Sempre
più frequentemente, in un contesto di lavoro in trasformazione, si riflette sull’allontanamento
del paradigma produttivo dall’impianto concettuale giuslavoristico classico, basato
sul lavoro manuale e ripetitivo, in favore della crescente rilevanza di professioni
basate sulla conoscenza e caratterizzate da un alto valore aggiunto di tipo
immateriale.
Il tema
dell’emersione del lavoro basato sulla conoscenza, sulle capacità relazionali, organizzative
e di coordinamento, è una questione risalente che ha trovato la prima espressione
storica e sindacale nel ben noto processo che ha condotto al riconoscimento legale
della categoria dei quadri.
Una vicenda
analoga nelle premesse, ma che ha avuto sviluppi completamente diversi, è quella
del lavoro di ricerca: la professione che, forse più di tutte, si nutre di conoscenza
e produce conoscenza, la più lontana dal
lavoro mansionistico a cui è ispirato l’impianto normativo degli anni ’70 del
secolo scorso. I ricercatori non hanno mai esercitato un’azione collettiva, paragonabile
a quella dei quadri, che potesse culminare nel riconoscimento della professione;
eppure, oggi, l’universo dei ricercatori pone, all’interprete e allo studioso di
lavoro e di organizzazione, tematiche che sono, almeno in parte, assimilabili a
quelle già sollevate dai quadri.
Entrambe
le professioni sopra indicate, adottando la prospettiva che proviene dagli
studi di organizzazione, possono essere ricondotte alla tipologia dei “lavori della
conoscenza” secondo il significato dell’espressione dato da Peter Drucker[1]:
lavoratori altamente qualificati, che svolgono un lavoro non manuale, volto
alla produzione di output tendenzialmente intangibili.
Questi
lavoratori sono stati definiti come «coloro che producono conoscenza nuova a
mezzo di conoscenza, accrescendone il valore sociale (offrendo un servizio), il
valore economico (creando reddito e patrimonio) e il valore intrinseco e
diffusivo (che non è appropriabile e che non è una merce): ossia producono
conoscenze a mezzo di conoscenze[2]».
La categoria
dei “lavoratori della conoscenza” comprende artisti, scienziati, ricercatori e insegnanti,
membri delle professioni ordinistiche, consulenti, persone che svolgono funzioni
di governance in istituzioni ed enti pubblici e privati, imprenditori e figure manageriali
intermedie; tutti, rispetto al passato, esprimono la propria professionalità non
tanto nell’esercizio del ruolo di comando, quanto, piuttosto, nell’attività di immissione
di conoscenze ed esperienze nelle strutture operative, di coordinamento e di garanzia
del raggiungimento di risultati. Ad eccezione delle professioni ordinistiche, svolte
in regime di libera professione, tutte queste occupazioni si esercitano nelle organizzazioni[3].
Nonostante
i frequenti riconoscimenti formali circa l’importanza della conoscenza e del sapere
per la crescita economica e per la qualità sociale di un Paese, queste professioni
condividono, nella propria espressione quotidiana concreta, la necessità di fronteggiare
ostacoli e difficoltà di non poco momento.
Tendenzialmente,
si tratta di professioni poco definite, difficilmente riconoscibili dall’esterno
e scarsamente rappresentate, con i relativi effetti in termini di deficit di tutela.
La natura
immateriale dell’output rende l’attività difficilmente comprensibile da parte
di chi non faccia parte del settore[4]
e questo, a livello gestionale, si traduce nella difficoltà di promuovere e misurare
la prestazione; inoltre, sono professioni articolate in processi complessi, che
richiedono la sinergia di una pluralità di attori: dunque, il risultato finale è
solitamente l’esito di una pluralità di sforzi coordinati.
Gli studiosi[5]
ascrivono alle professioni della conoscenza altri due fattori critici e cioè la
circostanza che spesso sono svolte da persone insufficientemente formate e che
sono caratterizzate da un alto grado di instabilità occupazionale. Rispetto alle
professioni oggetto di indagine in questa sede, occorre operare qualche distinguo:
il tema dell’insufficiente formazione non sembra porsi rispetto ad alcuna delle
due categorie esaminate; quello dell’instabilità occupazionale caratterizza principalmente
i ricercatori, mentre, rispetto ai quadri risulta difficile generalizzare.
