in Italia e 17 negli Stati Uniti. L’importo della pensione verrà versato in misura proporzionale, in base al pro-rata, nel seguente modo: l’assegno pensionistico italiano sarà pari a 25/42 della pensione totale, pari al 59,5%,

mentre quello americano a 17/42, ossia il 40.5%.

Francesco Rizzo Marullo

Avvocato in Boston

Alte professionalità

Il patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale. L’istituzione della categoria dei quadri nella Pubblica Amministrazione, un passaggio necessario.

In data 10 marzo 2021 il Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Draghi assieme al Ministro per la Pubblica Amministrazione Renato Brunetta hanno stipulato con la Confederazione Generale Italiana del lavoro, la Confederazione italiana sindacati dei lavoratori e l’Unione italiana del lavoro un patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale.

Nel dettaglio, il Ministero della Pubblica Amministrazione intenderebbe avviare una nuova stagione di relazioni sindacali che punti sul confronto con le organizzazioni delle lavoratrici e dei lavoratori per centrare obiettivi ambiziosi.

In tale ambito, il rilancio della PA dev’essere costruito investendo sulle risorse umane e sul giusto riconoscimento di chi lavora con merito al servizio dello Stato e della PA.

La costruzione della nuova PA deve inoltre fondarsi innanzitutto sull’ingresso di nuove generazioni di lavoratrici e lavoratori e su un’azione di modernizzazione costante, efficace e continua anche in considerazione di una transizione verso l’innovazione e la sostenibilità di tutte le attività della PA.

Inoltre, la formazione del personale dovrà assumere ruolo centrale e ogni dipendente dovrà essere titolare di un diritto/dovere soggettivo alla formazione.

Di particolare interesse per la categoria dei quadri, appare il prospettato adeguamento della disciplina contrattuale ai fabbisogni di nuove professionalità e competenze in relazione ai cambiamenti organizzativi dell’innovazione digitale.

In particolare è emersa la necessità della rivisitazione dell’ordinamento professionale e della conseguente valorizzazione di specifiche professionalità non dirigenziali dotate di competenze e conoscenze specialistiche ed in grado di assumere specifiche responsabilità organizzative e professionali.

Si tratta, ad avviso di chi scrive, di un passaggio molto delicato per la contrattazione collettiva, che difficilmente rinuncerà al trattamento uniforme ed indifferenziato delle aree non dirigenziali e che ha già visto l’accesa contrarietà del sindacato all’introduzione della vice dirigenza.

E’ probabile che in tale contesto possa inserirsi un supporto legislativo a tale progetto cui CIU Unionquadri potrebbe offrire il suo contributo.

L’articolo 40 comma 2 del DLGS 165/2001 che costituisce il testo unico del Pubblico Impiego prevede nell’ambito della contrattazione collettiva apposita disciplina per le figure professionali che “che in posizione di elevata responsabilità svolgono compiti di direzione” e che, sempre in tale posizione, svolgono compiti che “comportano iscrizione ad albi oppure tecnico-scientifici e di ricerca”. Ad oggi l’articolo 40  comma 2 del DLGS 165/2001 non ha trovato attuazione, in nome di un voluto appiattimento delle posizioni professionali che ha prodotto gli evidenti risultati che abbiamo davanti e cui il Governo si accinge a porre rimedio.

La legge 145 /2002 (Legge Frattini) istituiva mediante l’articolo 17 bis la vice dirigenza la cui attuazione era poi affidata alla contrattazione collettiva di comparto.

Un tanto però non avveniva e dopo alterne vicissitudini giudiziarie che vedevano anche l’intervento della Corte Costituzionale, l’articolo 17 bis era abrogato.

Va ricordato inoltre che nel 2001, il Parlamento Europeo – Ufficio Petizioni, dopo l’audizione del sindacato DIRSTAT a Bruxelles aveva ritenuto il governo e il parlamento italiano inadempienti perché dopo la cosiddetta privatizzazione del pubblico impiego non aveva istituito un’area quadri per il personale ex direttivo relegandolo nei livelli funzionali

Già con  la legge 124/2015, erano poste le basi per la riforma della dirigenza (legge Madia).

