Conferimento di incarico
dirigenziale a funzionario privo di laurea – paga il sindaco.
La Corte dei Conti all’udienza del
19.9.2019 condanna il sindaco di un comune al pagamento della differenza di
quanto erogato al funzionario in ragione dell’incarico dirigenziale e quanto
sarebbe stato erogato riconoscendo una posizione organizzativa ad un dipendente
di categoria D.
La Corte in merito all’eccezione di
prescrizione, fa presente che la prescrizione quinquennale decorre dai singoli
pagamenti dannosi effettuati dall’ente.
Essa conferma inoltre la
responsabilità del sindaco e non quella degli organi di collaborazione ivi
compreso il segretario comunale che aveva inoltre rilevato l’illegittimità
della decisione prima che la stessa fosse stata assunta.
REPUBBLICA
ITALIANA N° 182/2019 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DEI CONTI SEZIONE
GIURISDIZIONALE REGIONALE per il VENETO Composta dai magistrati Dott.ssa Marta
TONOLO Presidente F.F. dott. Maurizio MASSA Giudice dott.ssa Daniela ALBERGHINI
Giudice relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA Nel giudizio di
responsabilità iscritto al n. 30799 del registro di segreteria, promosso dal
Procuratore Regionale nei confronti di: XXXXX, nato a XXXXX, il XXXXX,
residente a XXXX, Via XXXX, rappresentato e difeso dagli avv.ti XXXXX e XXXX
del Foro di XXX, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. XXXX in
XXXX; Sentiti all’udienza pubblica del 19 settembre 2019 il relatore dott.ssa
Daniela Alberghini, il Pubblico Ministero nella persona del Vice Procuratore
dott. Giancarlo Di Maio, l’Avv. XXXX per il convenuto, come da verbale
d’udienza.
SVOLGIMENTO
DEL GIUDIZIO La Procura regionale ha convenuto innanzi a questa Sezione
Giurisdizionale Regionale il sig. XXXXX per aver, in qualità di Sindaco pro
tempore del Comune di XXXX, adottato, ai sensi dell’art. 110 TUEL, il decreto
n. 11 del 18 giugno 2013, con il quale ha conferito incarico dirigenziale, con
responsabilità dell’Area Seconda “Servizi economici e finanziari”, ad un
funzionario, il XXXXXX, privo del necessario diploma di laurea.
Nel
sistema degli enti locali è prevista la possibilità di conferimento di
incarichi dirigenziali a tempo determinato ai sensi dell’art. 110 del TUEL,
disposizione che fa salva, però, la necessità che sussistano i requisiti di accesso
previsti in relazione alla qualifica da ricoprire. A tal proposito, l’art. 19
del D.lgs. 165/2001 -così come modificato dall’art. 40 comma 1 del D.Lgs.
150/09 che ne ha esteso l’applicazione a tutte le amministrazioni di cui
all’art.1, comma 2-, avente ad oggetto l’attribuzione degli incarichi
dirigenziali a tempo determinato, fa riferimento alla formazione universitaria
e post universitaria ai fini della verifica della particolare qualificazione
professionale. Anche l’art. 28 del medesimo decreto legislativo prevede il
possesso di titolo di studio pari alla laurea per l’accesso alle qualifiche
dirigenziali a tempo indeterminato.
L’attribuzione
di detto incarico, decorrente dal 11 giugno 2013 e cessato con il termine del
mandato del Sindaco nel maggio 2018, non può, quindi, secondo la Procura,
considerarsi legittima e ha comportato il riconoscimento al predetto
funzionario di un trattamento economico superiore a quello che gli sarebbe
spettato se la responsabilità della medesima Area gli fosse stata attribuita
attraverso il riconoscimento di una c.d. posizione organizzativa: il relativo
differenziale è, dunque, la misura del danno arrecato al Comune di XXXX, pari
ad euro 78.120.
Sotto il
profilo soggettivo il comportamento del convenuto è connotato da colpa grave,
risultando agli atti una comunicazione del Segretario comunale dell’epoca,
d.ssa XXXXX, indirizzata al Sindaco con protocollo riservato e a mezzo pec in
data 21 giugno 2013, con la quale sono stati posti in evidenza i profili di
illegittimità dell’incarico, peraltro sottoposti al medesimo Sindaco anche
oralmente, come confermato dalla medesima Segretario in sede di audizione.