Inoltre,
la scarsa riconoscibilità del lavoro svolto, tendenzialmente, ostacola la formazione
dell’identità professionale dei lavoratori. Per quanto riguarda il lavoro di ricerca,
la questione si pone in termini peculiari: la professione dei ricercatori è tra
le meno conosciute e comprese sul piano della percezione sociale e istituzionale,
eppure i lavoratori di questo settore traggono fortemente la propria identità professionale
dal senso di appartenenza alla comunità scientifica di riferimento. Il fatto di
essere altamente specializzati, in un dominio circoscritto e ben definito del sapere
scientifico, distingue nettamente i ricercatori e gli scienziati da tutti gli
altri lavoratori della conoscenza e li pone a metà strada tra questi ultimi e i
professionisti specialisti.
Infine,
la preponderante componente specialistica della professione caratterizza anche la
natura dell’attività svolta: generalmente, i lavoratori della conoscenza, e in particolare
i quadri, svolgono attività basate sulla comunicazione, sul coordinamento di risorse
umane e materiali, sulla capacità di impostare progetti e piani di lavoro, di farli
rispettare, di curare l’aspetto relazionale e interpersonale dell’ambiente
lavorativo. Questo per i ricercatori, invece, diventa vero soltanto quando essi
arrivano a ricoprire posizioni di coordinamento, di strutture e/o di laboratori,
e spesso, quando ciò accade, ridimensionano la propria attività di scienziati.
Una volta
individuate le analogie e tracciate le distinzioni, si può proporre qualche spunto
di riflessione in tema di emersione e riconoscimento della professione: il passaggio
più critico, si ritiene, è il corretto inserimento di queste professionalità nella
propria sede naturale di espressione, cioè le organizzazioni.
Il passaggio
risulta difficoltoso perché, sebbene le organizzazioni abbiano bisogno di
avvalersi delle potenzialità di queste risorse, non sempre riescono a
valorizzarle in quanto dispongono principalmente di strumenti organizzativi e
giuridici ispirati ad un tipo di lavoro parcellizzabile, misurabile nel risultato
e pienamente controllabile dal datore di lavoro, e quindi poco adatto alla
gestione del lavoro della conoscenza. Costituiscono un esempio di questa
situazione sia i sistemi di inquadramento tradizionali, analitici e tendenzialmente
rigidi dei contratti collettivi nazionali più applicati, sia il quasi esclusivo
utilizzo del fattore temporale per la determinazione quantitativa della retribuzione,
o, ancora, la rigida struttura gerarchica e la descrizione statica delle mansioni.
Da
questo punto di vista, per far emergere le alte professionalità, con
particolare riferimento alle professioni in analisi, si potrebbe prendere le
mosse da una ricostruzione innovativa della categoria dei quadri. Proprio partendo
dalla scarsità di informazioni che la legge 190/1985 ci consegna sulle
caratteristiche della categoria[6],
la si può interpretare in un’accezione più adatta alle nuove esigenze
organizzative. Dalla disposizione di legge, infatti, l’interprete desume
soltanto che il Quadro è colui che svolge “funzioni con carattere continuativo
di rilevante importanza ai fini dello sviluppo e dell’attuazione degli
obiettivi dell’impresa” e che la contrattazione collettiva determina i
requisiti di appartenenza alla categoria, “in relazione a ciascun ramo di
produzione e alla particolare struttura organizzativa dell’impresa”. La legge,
inoltre, nulla dice su quali debbano essere le funzioni con rilevante
importanza ai fini della realizzazione degli obiettivi aziendali, cioè le
funzioni strategiche.