Non seguiva però nei tempi debiti la legge di attuazione e quindi ad oggi, la riforma è ancora in totale attesa di attuazione.

Per completezza si riportano di seguito gli specifici punti concordati da Governo e confederazioni sindacali:

  1. I rinnovi contrattuali relativi al triennio 2019-2021, salvaguarderanno l’elemento perequativo della retribuzione già previsto dai contratti collettivi nazionali di lavoro relativi al triennio 2016-2018, il quale confluirà nella retribuzione fondamentale cessando di essere corrisposto quale elemento distinto della retribuzione, nonché attueranno la revisione dei sistemi di classificazione di cui al punto 3, attraverso lo stanziamento di risorse aggiuntive nella legge di bilancio 2022 .
    Al fine di sviluppare la contrattazione collettiva integrativa il Governo, previo confronto, individuerà le misure legislative utili a valorizzare il ruolo della contrattazione decentrata e, in particolare, al superamento dei limiti di cui all’art. 23, comma 2, del d.Lgs. 75/2017.
    Il Governo, sulla base di questi impegni, emanerà, in tempi brevi, gli atti di indirizzo di propria competenza per il riavvio della stagione contrattuale sia ai fini della stipulazione del contratto collettivo nazionale quadro sui comparti e aree di contrattazione collettiva, che con riferimento ai singoli comparti e aree, nonché a sollecitare i Comitati di settore per quanto di competenza.
     
  2. Con riferimento alle prestazioni svolte a distanza (lavoro agile), occorrerà porsi nell’ottica del superamento della gestione emergenziale, mediante la definizione, nei futuri contratti collettivi nazionali, di una disciplina che garantisca condizioni di lavoro trasparenti, che favorisca la produttività e l’orientamento ai risultati, concili le esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori con le esigenze organizzative delle Pubbliche Amministrazioni, consentendo, ad un tempo, il miglioramento dei servizi pubblici e dell’equilibrio fra vita professionale e vita privata.
    Nell’ambito dei contratti collettivi nazionali di lavoro del triennio 2019-21, saranno quindi disciplinati, in relazione al lavoro svolto a distanza (lavoro agile), aspetti di tutela dei diritti sindacali, delle relazioni sindacali e del rapporto di lavoro (quali il diritto alla disconnessione, le fasce di contattabilità, il diritto alla formazione specifica, il diritto alla protezione dei dati personali, il regime dei permessi e delle assenze ed ogni altro istituto del rapporto di lavoro e previsione contrattuale).
     
  3. Alla luce dei lavori delle commissioni paritetiche sulla revisione dei sistemi di classificazione professionale costituite in sede Aran, attraverso i contratti collettivi del triennio 2019-21 si procederà alla successiva rivisitazione, ricorrendo a risorse aggiuntive, nell’ambito dei principi costituzionali e delle norme di legge in tema di accesso e di progressione di carriera, degli ordinamenti professionali del personale, adeguando la disciplina contrattuale ai fabbisogni di nuove professionalità e competenze richieste dai cambiamenti organizzativi e dall’innovazione digitale e alle esigenze di valorizzazione delle capacità concretamente dimostrate.
    Corollario della rivisitazione dell’ordinamento professionale è anche la necessità della valorizzazione di specifiche professionalità non dirigenziali dotate di   competenze e conoscenze specialistiche, nonché in grado di assumere specifiche responsabilità organizzative e professionali.
    Le parti stipulanti condividono comunque la necessità di implementare ed estendere il sistema degli incarichi come altre innovazioni del sistema anche per valorizzare e riconoscere competenze acquisite negli anni, anche attraverso specifiche modifiche legislative.
     