L’odierno convenuto, successivamente alla notifica dell’invito a dedurre, ha
fatto pervenire alla Procura articolate controdeduzioni, con le quali, da un
lato, ha ritenuto sussistere la c.d. esimente politica al fine di escludere la
configurabilità del danno e, dall’altro, ne ha in ogni caso contestato i
presupposti, sia oggettivo (in quanto l’attribuzione dell’incarico a un
funzionario già in servizio costituirebbe un risparmio di spesa rispetto al
conferimento di incarico ad un dirigente esterno) che soggettivo (non potendosi
configurare neppure la colpa grave, trattandosi di atto esecutivo di un previo
atto generale di pianificazione in materia di personale adottato dalla Giunta
comunale, la delibera n. 20 del 2013, e comunque interamente predisposto dalla
stessa Segretario comunale in assenza di alcun rilievo od eccezione). La
Procura ha ritenuto che tali controdeduzioni non superassero l’impianto delle
contestazioni formulate, dal momento che la mancanza del titolo professionale
di accesso alla qualifica determina uno squilibrio sinallagmatico che, secondo
il consolidato orientamento di questa Corte, anche in funzione consultiva di
controllo, è causativo di danno, la cui responsabilità è da attribuirsi, in
quanto esclusivo titolare del relativo potere di conferimento dell’incarico, al
Sindaco, la cui condotta, pertanto, viene a configurarsi come violazione degli
obblighi di servizio caratterizzata da colpa grave perché in contrasto con
disposizioni chiare, confermate da pareri e giurisprudenza, che delineano un
quadro chiaro e consolidato, apparendo inverosimile che tale quadro non fosse
noto.
Non
pertinente è apparso, poi, alla Procura l’argomento dell’esimente politica di
cui all’art. 1, comma 1 ter della legge 20/94, che disciplina la diversa
fattispecie astratta degli atti che rientrano nella competenza di uffici
tecnici od amministrativi approvati, autorizzati o eseguiti in buona fede da
titolari di organi politici. Non utili ad escludere la responsabilità, poi,
sarebbero i richiami alla buona fede dell’odierno convenuto in riferimento alla
complessità e tecnicità della materia, nonché l’esistenza di precedenti analoghi
incarichi conferiti allo stesso soggetto.
Il
convenuto si è costituito in giudizio in data 30.7.2019, formulando
preliminarmente eccezione di intervenuta prescrizione. Il dies a quo della
prescrizione corrisponde, in materia di responsabilità amministrativo-contabile,
alla data in cui si è verificato l’evento dannoso che nel caso di cui si tratta
deve identificarsi nell’adozione del provvedimento di conferimento
dell’incarico, datato 18 giugno 2013. Il primo atto interruttivo, la notifica
dell’invito a dedurre, è avvenuta in data 26.9.2018, successivamente, cioè,
alla perenzione del termine quinquennale. Nel merito, il convenuto ha ricordato
che il decreto attributivo dell’incarico di giugno 2013 era solo l’ultimo di
una lunga serie, che fondava le proprie ragioni in scelte di
economicità-efficienza correlate alla peculiare situazione dell’organico del
Comune di XXXXXX – in cui una serie di cessazioni dal servizio avevano lasciato
vacanti settori di rilievo- e ai vincoli assunzionali e di spesa del personale
che aveva imposto alla Giunta Comunale, in sede di ricognizione del fabbisogno
del personale (del. 90/2013), di scegliere tra la spesa per un dirigente
esterno (che avrebbe coperto la quasi totalità delle risorse disponibili) e la
destinazione delle risorse per l’assunzione di 9 unità di personale, con
assegnazione di incarico dirigenziale a personale interno. L’adozione del
provvedimento di incarico sarebbe stato, quindi, l’atto attuativo di una scelta
politica effettuata dalla Giunta in assenza di indicazioni contrarie da parte
del Segretario comunale e degli uffici: l’individuazione del funzionario da
incaricare, poi, sarebbe stata obbligata in relazione alla indisponibilità a
ricoprire il ruolo manifestata dagli altri funzionari di cat. D, questi ultimi
in possesso del necessario titolo di studio. Non sussisterebbe, quindi, alcun
danno patrimoniale per l’ente, in quanto nessuna delle altre opzioni a
disposizione dell’Ente avrebbe comportato un risparmio di spesa, nè sussiste
alcun danno all’immagine, stante l’acclarata professionalità con cui il
funzionario ha eseguito l’incarico. Difetterebbe, peraltro, anche l’elemento
soggettivo della colpa grave, alla luce dell’obiettiva complessità del quadro
normativo di riferimento, caratterizzato da rinvii tra disposizioni e continui
mutamenti, a fronte della quale è venuta meno una seria collaborazione da parte
degli uffici tecnici.
Conclusivamente
il convenuto ha osservato che l’atto dal quale viene fatto discendere il danno
contestato non è stato di iniziativa del Sindaco, trattandosi di atto attuativo
di una previa scelta della Giunta: la soggettiva imputabilità dell’atto sotto
il profilo sostanziale deve essere individuata, quindi, in relazione agli
apporti concretamente in esso convergenti. Diversamente considerando, la
responsabilità dedotta finirebbe per connotarsi come meramente oggettiva. Nel
caso in esame la responsabilità è da imputare al comportamento del Segretario
comunale che non solo ha materialmente predisposto l’atto senza peraltro
formulare alcun rilievo, ma che non ha neppure informato il Sindaco, né
informalmente né formalmente con la nota del 21.6.2013 citata dalla Procura
regionale –mai pervenuta né brevi manu né tramite pec-, di eventuali
illegittimità dell’incarico, venendo meno al proprio ruolo di garanzia. Nessuna
responsabilità, quindi, potrebbe essere ascritta al convenuto. In via del tutto
subordinata il convenuto ha contestato il criterio di quantificazione del
danno, visto che il posto dirigenziale doveva essere coperto e, in assenza di
funzionari aventi i requisiti professionali, il ricorso ad un esterno avrebbe
comportato una maggiore spesa. In ogni caso, il danno deve essere ripartito tra
tutti i soggetti che hanno partecipato alla procedura di individuazione del
modello organizzativo che ha portato al conferimento dell’incarico al rag.