La storia
ci tramanda una figura del Quadro ben definita, rispetto ad alcune
caratteristiche, dal momento che
l’identità
originaria della classe di lavoratori autrice della propulsione da cui è
derivato il riconoscimento è stata quella dei “capi intermedi”, nel senso di
figure di raccordo e coordinamento tra il vertice dell’organizzazione, cioè i
dirigenti, e la base, cioè gli impiegati e gli operai. Questo carattere originario
è stato recepito nella quasi totalità dei contratti collettivi ed è ormai connaturato
alla percezione sociale della figura del quadro. Tuttavia, non si tratta di una
situazione immutabile né, soprattutto, esclusiva; anche alla luce della parziale
valorizzazione conseguita negli anni da questi lavoratori, si potrebbe
sfruttare la potenzialità delle parti sociali di adattare gli istituti tipici
della contrattazione alle trasformazioni che intervengono nelle relazioni
lavoristiche, definendo in maniera diversa, e più ampia, l’ambito di
appartenenza della categoria dei quadri.
Si
potrebbe, allora, esplorare la nozione, in sé polivalente, di “funzioni con
carattere continuativo di rilevante importanza ai fini dello sviluppo e
dell’attuazione degli obiettivi dell’impresa”, scindendone il legame,
apparentemente indissolubile, con la funzione di coordinamento e direzione di
altri dipendenti sotto ordinati gerarchicamente; parallelamente, dovrebbe
essere arricchita con contenuti specialistici e con quelle che sono oggi, e
forse saranno in futuro, le funzioni strategiche per le attività produttive,
sulla base delle specificità di queste ultime. Se si aderisse a questa
prospettiva, gran parte dei professionisti della conoscenza, e segnatamente,
per quello che ci più interessa, i ricercatori, entrerebbe a far parte a pieno
titolo della categoria dei quadri. Infatti, in un contesto come quello attuale,
in cui l’innovazione tecnologica e lo sviluppo sperimentale stanno diventando
sempre più essenziali per la gestione e per la sopravvivenza del mondo
produttivo che conosciamo, quali funzioni possono essere ritenute più
strategiche di quelle relative alla ricerca e sviluppo?
Una siffatta
lettura della categoria consentirebbe di valorizzare le specificità delle
diverse realtà produttive e di gestire le risorse umane in maniera funzionale
agli obiettivi che si vogliono conseguire: diverse professioni, a seconda dei
contesti e delle priorità aziendali, sarebbero qualificate come strategiche e
diversi professionisti verrebbero qualificati come quadri. Questo, senza voler
sminuire il valore ancora importante della figura del “quadro direttivo”,
consentirebbe anche di rivitalizzare una categoria che probabilmente ha
risentito del mancato aggiornamento della propria fisionomia tradizionale, rischiando
di diventare obsoleta pur possedendo importanti potenzialità.
Autore
Laura
Angeletti
Laurea Magistrale
con lode in Giurisprudenza presso l’Università di Pisa, il 12 dicembre 2016,
con una tesi in diritto del lavoro (Relatore Prof. Pasqualino Albi)
Diploma di
Allievo Ordinario in Scienze Giuridiche, con lode, presso la Scuola Superiore
Sant’Anna di Pisa, il 20 febbraio 2017, con una tesi in diritto sindacale
(Relatore Prof. A. Niccolai)
Attualmente: corso
di dottorato industriale in diritto del lavoro e delle relazioni industriali in
collaborazione con ADAPT (Associazione per gli studi internazionali e comparati
in materia di lavoro e relazioni industriali) presso l’Università degli studi
di Bergamo, con una tesi di sul riconoscimento giuridico e contrattuale del
lavoro di ricerca non accademico.
Internship
aziendale, nell’ambito del dottorato industriale, presso la Ripartizione
Organizzazione e Risorse Umane della Fondazione Edmund Mach di San Michele
all’Adige (attività di ricerca sul campo per la stesura della tesi e supporto
legale alle attività della Ripartizione).
Pratica forense
presso lo studio legale Albi di Pisa e
lo studio legale Molinari – Fraccaro di Trento.