  4. La formazione e la riqualificazione del personale deve assumere centralità quale diritto soggettivo del dipendente pubblico e rango di investimento organizzativo necessario e variabile strategica non assimilabile a mera voce di costo nell’ambito delle politiche relative al lavoro pubblico. In particolare va ribadito che le attività di apprendimento e di formazione devono essere considerate a ogni effetto come attività lavorative.
    Si assume, quindi, l’impegno a definire, previo confronto, politiche formative di ampio respiro in grado di rispondere alle mutate esigenze delle Amministrazioni Pubbliche, garantendo percorsi formativi specifici a tutto il personale con particolare riferimento al miglioramento delle competenze informatiche e digitali e di specifiche competenze avanzate di carattere professionale.
     
  5. In applicazione dell’accordo europeo con le parti sociali del 21 dicembre 2015, recante il “Quadro generale sulla informazione e consultazione dei funzionari pubblici dei dipendenti delle amministrazioni dei governi centrali”, nell’ambito dei nuovi contratti collettivi, alla luce degli effetti delle nuove discipline in materia di relazioni sindacali già previste nei contratti del triennio 2016-2018 per tutte le aree e i comparti di contrattazione collettiva, saranno adeguati i sistemi di partecipazione sindacale, favorendo processi di dialogo costante fra le parti, valorizzando strumenti innovativi di partecipazione organizzativa, a partire dagli OPI, che implementino l’attuale sistema di relazioni sindacali sia sul fronte dell’innovazione che su quello della sicurezza sul lavoro.
     
  6. Le parti concordano inoltre sulla necessità di implementare gli istituti di welfare contrattuale, anche con riguardo al sostegno alla genitorialità con misure che integrino e implementino le prestazioni pubbliche, le forme di previdenza complementare e i sistemi di premialità diretti al miglioramento dei servizi, estendendo anche ai comparti del pubblico impiego le agevolazioni fiscali previste per i settori privati a tali fini.

Fabio Petracci

Alberto Tarlao

parlamento europeo

Diritto alla disconnessione sul lavoro. Il parlamento europeo emette una raccomandazione.

Il Parlamento Europeo ha adottato la risoluzione del 21 gennaio 2021 relativa al diritto alla disconnessione recante raccomandazioni alla Commissione per addivenire ad una generale tutela del lavoro dai rischi di una costante connessione con i mezzi informatici dell’azienda, tale da comportare il rischio di un abnorme e pericolosa dilatazione dei tempi di lavoro.

Molteplici sono le ragioni che sostengono questa decisione.

L’invasività del lavoro è resa quanto mai attuale dalla ormai rilevante presenza dei mezzi informatici a scopi lavorativi e quindi la nascita di una cultura della connessione permanente che rende ormai difficile una definizione dell’orario di lavoro e di una giusta e proporzionata retribuzione, compromettendo l’equilibrio tra attività lavorativa e vita privata. Il documento riconosce come l’efficace registrazione dell’orario di lavoro possa contribuire al rispetto del lavoro ed a limitare gli eccessi.

Lo stesso documento ammette pure come una certa flessibilità nell’organizzazione del lavoro e l’utilizzo in maniera sicura ed adeguata di strumenti digitali a scopi lavorativi possano determinare conseguenze positive sulla salute fisica e mentale dei lavoratori.

Quindi, il Parlamento europeo invita la Commissione a valutare ed affrontare i rischi della mancata tutela di un diritto alla disconessione , invitando la Commissione medesima a presentare una proposta di direttiva sull’argomento, ricorrendo anche alla consultazione e collaborazione delle parti sociali.

L’invito del Parlamento europeo tocca anche temi connessi che possono comportare un coinvolgimento temporale ed invasivo del lavoratore come ad esempio le attività di apprendimento e formazione a distanza, auspicando come le stesse siano circoscritte nell’ambito dell’orario di lavoro, salvo adeguato compenso.

La stesso Parlamento sottolinea l’importanza di una adeguata formazione informatica per consentire ai lavoratori uno svolgimento corretto ed efficiente della prestazione.