XXXX, ferma restando la richiesta di applicazione del potere riduttivo. In via
istruttoria il convenuto ha chiesto, infine, l’ammissione di prova per testi.
All’odierna
udienza il Pubblico Ministero ha preso posizione in merito all’eccezione di
prescrizione sollevata dal convenuto, evidenziandone l’infondatezza: l’evento
dannoso va individuato nei singoli pagamenti, dai quali inizia a decorrere il
termine, circostanza di cui la stessa Procura ha tenuto conto nella
quantificazione del danno contestato. Nel merito delle difese del convenuto, la
Procura, riportandosi agli atti, ha sottolineato che non vi è contestazione in
merito alla normativa applicabile in materia di incarichi, trattandosi di
questione ben delineata a chiara fin dai primi anni 2000. Il convenuto, quindi,
non solo avrebbe dovuto conoscere le norme applicabili, tanto più che
disciplinavano una attribuzione propria, ma non si trovava, quanto a scelta del
dipendente, neppure in una situazione necessitata dal momento che esistevano
nell’organico dell’ente altre professionalità a cui attribuire l’incarico. Né,
ha proseguito la Procura, la responsabilità del convenuto può essere esclusa o
anche solo diminuita per il fatto che vi darebbe stata una previa delibera di
Giunta adottata senza interlocuzione del Segretario, che funge da mero
verbalizzante. L’Avv. Gianesin nell’interesse del convenuto si è riportata agli
atti, insistendo in particolare sull’eccezione di prescrizione, richiamando i
pronunciamenti in materia delle Sezioni Riunte di questa Corte del 2003 e del
2007 e sottolineando come, contrariamente a quanto sostenuto dalla Procura, il
ruolo del Segretario comunale sia stato determinante nel convincere il
convenuto della legittimità del proprio operato, avendo la d.ssa XXXX avallato
l’attribuzione al medesimo dipendente dello stesso incarico negli anni
precedenti. All’esito della discussione la causa è stata trattenuta in
decisione.
DIRITTO In
via preliminare deve essere esaminata l’eccezione di prescrizione formulata dal
convenuto. Secondo il convenuto, decorrendo la prescrizione ex art. 1, comma 2
della L. 20/94 dal giorno in cui si è verificato l’evento dannoso, nel caso di
specie il dies a quo non potrebbe che essere identificato, seguendo la
ricostruzione della Procura, nel giorno di adozione del decreto sindacale n. 11
del 18.6.2013. Il primo ed unico atto interruttivo intervenuto è l’invito a
dedurre, notificato il 26 settembre 2018, a termine ormai perento. Osserva il
Collegio che “secondo la consolidata giurisprudenza della Corte dei conti,
l’espressione “verificazione” del fatto dannoso, dal quale decorre in via
generale il termine di prescrizione quinquennale previsto dall’art. 1, comma 2,
L. 20/1994, comprende non soltanto la condotta illecita ma anche l’effetto
lesivo che ne deriva, potendo i due eventi coincidere ma, talvolta, anche
essere distanziati nel tempo, e in questa ultima ipotesi ciò che rileva è la
seconda componente (l’effetto lesivo della condotta)” (Sez. Giurisd. Lazio, n.
258/2019). In caso di illecita percezione di somme la giurisprudenza di questa
Corte è, poi, altrettanto costante nel ritenere che la fattispecie si completa
con l’avverarsi della sequenza condotta-evento dannoso che, nel caso di specie,
si perfeziona con il pagamento delle retribuzioni connesse all’incarico
dirigenziale, momento nel quale si realizza il depauperamento dell’erario
(recentemente, Sez. Puglia, n.227/2018: “Va rammentato che, secondo i principi
generali della materia, la responsabilità amministrativa si fonda – come è noto
– su un fatto dannoso, composto dal binomio condotta-evento, perciò le relative
fattispecie vanno costruite sulla base di detto binomio. Detto in altri
termini, dette fattispecie si perfezionano solo dopo l’avverarsi della sequenza
condotta-evento dannoso; l’evento di danno è elemento costitutivo della
fattispecie lesiva e, pertanto, nell’ipotesi di danno per erogazione di una
somma di denaro la fattispecie si completa con il pagamento, momento nel quale
di realizza il depauperamento dell’erario e da cui comincia a decorrere la
prescrizione.”). Sulla scorta di tali consolidati principi, quindi, nel caso in
esame risultano prescritte solo le somme il cui pagamento è avvenuto prima del
quinquennio anteriore rispetto alla notificazione, in data 26 settembre 2018,
dell’invito a dedurre e, quindi, prima del mese di ottobre 2013. La domanda
avanzata dalla Procura regionale, tuttavia, ha tenuto conto della prescrizione
maturatasi, essendo stato quantificato il danno espressamente con riferimento
alle somme versate dal Comune di XXXXX dall’ottobre 2013 al maggio 2018 al rag.