Esperienze
di ricerca svolte presso Università europee (visiting student):
29 Luglio – 16 Agosto 2013 – London
School of Economics and Political Sciences (Londra)
Summer School: Introduction to
International Human Rights: Theory, Law and Practice
Marzo –
Aprile 2014 – École
Normale Supérieure de Paris (Parigi)
Diritto della
Concorrenza dell’Unione Europea
Marzo –
Aprile 2015; ottobre – novembre 2016 – Universidad de Castilla La Mancha
(Toledo)
Diritto del
Lavoro (stesura della tesi di laurea)
Tirocini:
Settembre –
Dicembre 2015
Rappresentanza
Permanente d’Italia presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite (New York City,
NY)
Periodo di
tirocinio presso l’ufficio della Rappresentanza Permanente d’Italia
all’Organizzazione delle Nazioni Unite: collaborazione all’organizzazione della
settantesima sessione dell’Assemblea Generale (UNGA70) e alle attività della Terza
Commissione (Human Rights).
Pubblicazioni:
L. ANGELETTI, Ricerca ed innovazione responsabile in
Italia. Accordo AIRI-CNR per la RRI, in Bollettino ADAPT 15 luglio
2019, n. 27
L. ANGELETTI,
Trasferimento tecnologico in Italia: qualcosa si muove, in Bollettino
ADAPT, 26 marzo 2018
L. ANGELETTI,
Insussistenza del fatto e licenziamento: una rassegna ragionata, in Diritto
delle Relazioni Industriali, 3/2018
L. ANGELETTI, R.
BERLESE, V. GUGLIOTTA, Introduzione a”Il lavoro 4.0. La
Quarta Rivoluzione industriale e le trasformazioni delle attività lavorative“,
a cura di A. CIPRIANI, A. GRAMOLATI, G. MARI, Firenze University Press, 2018
L. ANGELETTI, Obbligo
formativo nell’esercizio dello ius variandi datoriale. Una nuova nozione di
“equivalenza delle mansioni”? in BollettinoAdapt,
22 gennaio 2018
L. ANGELETTI, Nota
a Trib. Roma, sez. Lav., 1 dicembre 2015, Trattamenti economici accessori
tra contratti collettivi e giurisprudenza, in Rivista Italiana di
Diritto del Lavoro, 2/2016
L. ANGELETTI, Nota
a Cass. Civ., Sez. III, 3 gennaio 2014, n. 41, Responsabilità civile del
magistrato: cenni ricostruttivi di un complicato rapporto con l’azione penale,
da un lato e con la responsabilità dello Stato, dall’altro in Danno e
Responsabilità, 4/2014
L. ANGELETTI, Nota
a Cass. Civ., Sez. III, 28 gennaio 2014, n. 1762, ll danno esistenziale a
cinque anni dalle Sentenze di San Martino: il dibattito sui nomina juris, in
Rivista Italiana di Medicina Legale, 4/2014
L. ANGELETTI,
Appunti di comparazione tra la legislazione sull’immigrazione italiana e quella
britannica. Trattamento riservato ai richiedenti asilo provenienti da
ex-colonie del paese che riceve la domanda: sono previste misure particolari? in
F. Biondi dal Monte e M. Melillo (a cura di), Diritto di asilo e protezione
internazionale: storie di migranti in Toscana, Pisa University Press, Pisa,
2014
L. ANGELETTI, Nota
redazionale a Cassazione Civile, Sez. III, 28 febbraio 2013, n. 22585, in
collaborazione con l’Osservatorio sul danno alla persona – Lider Lab – Scuola
Superiore Sant’Anna, in Rivista Italiana di Medicina Legale, 1/2014
[1] F. BUTERA, S. DI GUARDO,
Il modello di analisi e progettazione del lavoro della conoscenza,
Fondazione Irso Working Paper, 1/2009
[2]F. BUTERA, S. BAGNARA, R.
CESARIA, S. DI GUARDO, Knowledge Working. Lavoro, lavoratori,
società della conoscenza, Milano, Mondadori Università, 2008
[3] F. BUTERA, A. FAILLA, Professionisti in azienda, Milano, ETAS LIBRI,
1992
[4] F. BUTERA, S. DI GUARDO, Il modello di analisi e progettazione del lavoro della conoscenza,
Fondazione Irso Working Paper, 1/2009: “se ci sediamo accanto a un
ricercatore o ad un manager, spesso non capiamo quello che fa, qual è il suo
outpunt, se sta ripetendo una procedura o sta generando nuova conoscenza”, p. 6
[5]
[6] A. GARILLI, Le categorie
dei prestatori di lavoro, Jovene, 1988, p. 253