Quindi la Raccomandazione del Parlamento europeo invoca il diritto alla disconnessione dai mezzi di lavoro da applicarsi a tutti i lavoratori e a tutti i settori, sia pubblici che privati mediante una direttiva che stabilisca condizioni minime per il diritto alla disconnessione.

A seguito della predetta direttiva, è auspicato come gli Stati membri debbano poi garantire l’istituzione di un sistema oggettivo, affidabile ed accessibile che consenta la misurazione della durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore, anche attraverso accordi tra le parti sociali.

Articolo 1 Oggetto e ambito d’applicazione.

1. La presente direttiva stabilisce prescrizioni minime che permettano ai lavoratori di utilizzare strumenti digitali, comprese le TIC, a scopi lavorativi e di esercitare il diritto alla disconnessione e che garantiscano il rispetto del diritto dei lavoratori alla disconnessione da parte dei datori di lavoro. Essa si applica a tutti i settori, sia pubblici che privati, e a tutti i lavoratori, indipendentemente dal loro status e dalle loro modalità di lavoro.

2. La presente direttiva precisa e integra le direttive 89/391/CEE, 2003/88/CE, (UE) 2019/1152 e (UE) 2019/1158 ai fini di cui al paragrafo 1, lasciando impregiudicate le prescrizioni stabilite in tali direttive. Articolo 2 Definizioni

1. Ai fini della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni: (1) “disconnessione”: il mancato esercizio di attività o comunicazioni lavorative per mezzo di strumenti digitali, direttamente o indirettamente, al di fuori dell’orario di lavoro; (2) “orario di lavoro”: l’orario di lavoro quale definito all’articolo 2, punto 1, della direttiva 2003/88/CE.

Articolo 3 Diritto alla disconnessione

1. Gli Stati membri garantiscono che i datori di lavoro prendano i provvedimenti necessari per fornire ai lavoratori i mezzi per esercitare il diritto alla disconnessione.

Gli Stati membri garantiscono che i datori di lavoro istituiscano un sistema oggettivo, affidabile e accessibile che consenta la misurazione della durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore, nel rispetto del diritto dei lavoratori alla vita privata e alla tutela dei dati personali. I lavoratori possono richiedere e ottenere il registro del loro orario di lavoro. Gli Stati membri provvedono affinché i datori di lavoro attuino il diritto alla disconnessione in modo equo, lecito e trasparente.

Articolo 4 Misure di attuazione del diritto alla disconnessione.

1. Gli Stati membri garantiscono che, previa consultazione delle parti sociali al livello adeguato, siano stabilite modalità dettagliate che consentano ai lavoratori di esercitare il diritto alla disconnessione e che i datori di lavoro attuino tale diritto in modo equo e trasparente. A tal fine gli Stati membri garantiscono almeno le seguenti condizioni di lavoro: (a) le modalità pratiche per scollegarsi dagli strumenti digitali a scopi lavorativi, compreso qualsiasi strumento di monitoraggio legato al lavoro; (b) il sistema per la misurazione dell’orario di lavoro; (c) valutazioni della salute e della sicurezza, comprese le valutazioni del rischio psicosociale, in relazione al diritto alla disconnessione; (d) i criteri per la concessione di una deroga ai datori di lavoro dall’obbligo di attuare il diritto dei lavoratori alla disconnessione; (e) in caso di deroga a norma della lettera d), i criteri per stabilire le modalità di calcolo della compensazione per il lavoro svolto al di fuori dell’orario di lavoro conformemente alle direttive 89/391/CEE, 2003/88/CE, (UE) 2019/1152 e (UE) 2019/1158 nonché al diritto e alle prassi nazionali. (f) le misure di sensibilizzazione, compresa la formazione sul luogo di lavoro, che i datori di lavoro sono tenuti ad adottare riguardo alle condizioni di lavoro di cui al presente paragrafo. Le deroghe di cui al primo comma, lettera d), sono previste soltanto in circostanze eccezionali, quali la forza maggiore o altre emergenze, a condizione che il datore di lavoro fornisca per iscritto a ogni lavoratore interessato le motivazioni che dimostrino la necessità di una deroga ogniqualvolta si ricorra a essa.