XXXX in dipendenza dell’incarico dirigenziale da questo ricevuto ed eseguito.
L’eccezione di prescrizione, pertanto, non è fondata e va respinta.
Nel
merito, la domanda è fondata. Oggetto del presente giudizio è la responsabilità
risarcitoria del convenuto, all’epoca Sindaco pro tempore del Comune di
XXXXXXX, per l’illegittimo conferimento di incarico dirigenziale intra
dotazione organica, a tempo determinato, ad un dipendente dell’ente poiché
sprovvisto dell’imprescindibile requisito del diploma di laurea, così come
previsto dalla disciplina di rango primario vigente all’atto del conferimento
dell’incarico medesimo, nel giugno 2013. Secondo la prospettazione della
Procura Regionale, il possesso del titolo di studio della laurea, non solo era
un requisito obbligatoriamente richiesto, ma emergeva in modo chiaro e puntuale
dal complesso delle disposizioni normative regolanti la materia, circostanza
che di per sé impediva il venir meno della gravità delle colpa. A tale
conclusione la Procura è pervenuta in considerazione degli artt. 110 del D.lgs.
267/2000, che prevede che la copertura dei posti di qualifica dirigenziale
possa avvenire mediante contratto a tempo determinato “fermi restando i
requisiti richiesti dalla qualifica da ricoprire”, dell’art. 19 del
D.Lgs.165/2001 -divenuto applicabile a tutte le amministrazioni di cui
all’art.1, comma 2, del D.lgs. 165/2001 in forza dell’art. 40, comma 1 lett. f)
del D.lgs. 150/09-, che disciplina il conferimento di incarichi dirigenziali a
tempo determinato e fa riferimento alla “particolare specificazione
professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione
universitaria e postuniversitaria”, e infine dell’art. 28 del D.Lgs. 165/2001
che, benchè riferito alle nomine in ruolo dei dirigenti per le quali, appunto,
è richiesto il diploma di laurea, è da considerarsi norma di generale
applicazione, anche per ragioni di logica e coerenza del sistema. Si
tratterebbe di un quadro normativo chiaro, privo di insidie sul piano
ermeneutico, anche alla luce della concorde e costante giurisprudenza
amministrativa da un lato e, dall’altro, della stessa Corte dei Conti, più
volte intervenuta nella materia de qua anche in sede di controllo di
legittimità (Sez. Centr. Contr. Leg. N. 31/2001, n. 3/2003) che in sede
consultiva di controllo (a partire dalla Sez. Contr. Lombardia n.31/01) e
ribadita anche dal Dipartimento della Funzione Pubblica fin dal 2008 (parere n.
35/08). La difesa del convenuto non ha formulato contestazioni circa le norme
applicabili, al momento dell’adozione del decreto sindacale n. 11 del 18 giugno
2013, al conferimento di incarichi dirigenziali ai sensi dell’art. 110 del TUEL
-e, quindi, in relazione alla necessità del possesso del requisito della
laurea-, tuttavia ha rappresentato che tale quadro normativo, in ogni caso
farraginoso e di non semplice ricostruzione a causa della tecnica normativa del
rinvio mobile, solo a partire dalla riforma del 2009 non poneva dubbi
interpretativi circa i requisiti professionali e di studio necessari per il
conferimento di incarichi dirigenziali. In precedenza, infatti, la formulazione
letterale dell’art. 19, comma 6, del D.lgs. 165/2001, elencando i requisiti
possesso di laurea/esperienza in maniera disgiuntiva, consentiva di ritenere
legittimo il conferimento di incarico anche a soggetti non in possesso del
titolo di studio, ma in possesso di concreta esperienza di lavoro maturata
presso pubbliche amministrazioni; solo dopo il d.lgs. 150/2009, il testo della
disposizione è stato mutato in modo tale da non lasciare spazio a soluzioni
ermeneutiche diverse circa la necessaria compresenza di entrambi i requisiti.
Osserva il Collegio che l’adozione da parte dell’odierno convenuto, all’epoca
dei fatti Sindaco pro tempore del Comune di XXXX, del decreto n. 11 del 18
giugno 2013 integra una condotta antigiuridica, essendo condivisibile la
ricostruzione del quadro normativo applicabile alla fattispecie dedotta dalla
Procura Regionale e, nella sostanza, condivisa anche dalla difesa del
convenuto. Come già ricordato, in materia di conferimento di incarichi
dirigenziali a tempo determinato negli enti locali, la normativa di settore
(d.lgs 267/2000), nell’individuarne la disciplina (art. 110), ha rinviato,
quanto a requisiti e presupposti, alla generale disciplina del pubblico impiego
(D.lgs 29/1993 prima e, poi, D.lgs 165/2001) e, quindi, all’art. 19 del D.lgs
165/2001 (la cui applicazione agli enti locali è stata espressamente prevista
dal D.lgs 150/2009, benchè in giurisprudenza, anche di questa Corte, non si
fosse mancato di sottolinearne, anche in precedenza, l’estensibilità oltre
l’impiego statale in quanto rappresentativa di principio generale) che, al
comma 6, stabilisce i requisiti per il conferimento di incarichi dirigenziali a
tempo determinato, prevedendo la concorrenza del requisito culturale della
formazione universitaria con il requisito professionale dell’esperienza
quinquennale in posizioni funzionali previste per l’accesso alla dirigenza.