2. Gli Stati membri possono, conformemente al diritto e alle prassi nazionali, affidare alle parti sociali il compito di concludere accordi collettivi a livello nazionale, regionale, settoriale o di datore di lavoro che stabiliscano o integrino le condizioni di lavoro di cui al paragrafo 1.

3. Gli Stati membri provvedono affinché i lavoratori che non sono coperti da un accordo collettivo a norma del paragrafo 2 beneficino di una tutela conformemente alla presente direttiva.

Articolo 5 Tutela contro trattamenti sfavorevoli

1. Gli Stati membri provvedono affinché siano vietati la discriminazione, il trattamento meno favorevole, il licenziamento e altre misure sfavorevoli da parte dei datori di lavoro per il fatto che il lavoratore abbia esercitato o tentato di esercitare il diritto alla disconnessione.

2. Gli Stati membri garantiscono che i datori di lavoro proteggano i lavoratori, compresi i rappresentanti dei lavoratori, da qualsiasi trattamento sfavorevole e da qualsiasi conseguenza sfavorevole derivante da un reclamo presentato al datore di lavoro o da un procedimento promosso al fine di garantire il rispetto dei diritti di cui alla presente direttiva.

3. Gli Stati membri garantiscono che, quando i lavoratori che ritengono di essere stati licenziati o di aver subito un altro trattamento sfavorevole per aver esercitato o tentato di esercitare il diritto alla disconnessione presentano dinanzi a un tribunale o a un’altra autorità competente fatti idonei a far sorgere una presunzione che siano stati licenziati o abbiano subito un altro trattamento sfavorevole per tale motivo, incombe al datore di lavoro dimostrare che il licenziamento o il trattamento sfavorevole è stato basato su motivi diversi.

4. Il paragrafo 3 non osta a che gli Stati membri impongano un regime probatorio più favorevole ai lavoratori.

 5. Gli Stati membri non sono tenuti ad applicare il paragrafo 3 alle procedure nelle quali l’istruzione dei fatti spetta all’organo giurisdizionale o all’organo competente.

 6. Salvo diversa disposizione degli Stati membri, il paragrafo 3 non si applica ai procedimenti penali.

Articolo 6 Diritto di ricorso

1. Gli Stati membri provvedono affinché i lavoratori il cui diritto alla disconnessione è stato violato abbiano accesso a un meccanismo di risoluzione delle controversie rapido, efficace e imparziale e beneficino di un diritto di ricorso in caso di violazioni dei loro diritti derivanti dalla presente direttiva.

2. Gli Stati membri possono stabilire che le organizzazioni sindacali o altri rappresentanti dei lavoratori abbiano la facoltà, per conto o a sostegno dei lavoratori e con la loro approvazione, di avviare procedimenti amministrativi al fine di garantire la conformità con la presente direttiva o la sua applicazione.

Articolo 7 Obbligo di informazione Gli Stati membri provvedono affinché i datori di lavoro forniscano per iscritto a ciascun lavoratore informazioni chiare, sufficienti ed adeguate sul diritto alla disconnessione, compresa una dichiarazione che precisi i termini degli accordi collettivi o di altri accordi applicabili. Tali informazioni comprendono almeno i seguenti elementi: (a) le modalità pratiche per scollegarsi dagli strumenti digitali a scopi lavorativi, compresi eventuali strumenti di monitoraggio legato al lavoro, di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera a); (b) il sistema di misurazione dell’orario di lavoro, di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera b); (c) le valutazioni del datore di lavoro sulla salute e sulla sicurezza in relazione al diritto alla disconnessione, comprese le valutazioni del rischio psicosociale, di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera c); (d) i criteri per la concessione di una deroga ai datori di lavoro dall’obbligo di attuare il diritto alla disconnessione e i criteri per stabilire la compensazione per il lavoro svolto al di fuori dell’orario di lavoro, di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettere d) ed e); (e) le misure di sensibilizzazione del datore di lavoro, compresa la formazione sul luogo di lavoro, di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera f); (f) le misure di tutela dei lavoratori contro trattamenti sfavorevoli conformemente all’articolo 5; (g) le misure di attuazione del diritto di ricorso dei lavoratori conformemente all’articolo 6.