Osserva a tal proposito il Collegio che tale ultima disposizione, nel testo in
vigore all’epoca dei fatti (2013) e, cioè, successivamente alle modifiche
apportate dall’art. 40 del D.lgs n. 150/2009, aveva una formulazione letterale
che non poteva (e non può) lasciare adito a dubbio ermeneutico alcuno in
relazione al necessario possesso del titolo di studio della laurea: la
“particolare specializzazione professionale” che è requisito per l’attribuzione
dell’incarico, infatti, deve essere comprovata “dalla formazione universitaria
e postuniversitaria, post universitaria, da pubblicazioni scientifiche e da
concrete esperienze di lavoro…”. Requisito culturale e di esperienza lavorativa
dunque, non possono in alcun modo essere ritenuti, anche solo sulla base della
littera legis, alternativi tra loro, ma debbono, coerentemente con la ratio
legis, sussistere congiuntamente. Come osservato, infatti, già prima
dell’intervento del legislatore del 2009 dalla Sezione del controllo di
legittimità su atti del Governo di questa Corte con la delibera n. 3/2003 del 9
gennaio 2003, “il criterio secondo il quale il legislatore ha inteso
disciplinare l’immissione nell’esercizio di funzioni dirigenziali di soggetti,
quali essi siano, in precedenza già non investiti di tale qualifica, risulta
evidentemente informato alla volontà di acquisire professionalità estranee,
tali da presentare qualità aggiuntive e comunque non minori rispetto ai già
elevati requisiti previsti per le nomine di funzionari appartenenti ai ruoli dirigenziali.
Tanto premesso, consegue da ciò attraverso una lettura sistematica dell’art.
19, c. 6°, che la facoltà da tale norma prevista richiede, nei suoi
destinatari, il concorrente possesso di una particolare specializzazione, sia
professionale, che culturale e scientifica; quando si passi all’accertamento di
tali requisiti, in relazione alle funzioni da attribuire, l’interprete, dal
canto suo, non può sottrarsi alla verifica, sotto ogni profilo, della presenza
di tutti gli elementi che complessivamente rendono il soggetto idoneo
all’incarico. Ne discende che, ferma rimanendo l’esigenza dell’accertamento di
un livello di formazione culturale identificabile nel possesso della laurea,
gli elementi che configurano e completano in estranei il profilo della professionalità
debbano, insieme ad altri, ricavarsi dal già disimpegnato esercizio di funzioni
almeno di pari rilevanza di quelle previste nel nuovo compito. Quindi, oltre
all’accertato possesso di sufficiente formazione culturale, in un contesto
normativo in cui è però prevista l’attribuzione di incarichi dirigenziali
previa verifica della sussistenza di livelli di formazione particolarmente
elevati, occorre che la valutazione venga estesa ad un puntuale esame dei
curricula degli incaricandi”. L’aver conferito, da parte del convenuto, un
incarico dirigenziale a soggetto non in possesso di diploma di laurea
costituisce una violazione delle predette disposizioni, integrando l’elemento
oggettivo della responsabilità amministrativa. In relazione all’elemento soggettivo,
ritiene il Collegio che la condotta del convenuto sia connotata, come
prospettato dalla Procura regionale, da colpa grave. Contrariamente, infatti, a
quanto sostenuto dalla difesa del convenuto, il decreto di conferimento
dell’incarico è, formalmente e sostanzialmente, atto proprio del Sindaco,
adottato nell’ambito di funzioni ad esso attribuite in via esclusiva dal TUEL e
dal Regolamento comunale di organizzazione degli uffici e dei servizi del
Comune di XXXX (art. 50, comma 10, TUEL: “Il sindaco e il presidente della
provincia nominano i responsabili degli uffici e dei servizi, attribuiscono e
definiscono gli incarichi dirigenziali e quelli di collaborazione esterna
secondo le modalità ed i criteri stabiliti dagli articoli 109 e 110, nonché dai
rispettivi statuti e regolamenti comunali e provincia”; Art. 109 TUEL:
(Conferimento di funzioni dirigenziali) “1. Gli incarichi dirigenziali sono
conferiti a tempo determinato, ai sensi dell’articolo 50, comma 10, con
provvedimento motivato e con le modalità fissate dal regolamento
sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, secondo criteri di competenza
professionale, in relazione agli obiettivi indicati nel programma
amministrativo del sindaco o del presidente della provincia (…)”; art, 12,
comma 1., lett.c) del Regolamento secondo cui spetta al Sindaco “l’attribuzione
e la definizione degli incarichi dirigenziali ai responsabili di area” e art.