Articolo 8 Sanzioni

Gli Stati membri stabiliscono le norme relative alle sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate in conformità della presente direttiva o delle pertinenti disposizioni già in vigore riguardanti i diritti che rientrano nell’ambito di applicazione della presente direttiva, e adottano tutte le misure necessarie per assicurarne l’attuazione. Tali sanzioni sono effettive, proporzionate e dissuasive. Entro … [due anni dalla data di entrata in vigore della presente direttiva], gli Stati membri notificano tali norme e misure alla Commissione e provvedono poi a dare immediata notifica delle eventuali modifiche successive.

Articolo 9 Livello di protezione 1. La presente direttiva non costituisce un motivo valido per ridurre il livello generale di protezione riconosciuto ai lavoratori negli Stati membri.

2. La presente direttiva lascia impregiudicata la prerogativa degli Stati membri di applicare o introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori o di promuovere o consentire l’applicazione di contratti collettivi che siano più favorevoli ai lavoratori. 3. La presente direttiva lascia impregiudicato ogni altro diritto conferito ai lavoratori da altri atti giuridici dell’Unione.

Articolo 10 Relazione, valutazione e revisione del diritto alla disconnessione

1. Entro … [cinque anni dopo l’entrata in vigore della presente direttiva] e successivamente ogni due anni, gli Stati membri presentano alla Commissione una relazione contenente tutte le informazioni pertinenti sull’attuazione e l’applicazione pratiche della presente direttiva, così come indicatori di valutazione sulle pratiche di attuazione del diritto alla disconnessione, indicando i rispettivi punti di vista delle parti sociali nazionali.

 2. Sulla base delle informazioni fornite dagli Stati membri a norma del paragrafo 1, la Commissione, entro … [sei anni dopo l’entrata in vigore della presente direttiva] e successivamente ogni due anni, presenta una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio sull’attuazione e sull’applicazione della presente direttiva e valuta la necessità di misure aggiuntive, compresa, se del caso, la modifica della presente direttiva. Articolo 11 Recepimento 1. Entro il … [due anni dopo l’entrata in vigore della presente direttiva], gli Stati membri adottano e pubblicano le misure legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva. Essi ne informano immediatamente la Commissione. Essi applicano tali disposizioni a decorrere dal … [tre anni dopo l’entrata in vigore della presente direttiva]. Le misure adottate dagli Stati membri contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di tale riferimento all’atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità del riferimento sono stabilite dagli Stati membri.

2. A decorrere dall’entrata in vigore della presente direttiva, gli Stati membri provvedono a comunicare alla Commissione, in tempo utile perché questa possa presentare le proprie osservazioni, qualsiasi progetto di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative che intendano adottare nel settore disciplinato dalla presente direttiva.

3. Conformemente all’articolo 153, paragrafo 3, TFUE, gli Stati membri possono affidare alle parti sociali l’attuazione della presente direttiva, su loro richiesta congiunta, a condizione che garantiscano il rispetto della presente direttiva.

 Articolo 12 Dati personali I datori di lavoro trattano i dati personali di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettere a) e b) della presente direttiva soltanto ai fini della registrazione dell’orario di lavoro del singolo lavoratore. Essi non trattano tali dati per altri fini. I dati personali sono trattati conformemente al regolamento (CE) n. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio1 e alla direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio2 . Articolo 13 1 Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati) (GU L 119 del 4.5.2016, pag. 1).

2 Direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche) (GU L 201 del 31.7.2002, pag. 37). Entrata in vigore La presente direttiva entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. Articolo 14 Destinatari Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva. Fatto a …, Per il Parlamento europeo Per il Consiglio Il presidente Il presidente