60, comma 1 dello Statuto comunale: “(Incarichi dirigenziali) 1. L’atto del
Sindaco di conferimento o revoca degli incarichi dirigenziali è adottato
sentita la Giunta e il Direttore Generale, se nominato, o il Segretario
Generale.”). La circostanza che, a monte del decreto in questione, la Giunta
Comunale, organo al quale compete la programmazione in materia di personale ex
art. 48, comma 2, TUEL, avesse deciso -appunto all’interno di un atto
programmatorio a valenza generale quale il Piano occupazionale: D.G.C. n. 90
del 2013, cfr. doc.16 allegato all’atto di citazione- la “copertura del posto
di qualifica dirigenziale dell’Area II “servizi economico finanziari e
tributari” mediante contratto a tempo determinato” con incarico ai sensi
dell’art. 110 TUEL, anziché ricorrere ad altre opzioni (incarico a tempo
determinato a personale esterno, concorso pubblico, attribuzione di posizione
organizzativa) non vale ad escludere, neppure parzialmente, la responsabilità
del convenuto. Tale decisione, infatti, attiene unicamente alle modalità di
copertura del posto, non alla individuazione e alla scelta del soggetto al
quale l’incarico avrebbe dovuto essere conferito, queste ultime riferibili
unicamente alla volontà del titolare del potere di esercitare la relativa
funzione: il sindaco, appunto. Né la circostanza che il personale apicale degli
uffici o il segretario comunale fossero tenuti alla predisposizione dell’atto
vale ad escludere in capo al sindaco la responsabilità dell’atto stesso, a
ripartirla o ad attenuarla: si tratta, infatti, di compito di mera redazione
materiale del documento, non di una (com)partecipazione alla formazione della
volontà che nel documento si trasfonde dando, appunto, origine all’atto; la
scelta del soggetto destinatario dell’incarico (e, quindi, la valutazione della
sussistenza della speciale professionalità richiesta dalla norma) è di
esclusiva pertinenza del Sindaco. La difesa del ricorrente, poi, attribuisce al
Segretario comunale, che con il suo comportamento reticente avrebbe omesso di
rappresentare alla Giunta e al Sindaco l’esistenza di profili di illegittimità,
l’aver indotto in errore gli organi politici, privando il Sindaco in
particolare di “scegliere diversamente da come ha fatto” (pag. 18 comparsa).
Anche a prescindere dalla contraddittorietà dell’argomentazione difensiva,
avendo lo stesso convenuto in precedenza sostenuto che la scelta del rag. XXX
per l’attribuzione dell’incarico dirigenziale “si presentava sostanzialmente
come obbligata” (pag. 10 comparsa) essendo quest’ultimo l’unico dipendente di
categoria D disponibile ad assumere l’incarico, nell’attuale assetto normativo
regolante la figura ed il ruolo del segretario comunale, dopo l’intervento
della legge 127/97 (che ha abrogato il parere preventivo obbligatorio di
legittimità del segretario sugli atti degli organi collegiali), al segretario
sono attribuite funzioni meramente consultive e di assistenza agli organi del
comune –la cui ampiezza, peraltro è delimitata dalla introduzione della figura
del Direttore generale di coordinamento dell’attività dei dirigenti, ma non
certo funzioni di amministrazione attiva. Risulta in atti che il segretario
comunale di XXXXX abbia assolto al proprio compito di consulenza/assistenza,
avendo rappresentato al Sindaco i profili di illegittimità del decreto di
conferimento dell’incarico, sia per le vie brevi prima sia formalmente con PEC
nei giorni immediatamente successivi all’adozione: la Procura ha prodotto,
infatti, copia della comunicazione scritta che la medesima ha dichiarato di
aver consegnato brevi manu al Sindaco e inviato tramite PEC. La difesa del
convenuto ha contestato la veridicità della circostanza, peraltro confermata
dalla medesima Segretario in sede di audizione (doc. 33 Procura), producendo
sub doc. 9 una nota (erroneamente qualificata come dichiarazione) a firma del
Vice Segretario generale del Comune di XXXX, dr. XXXX, con la quale lo stesso
trasmette al difensore un file di excel (non prodotto in atti) contenente
l’elenco degli atti protocollati in arrivo nel periodo 21.6.2013-30.6.2010,
evidenziando che con le chiavi di ricerca “sindaco” e XXXX” non si producono
risultati. E’ di tutta evidenza che, anche al di là della considerazione per
cui il file predetto, in assenza di iniziative processuali di parte convenuta
diverse dalla prova testimoniale richiesta –inammissibile sia per l’omessa
formulazione di specifici capitoli, ma anche irrilevante per le ragioni che
seguiranno-, non avrebbe certo potuto essere acquisito d’ufficio agli atti del
giudizio -con la conseguenza che la mera cognizione dell’ esistenza di un file
non consente di valutarne il contenuto- e anche a voler superare ogni questione
in merito alla natura e alla capacità probatoria di un file in assenza di forme
di certificazione circa la sua completezza, autenticità ed effettiva
corrispondenza con i dati del server (se il protocollo è elettronico) ovvero
dei registri (se il protocollo è cartaceo) del Comune, l’estratto del
protocollo generale dell’ente dal quale non risulta l’avvenuta protocollazione
di una comunicazione, potrebbe unicamente attestare, appunto, che al protocollo
generale non risulta acquisito un documento, ma non può escludere, in assoluto,
che tale documento esista o sia stato consegnato al destinatario. E ciò a
maggior ragione se si considera che il documento allegato dal Segretario al
proprio esposto (doc.1 Procura) porta un numero del protocollo riservato (il n.
89 del 2013: il relativo registro –non prodotto né offerto in produzione- è
conservato nell’Ufficio del Segretario, come risulta dalla dichiarazione resa
dalla d.ssa XXXX in sede di audizione), circostanza che di certo spiega
l’assenza di numero di protocollo generale e che non è stata oggetto di
contestazione alcuna da parte della difesa del convenuto. Del resto, la stessa
XXXXX ha espressamente confermato in audizione di aver, dapprima, rappresentato
verbalmente l’illegittimità dell’atto e di aver, poi, consegnato la nota
scritta brevi manu ed infine di averla trasmessa anche tramite PEC. In tale
sede, peraltro, la medesima Segretario ha dichiarato anche che nei colloqui
intercorsi con il convenuto, quest’ultimo è apparso a conoscenza del fatto che
il rag. XXXX non avrebbe potuto rivestire l’incarico dirigenziale per difetto
del titolo di studio, tant’è che oggetto di discussione era la possibilità di
conferire detto incarico ad altro dipendente comunale in possesso di laurea, il
dr. Grassetti, che seguiva le questioni relative alla programmazione di
competenza del settore finanziario e di aver appreso dell’incarico solo
successivamente al conferimento, essendole stata consegnata una copia del
relativo decreto sindacale. A fronte di tali evidenze probatorie, ampiamente
circostanziate e non incise dalle produzioni documentali della difesa, non
sembra che possa fondatamente ritenersi che via siano state condotte omissive
imputabili al Segretario utili a escludere o ridurre la responsabilità del Sindaco.
Quanto, poi, al ruolo del Segretario comunale in relazione alla citata delibera
della Giunta comunale che ha approvato il piano occupazionale 2013 (che,
peraltro, come si è visto, non è causativa di danno alcuno), la mera
sottoscrizione degli atti di Giunta e Consiglio comunale quale soggetto
verbalizzatore (art. 97, comma 3, TUEL) assolve ad una specifica funzione
redazionale e certificativa, propria del Segretario, che non comporta alcuna
responsabilità diversa da quella di registrazione dei fatti e delle volontà in
conformità a quanto avvenuto nella seduta e, perciò, esterna ed estranea al
processo formativo delle volontà espresse dagli organi collegiali a seguito di
deliberazione (ed, in ipotesi, causative di danno). Priva di giuridico pregio
appare, infine, l’argomentazione difensiva secondo cui il Sindaco, organo
politico, non sarebbe per ciò tenuto, nell’esercizio delle sue funzioni e
nell’adozione degli atti propri –quelli, cioè, per i quali è titolare di
competenza esclusiva quale quello di cui si tratta-, alla conoscenza delle
norme, dovendo provvedervi in sua vece gli uffici tecnici, invocando all’uopo
la giurisprudenza di questa Corte in punto di esimente politica. “ La
disposizione normativa invocata dal ricorrente, infatti, (art. 1, comma 1ter,
della L. n. 20/1994), prevedendo che la responsabilità dei componenti di un
organo politico viene meno quando essi abbiano in buona fede autorizzato o
approvato atti di competenza di organi tecnici o amministrativi, non tutela
sempre e comunque, come sembra pretendere l’appellante, il soggetto politico in
quanto tale, ma si limita a prevedere la sua irresponsabilità nelle sole
ipotesi in cui esso abbia fatto affidamento sull’attività gestoria svolta dai
dipendenti amministrativi della quale non abbia potuto apprezzare, per la
peculiarità dei relativi contenuti, il carattere potenzialmente lesivo. Come ha
invero correttamente osservato la Corte territoriale, la richiamata norma si
limita ad attuare il principio di separazione tra politica e gestione amministrativa,
più volte affermato dal legislatore (art. 3 d. lgs n. 29/1993, art. 4 d.lgs. n.
165/2001, art. 107 del d. lgs. n. 267/2000) ed in forza del quale i poteri di
indirizzo e di controllo politico-amministrativo spettano agli organi di
governo delle amministrazioni pubbliche, mentre la gestione amministrativa,
finanziaria e tecnica è attribuita mediante poteri autonomi ai dirigenti, Ne
segue che tale norma non consente di ancorare sic et simpliciter
l’irresponsabilità del soggetto politico al particolare ruolo istituzionale che
lo diversifica dai dirigenti, dovendosi detta disposizione considerare
inoperante quando il soggetto stesso abbia direttamente compiuto, nell’ambito
delle sue competenze, atti causativi di danno erariale.” (Sez. III App., 432/2016).
Ed è, appunto, questo il caso che ci aggrava: come già ricordato più sopra, il
conferimento di incarico dirigenziale ex art. 110 TUEL è atto proprio del
Sindaco dal quale è causalmente derivato il contestato danno al Comune di XXXXX
con il pagamento di competenze retributive ad un soggetto privo della
professionalità necessaria per la copertura dell’incarico illegittimamente
conferito. Venendo ad esaminare il terzo elemento costitutivo della
responsabilità erariale, l’ avvenuta causazione di un danno risarcibile, il
Collegio osserva che, come peraltro correttamente rappresentato dalla Procura
attrice, l’illegittimità dell’incarico conferito a soggetto privo dei requisiti
di studio richiesti dalla norma ha causato all’amministrazione un ingiusto
pregiudizio economico: il danno in caso di prestazioni rese in mancanza del
prescritto titolo di studio e professionale è insito nella lesione della
violazione del sinallagma contrattuale, dal momento che alla retribuzione
percepita non corrisponde una prestazione adeguatamente commisurata e
qualitativamente corrispondente alla professionalità richiesta, come peraltro
ormai acquisito dalla costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. Veneto
sent. n. 107/2015; Sez. Sicilia n. 55/2014; Sez. Lombardia n. 280/2013; Sez.
Toscana n. 433/2011; Sez. Sardegna n.1246/2009; Sez. Piemonte n. 24/2009 per
citare, ex multis, alcune tra le più recenti e, da ultimo, Sez. Campania n.
129/2017). Alla luce di tali consolidati orientamenti, corretto appare, quindi,
il criterio di quantificazione del danno utilizzato dalla Procura e, cioè, la
differenza fra le retribuzioni percepite dal XXX in dipendenza dall’incarico
dirigenziale e quelle che gli sarebbero spettate qualora avesse ricevuto il
riconoscimento di una posizione organizzativa quale funzionario di cat. D5
(questa sì, legittima e conforme alla normativa e alle disposizioni
contrattuali applicabili ratione temporis: “ART. 8 – Area delle posizioni
organizzative. 1. Gli enti istituiscono posizioni di lavoro che richiedono, con
assunzione diretta di elevata responsabilità di prodotto e di risultato: a)lo
svolgimento di funzioni di direzione di unità organizzative di particolare complessità,
caratterizzate da elevato grado di autonomia gestionale e organizzativa; b) lo
svolgimento di attività con contenuti di alta professionalità e
specializzazione correlate a diplomi di laurea e/o di scuole universitarie e/o
alla iscrizione ad albi professionali; c) lo svolgimento di attività di staff
e/o di studio, ricerca, ispettive, di vigilanza e controllo caratterizzate da
elevate autonomia ed esperienza. 2. Tali posizioni, che non coincidono
necessariamente con quelle già retribuite con l’indennità di cui all’art. 37,
comma 4, del CCNL del 6.7.1995, possono essere assegnate esclusivamente a dipendenti
classificati nella categoria D, sulla base e per effetto d’un incarico a
termine conferito in conformità alle regole di cui all’art. 9.” CCNL del
31.3.1999). La difesa del convenuto contesta in nuce l’esistenza di un danno
risarcibile rappresentando, al contrario, l’avvenuta realizzazione di una
economia di spesa in quanto il posto avrebbe comunque dovuto essere coperto,
con maggiori costi, con ricorso ad un dirigente esterno, argomentando in ordine
alla necessaria copertura del posto con una figura dirigenziale non potendosi
procedere ad accorpamenti di aree, ma nulla argomentando in merito alla
possibilità di affidare la responsabilità dell’area ad un funzionario di cat. D
mediante l’istituto della posizione organizzativa, contrattualmente previsto
(ed applicabile al caso de quo), appunto oggetto di contestazione da parte
della Procura Regionale. In conclusione, sussistendone tutti i presupposti,
deve essere dichiarata la responsabilità erariale del convenuto per i fatti di
cui è causa e lo stesso deve essere condannato al risarcimento del danno in
favore del Comune di XXXX. Per le ragioni ampiamente più sopra esposte in
merito alla solo presunta compartecipazione di soggetti terzi (Giunta
comunale/Segretario Comunale) alla formazione della volontà sottostante al
decreto di conferimento dell’incarico, ritiene il Collegio non ricorrere
nemmeno i presupposti per l’applicazione del potere riduttivo, così come
richiesto dalla difesa. In conclusione, la domanda attorea deve essere accolta
e il convenuto condannato al risarcimento in favore del Comune di XXXXX del
danno complessivamente derivante dai fatti di cui è causa e quantificato in
euro 78.120,00, somma comprensiva della rivalutazione monetaria, oltre agli
interessi legali dalla data della sentenza al saldo effettivo. Ai sensi
dell’art. 31 del c.g.c. il convenuto va inoltre condannato al pagamento delle
spese di giustizia, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Sezione
Giurisdizionale Regionale per il Veneto della Corte dei Conti, ogni diversa e/o
contraria domanda od eccezione respinta, definitivamente pronunciando nel
giudizio iscritto al n. 30799 del registro di segreteria promosso dal
Procuratore Regionale nei confronti di XXXX -respinge l’eccezione preliminare
di prescrizione; -in accoglimento della domanda avanzata dalla Procura
Regionale condanna XXXX al risarcimento del danno nei confronti del Comune di
XXX di euro 78.120,00 (settantottomilacentoventi/00), somma comprensiva della
rivalutazione monetaria, oltre interessi dalla data della sentenza fino al
saldo effettivo; -condanna XXXXX al pagamento delle spese di giustizia che si
liquidano in euro 288,00 (euro duecentottantotto/00)